
Credits: Mark Seliger
Quando è salito sul palco, in completo bianco e chioma assolutamente afro, sembrava di ritrovare un protagonista della black music di qualche anno fa, Sly Stone, al punto tale che nel presentare i musicisti ha parlato di ‘family’ proprio come faceva Stone: Lenny Kravitz ha dato subito fondo alle proprie energie e in un autodromo che superava le 30mila presenze (più di quelle fatte registrare dai Litfiba) parte con la scaletta del suo concerto: “Live” apre le ostilità, seguita subito da un classico come “It ain’t over ‘til it’s over”. L’atmosfera è carica, ma da quando si riparte con “Super soul fighter” si assiste come a un lento e progressivo svuotarsi di tensione: i brani in scaletta sono “Blues for sister someone”, “Tunnel vision” , l’attuale singolo “American woman” e poi ancora “Fields of joy”, “Always on the run” e “Let love rule”, gran finale del set ufficiale. Il concerto riprende quota con i bis, grazie a una versione tiratissima di “Fly away” e alla conclusiva e liberatoria “Are you gonna go my way”, che di Kravitz continua ad essere l’inno incontrastato. Il pubblico entusiasta si è scatenato nell’ultimo ballo, mentre Kravitz, ormai a torso nudo con l’immancabile chitarra elettrica a tracolla, spadroneggiava in lungo e in largo sul palco. Un finale decisamente rock per una splendida giornata di musica, servita in parte a recuperare lo sfortunato temporale del primo giorno di Festival.
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