Pierluigi Ferrantini, 33 anni, cantante dei Velvet, al festival di Sanremo ha già partecipato tre volte. Ora, nell’inedita veste di giurato di SanremoLab, l’Accademia della Canzone incaricata di selezionare dodici giovani talenti da sottoporre all’attenzione della commissione artistica, si trova nell’insolita posizione di dover giudicare 350 suoi aspiranti successori. Che effetto gli fa? “Mi piace e mi diverto. E’ un lavoro duro, siamo impegnati otto ore al giorno, ma lo affronto con grande entusiasmo”. E’ l’unico musicista in giuria, in questa fase (poi si aggiungeranno Enrico Ruggeri e Simona Bencini), accanto ai giornalisti Massimo Cotto e Franco Zanetti e al radiofonico Maurilio Giordana: spiritualmente più vicino, per questo, ai candidati che si sottopongono al giudizio degli esperti? “Certo non voglio tranciar giudizi dall’alto di chissà quale competenza. E comunque sì, in un certo senso io sto dalla parte dei ragazzi. Capisco bene quello che provano”. A quali criteri di giudizio si attiene? “Quel che mi interessa è l’onestà di fondo, la genuinità e la sincerità della proposta. E poi l’emozione, che per me è molto più importante della perfezione stilistica: non potrei nemmeno pretenderla, dal momento che sul palco dell’Ariston due volte su tre io ho cantato piuttosto male…Per acquisire la giusta tecnica c’è sempre tempo, la sostanza in questa fase conta molto più della forma. Invece c’è qualcuno che arriva qui col suo bell’arrangiamento di ProTools, e magari non mette altrettanta cura nella costruzione della canzone o nella scelta delle parole. Facciamo esibire tutti dal vivo, nei limiti del possibile: e pazienza se le band non hanno a disposizione il loro amplificatore Marshall preferito, non è questo che influenza il nostro giudizio”. Divergenze o concordanze d’opinione con il resto della commissione? “Siamo sulla stessa lunghezza d’onda, la pensiamo allo stesso modo. Prima di cominciare ci siamo interrogati su quale fosse il nostro obiettivo: e il nostro obiettivo è selezionare tra questi 350 gruppi, ragazzi e ragazze quelli che hanno qualcosa da dire, un progetto artistico quantomeno abbozzato, al di là della sua aderenza o meno a un presunto canone ‘sanremese’ classico”. Prime impressioni? “Al momento abbiamo visionato una settantina di candidati, ne mancano ancora molti. Sono giovani, 20-25 anni di media ma si scende fino a sedici anni, pochi hanno esperienza di concerti e di contatto diretto con il pubblico. C’è persino qualche piccola Ani DiFranco, mentre i ragazzi sembrano prediligere l’r&b stile primo Tiziano Ferro. Una critica però devo farla: molti, purtroppo, danno le sensazione di considerare la musica come nient’altro che un mezzo per apparire in televisione. Non saranno loro a essere premiati, su questo siamo tutti d’accordo. E tanti vengono ancora qui pensando che a Sanremo si possano portare solo canzoni che parlano d’amore in maniera banale e dozzinale: noi stiamo cercando di fargli capire che certe scorciatoie non portano da nessuna parte”. E che c’è di buono, invece? “Che questi ragazzi sono ancora estranei ai condizionamenti della discografia, liberi di presentare quel che vogliono. Nessuno di noi si aspettava di trovarsi al cospetto di trecento artisti imperdibili. Trovarne una dozzina da sostenere con assoluta convinzione è il nostro scopo. Qualcuno lo abbiamo già individuato, credo che ce la faremo senza problemi”.
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