Loredana Bertè è stata l’italiana più internazionale di sempre
Prima Madonna, che nel 1984 scelse di posare in abito da sposa per la copertina di “Like a Virgin”, due anni dopo che Loredana Bertè quel costume l’aveva indossato nel videoclip di “Non sono una signora” e sul palco del Festivalbar, in quell’iconica esibizione che coronò la sua vittoria. Poi Lady Gaga, che nel 2011 sfoggiò sul palco di un suo concerto un finto pancione fasciato da un abitino in pelle nera, molto simile a quello che la voce di “Sei bellissima” aveva mostrato - destando scalpore - al Festival di Sanremo del 1986 sulle note di “Re”. Ora anche Rosalía, che sulla copertina del suo ultimo album “Lux” è ritratta come una suora, con tanto di velo a coprire il capo, riproponendo - se così si può dire - una provocazione lanciata sempre da Bertè nel 1982, quando nelle foto di copertina di “Traslocando” indossò abiti monacali. Agatha Christie diceva: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Le immagini della vita - e della carriera - di Loredana Bertè, molte delle quali saranno raccolte nel libro fotografico “Loredana Bertè - 50 volte Bellissima”, in uscita il 25 novembre per Rizzoli (la copertina - che trovate più sotto - riprende proprio una delle immagini, firmate dal geniale Mauro Balletti, da anni braccio destro di Mina, scattate sul set di “Traslocando”), testimoniano una verità spesso sottovalutata: la leonessa del rock italiano è stata sempre più avanti del suo tempo.
Sempre un passo avanti
Non solo a livello musicale, e pure ci sarebbe tantissimo da dire. Nel 1979 con “E la luna bussò” portò il reggae in testa alle classifiche italiane. Nel 1980 con l’album “Loredanabertè”, quello di “In alto mare”, fu tra le prime artiste italiane a portare nel mainstream il funk. Nel 1985 con “Carioca” fece scoprire agli italiani il mito di Djavan, eroe della musica popolare brasiliana di cui già due anni prima aveva reinterpretato “Jazz”. Nel 1997 fu tra i primi protagonisti del pop tricolore a cimentarsi con il rap, quando il genere era ancora di nicchia, con quel meraviglioso esperimente che fu “Rap di fine secolo”, contenuto nell’album “Un pettirosso da combattimento”. Non solo a livello musicale, dicevamo: ma a livello di cultura pop e di costume più in generale. Loredana Bertè ha incarnato, con una libertà feroce, la capacità di stare sempre un passo avanti: nelle mode, nelle immagini, nelle narrazioni del corpo, nello spirito stesso del pop (basti pensare anche al matrimonio con Björn Borg, di cui parlò tutto il mondo). Viene da chiedersi cosa sarebbe stata Loredana Bertè se fosse nata artisticamente oggi, nel mondo globalizzato e iperconnesso dei social e delle piattaforme di streaming, anziché cinquant’anni fa. Non esageriamo se diciamo che probabilmente sarebbe stata l’artista italiana più internazionale di sempre. Perché a guardarla oggi, in retrospettiva, la prova è lampante: Bertè è stata internazionale prima ancora che l’Italia capisse cosa volesse dire esserlo.

Quanti cantanti italiani hanno un video firmato da Warhol?
Non si potrebbe dire altrimenti di un’artista la cui traiettoria umana ha incontrato quelle di giganti come Andy Warhol, Tina Turner, Michael Jackson e la stessa Madonna. Finendo a volte anche per collaborarci. Il sogno americano rincorso da Bertè alla fine degli Anni ’70 la portò alla corte del re della Pop art, che per lei diresse nel 1981 anche il videoclip di “Movie”: «A New York era tutto possibile. Amicizie. Incontri. Sodalizi. Con Andy Warhol ci eravamo capiti, piaciuti e amati fin dal primo sguardo. Con lunare anticipo sui tempi, per “Made in Italy” Andy aveva girato il videoclip di “Movie”. A New York, esattamente come nelle immagini girate da Warhol, camminavo da una parte all’altra della città. C’era un’atmosfera di scoperta. C’erano gli amici. C’erano le notti, gli incontri, le avventure, la compagnia di giro. Alla Factory di Andy passavo tutti i giorni. Warhol andava pazzo per la pasta e io cucinavo per lui e per i suoi adepti», racconta nel libro “Traslocando - È andata così” del 2015. Nel 1982, nel bel mezzo del successo di “Non sono una signora”, in Germania girò per le tv locali insieme ai Jackson 5: «Ero pazza dei Jackson 5 e non mi staccai più da loro per l’intera durata del mini-tour. Andavamo in giro per locali fino all’alba. Pretesi il boom, le foto, i ricordi e conobbi anche Michael. Con il tempo diventammo amici e nel corso degli anni seguii dal vivo qualche suo concerto. Nel 1988 si esibì a Torino. Una mattina, mentre leggevo sul giornale dei preparativi, sentii suonare alla porta. Era un autista, per strada mi aspettava una limousine. Come in una favola - perché Michael di favole viveva - mi aveva mandato a prendere per raggiungerlo. Mi restò un giubbotto che conservo ancora». E Madonna? «L’ho conosciuta bene in America. Se volete saperlo mi ha anche rubato il giubbotto di Moschino. Ero a Los Angeles a scattare delle foto per il disco e per i giornali. Sono arrivata e c’era Madonna per salutare il fotografo e aveva una sfilza di stilisti. Aveva abiti, giubbotti, qualsiasi cosa. Io arrivo con il mio giubbotto fantastico di Moschino, che mi ero comprata. Lei mi guarda e mi dice “bello questo!”. Io le ho risposto “e certo che è bello, è mio”. Lei mi risponde “dammelo”. Io ho risposto di no e lei insisteva “voglio il tuo giubbotto”. Allora arriva il fotografo e alla fine gliel’ho dovuto dare».
A suo agio nei grandi salotti della cultura pop internazionale
Aneddoti glamour o meno, i rapporti parlano di una Loredana Bertè curiosa, aperta al mondo, a suo agio nei grandi salotti dell’arte e della cultura pop internazionale. Riletta oggi, la sua storia fa quasi sorridere. Nel 1974 la Rai censurò l'album d'esordio "Streaking": non solo per le tematiche provocatorie toccate nei testi ("Il tuo palcoscenico" conteneva la parola "cazzo", per la prima volta nel testo di una canzone), ma anche per le fotografie che ritraevano Bertè nuda. La stessa "Sei bellissima" nel 1975 conobbe la scure della censura, in quel caso preventiva. Il testo originale diceva: «A letto mi diceva sempre / non vali che un po' più di niente». I discografici della Cgd, per non imbattersi di nuovo nei guai dell'anno precedente, ritennero opportuno modificarlo così: «E poi mi diceva sempre / non vali che un po' più di niente». Il pancione finto a Sanremo nel 1986 le procurò più danni che altro: gli scandali e le polemiche la travolsero e l'insuccesso dell'operazione portò anche la casa discografica a rescindere il contratto con lei. «Volevo dimostrare che una donna quando è incinta non è malata ma è ancora più forte. Invece la casa discografica mi strappò addirittura il contratto discografico», avrebbe detto Loredana. Il fatto è che mentre l’Italia cercava di starle dietro, Loredana andava sempre altrove.