Ho visto live Anna and Vulkan e mi sono perso nel tempo
È stata Anna and Vulkan ad aprire, pochi giorni fa, la serata targata Sony Music al Dazio di Levante durante la Milano Music Week. Arriva sul palco in quartetto, il fratello al basso, un tastierista, un batterista, e lei con la chitarra. Lo fa senza mezzi giri, mette subito a fuoco il suo mondo sonoro. Un set essenziale, pulito, dritto: niente posture, niente surplus, niente dialoghi superflui con il pubblico. In questo mood sprezzante, che si abbraccia a una ricerca sonora, c’è uno spirito quasi punk, che rifugge il facile consenso, ma lavora subito per costruire, essendo un'emergente, un legame profondo con chi ascolta. Le sue sono canzoni che si muovono su un equilibrio preciso, tra un groove morbido e quelle aperture anni ’80 che sfiorano Alan Sorrenti e i Matia Bazar più cosmici, il tutto alternando il napoletano all’italiano. C'è anche un'attitudine, non una pasta sonora, alla Joni Mitchell, ovvero l'idea di prendere qualche cosa di folk e di popolare e di portarlo da un'altra parte. In scaletta ai Dazi: “Come fossero per noi”, “Periodo particolare”, “‘Nu veleno amaro” e la bella “Farla facile”. In quest’ultima ci sono parole dolci e allo stesso tempo ruvide: “Guarda, non è che la faccio facile. È che a volte non mi sento più in me. Vorrei poterti saper guardare, ma non so come. Voglio ancora ballare da sola, perdere la testa per un fuoco spento. Ma non faccio altro che pensare a te”.
Dal vivo la sua miscela funziona perché nasce da una storia chiara. Anna arriva da Torre Annunziata e porta con sé un riferimento costante: il Vesuvio, visto dalla finestra di casa, che è diventato il “Vulkan” del suo nome. È cresciuta in un ambiente pieno di strumenti grazie al padre, musicista e compositore, e i suoi primi ascolti sono quelli che formano una sensibilità: Lucio Dalla, Pino Daniele, Petrucciani. Una base solida, affettiva, che poi lei ha contraddetto e arricchito scegliendo la batteria, proprio l’unico strumento che non era presente in casa. Ecco lì che riaffiora quello spirito di rottura. Da quel momento tutto scorre in modo naturale: le prime canzoni a 15 anni, i tentativi da autodidatta con chitarra e pianoforte, il gruppo Sonder dove suona e canta, l’ep registrato nell’ingresso di casa. Poi il movimento, la scoperta: Trieste, la Scuola Interpreti, la fame delle lingue e della linguistica. Vienna, un lavoro da brand designer, un nuovo progetto come batterista, e la scrittura che ritorna a imporsi, portandola a produrre da sola brani suonando tutto, chitarra, basso, tastiere, batteria. In questo percorso si capisce il perché delle atmosfere che porta oggi sul palco: un continuo “andare, tornare”, proprio come il titolo del suo primo ep del 2024.
C’è una parte della sua musica che guarda indietro alle radici, la melodia napoletana, una certa sensibilità cantautorale, e un’altra che vive nel presente, dentro generi diversi che attraversa con curiosità: italo-disco, reggaeton, indie pop, tracce più intime. Nel 2023 debutta con “Comm’è”, poi “Scurò”, poi “Andare, tornare”, accolto subito con attenzione. Nel 2024 arrivano il primo tour, la versione remix “per ballare” dell’ep, i singoli con Fuck Pop e “Farla facile”. Tutti tasselli di una crescita coerente, dove ogni uscita aggiunge un dettaglio alla sua identità. “Nuovo amore passato” è il suo nuovo album, un progetto concepito come un percorso narrativo in due atti. La parte 1, è uscita a inizio novembre per Pluggers e Columbia Records. Al Dazio di Levante questa identità, che mi ha fatto perdere nel tempo, era chiara: un live suonato bene, senza dispersioni, in cui passato e presente si tengono per mano in modo semplice. Così semplice che, a un certo punto, mentre lei continuava a costruire quel flusso tra groove e nostalgia, ci si ritrovava davvero un po’ sospesi, senza capire se si stesse guardando avanti o indietro, che è esattamente quello che succede quando a volte, ci si fissa allo specchio, in bilico tra ciò che siamo e ciò che eravamo. E anche ciò che sogniamo di diventare.