La musica di Venezia 2025 da non perdere

È stata un’edizione di Venezia davvero molto concentrata sul racconto del mondo musicale quella appena conclusasi al Lido: più che comporre nuovi pezzi e colonne sonore però la musica ha raccontato sé stessa in una miriade di film a tema musicale, per lo più di stampo documentaristico. Vi raccontavamo già ieri del triplete di doc dedicato a tre grandi nomi della musica italiana - D’Angelo, De Gregori, Pelù - che ha scandito la giornata finale del concorso. Nino D’Angelo ha poi regalato al pubblico della Biennale una sua esibizione dal vivo a sorpresa durante la cerimonia di chiusura e la premiazione dei vincitori. Il cantante partenopeo si è esibito sulle note di “Odio e lacreme”. Una scelta non casuale, anzi, una chiara dichiarazione d’intenti dato che la canzone recita “se vince o se perde la guerra è na cosa sbagliata”. A fine esibizione D’Angelo ha dedicato il pezzo ai bambini a Gaza, in Ucraina e in tutti i luoghi del mondo in cui non sono al sicuro a causa dei conflitti in corso.
I documentari musicali migliori visti a Venezia 2025
Ai tre documentari musicali italiani vanno poi aggiunti almeno due altri titoli internazionali che hanno scelto l’approccio non fiction per raccontare momenti importanti e icone della storia musicale. Il primo è “Newport & The Great Folk Dream” di Robert Gordon, presentato fuori concorso. In appena novanta minuti il doc restituisce allo storico festival della musica folk statunitense che segnò gli anni ‘60 la sua autentica connotazione politica e il suo impatto sociale, che nel tempo è stato diluito in parte dalla percezione del genere come una sorta di compendio di ballatone nostalgiche ambientate nel grande west statunitense. Gordon ha scavato in archivi privati e nei luoghi più inaccessibili al pubblico generalista per recuperare le esibizioni inedite o di difficile reperibilità - gli immancabili Bob Dylan, Joan Baez e Pete Seeger ma anche sconosciuti suonatori di banjo dalle zone minerarie, cantanti gospel dalla Georgia e persino pescatori canadesi - ricostruendo in maniera autentica un ritratto completo di cosa significasse davvero stare sottopalco a Newport, a contatto con l’energia di una giovane generazione che sognava il cambiamento. L’altro documentario musicale che si preannuncia da non perdere è “Broken English”; un ritratto della cantautrice Marianne Faithfull che vuole restituire il suo carattere unico e radicale a partire dalla forma utilizzata. Nei fatti il progetto si articola come una classica intervista a mezzobusto, ma a porre le domande a Faithfull e ai suoi ospiti di pregio (Suki Waterhouse, Beth Orton, Courtney Love, Jehnny Beath, Nick Cave, Warren Ellis) sono l’attore George McKay e Tilda Swinton nei panni di delegati del Ministero del Non Dimenticare. Un espediente narrativo ardito che aiuta i registi Jane Pollard e Iain Forsyth a realizzare un lungometraggio non su Marianne Faithfull ma realizzato con Marianne Faithfull, rappresentando ciò che della sua personalità l’artista ha trasformato in arte.
Le colonne sonore e i brani cult di Venezia82
In concorso poi va segnalato un altro progetto musicale molto ardito: “The Testament of Ann Lee” della regista Mona Fastvold, che mescola genere biografico, ricostruzione storica e musical per raccontare la storia della fondatrice della setta religiosa degli Shakers. La colonna sonora del film è firmata da quel Daniel Blumberg che un anno fa ha vinto l’Oscar per “The Brutalist” ed è collaboratore fisso e amico intimo della coppia artistica e di vita Fastvold - Corbet. Dietro il film c’è un grande lavoro di ricerca musicale, perché i brani cantanti da Amanda Seyfried e dal resto del cast sono basati su un campionario molto esteso di inni degli Shaker, setta per cui la musica, la danza e il movimento del corpo (da nome) svolgono un ruolo importantissimo nelle preghiere quotidiane e nella vita comunitaria. L’instancabile Daniel Blumberg ha poi firmato un’altra colonna sonora tra quelle dei film in concorso in quest’edizione: quella del documentario dedicato a una Napoli alternativa e segreta scoperta da Gianfranco Rosi in “Sotto le nuvole”. Sul fronte del cinema italiano abbiamo già parlato dell’incursione di Guè Pequeno e Shablo nel Quirinale utopico e immaginario raccontato da Paolo Sorrentino in “La Grazia”. Alla fine Toni Servillo si è anche portato a casa il premio Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile. Chissà se Alexander Payne e gli altri giurati non siano rimasti colpiti, oltre che dalla performance attoriale, anche dal suo rappare la canzone di Gué “Le bimbe piangono”. Sempre sul fronte del cinema italiano vale la pena di citare il bellissimo coming of age scolastico di Laura Samani presentato nella sezione Orizzonti. “Un anno di scuola” racconta l’amicizia tra una ragazza svedese che si trasferisce per l’ultimo anno di superiori in un istituto ITIS triestino e tre giovani compagni di classe italiani che un po’ la vogliono come amica, un po’ sognano di diventare più intimi con lei. Il film si caratterizza per essere un viaggio emozionale anche dal punto di vista musicale, ripescando vecchie glorie musicali da quell’epoca ma anche dagli anni precedenti. La colonna sonora mette insieme tutto un repertorio di pezzi che fanno immediatamente salire la nostalgia: dai Prozac+ ai Tre allegri ragazzi morti cantati a squarciagola in macchina, con tanto di magliette della band indossate da uno dei protagonisti. La scena musicale più memorabile dell’edizione probabilmente è quella contenuta in “Bugonia” di Yorgos Lanthimos, un regista capace di usare la musica anche come oggetto contundente quando necessario. Si tratta della sequenza più estrema e violenta del film in cui la CEO di un’azienda farmaceutica interpretata da Emma Stone viene rapita da due uomini solitari e ai margini della società, convinti che lei sia in realtà un alieno ostile al genere umano. Nel passaggio in questione Emma Stone, la testata rasata e la pelle coperta di una crema biancastra, viene torturata e sottoposta a lunghe scariche elettroshock mentre dal vecchio stereo dei suoi rapitori suona a palla “Basket Case” dei Green Day con quell’iconico “Am I just paranoid or am I just stoned?”.