Beatles a Roma, 60 anni fa. Rossana L. Baldi: "Io c'ero, e..."

Rossana Lanfiuti Baldi ci apre la sua casa romana, piena di ricordi e memorabilia. Oggi fa la restauratrice; ma il 27 giugno 1965, durante il soggiorno dei Beatles nella capitale, il suo volto comparve spesso accanto al gruppo. Alloggiava nello stesso hotel, riuscì ad entrare nella conferenza stampa e nella loro stanza. Poco dopo fondò il primo Fan Club Ufficiale dei Beatles in Italia. Era ancora minorenne, eppure chi al tempo scriveva ai Beatles, riceva prontamente le sue risposte
Rosanna, quando avvenne la folgorazione?
«Mi regalarono “Please Please me” e già al primo ascolto mi cambiò la vita. Divenni ossessionata dai Beatles. Cercavo informazioni ovunque. Qualcuna la trovavo di notte, sintonizzandomi su una radio inglese, poi avevo fatto un accordo con l’edicola: compravo le gomme se mi segnalavano i trafiletti riguardanti i Beatles. Riuscii a trovare l’indirizzo di casa di George Harrison, il mio preferito e il meno considerato. D’istinto, lo sentivo affine a me ed è ancora così. Louise, la mamma di George, donna cortese e generosa, mi rispose, e la corrispondenza continuò fino al 1970, quando a scrivermi fu il marito, per avvisarmi della sua morte».
Come seppe che i Beatles erano all’Hotel Parco dei Principi?
«Scrissi alla rivista “Big”, che mi rivelò l’indirizzo tramite una lettera. Prenotai subito una stanza nello stesso albergo, facendomi accompagnare dai miei genitori. Avevo 14 anni».
Nel suo caso, nessun conflitto generazionale.
«Mio padre era un grande appassionato di musica e mi attaccò la malattia. Per i primi dieci anni della mia vita vissi ad Asmara, in Eritrea, e la musica che arrivava dall’America mi faceva compagnia. Tornammo in Italia con una cassa di dischi. Non potevamo lasciarli lì».
Riuscì ad entrare nella stanza dei Beatles?
«Sì, con grande fatica. Loro occupavano un intero piano, la mia stanza si trovava al piano di sotto, ma vivevo praticamente sulle scale, in attesa di incontrarli. Erano piantonati da Mal Evans, il roadie che non faceva passare nessuno. Il 27 giugno riuscii ad intrufolarmi prima alla conferenza stampa in hotel, una giornalista mi fece sedere accanto a loro sul divano. Non so perché. Credo che colpisse il vestito che indossavo, aveva stampate le quattro facce dei Beatles avanti e dietro. Bello da fotografare».
La sua foto è famosa, ed è autografata dai genitori di Harrison.
«Quella è una lunga storia, un po’ sfortunata. I genitori di George, con i quali già da molto ero in contatto, vennero a Roma e mi telefonarono a casa per incontrarci ma loro non capivano l’italiano e la donna di servizio che prese la chiamata non capiva l’inglese. Scoprii che mi avevano cercata solo dopo, quando mi arrivò una lettera sulla carta intestata dell’Hotel Parco dei Principi. A quel punto andai a trovarli a Liverpool e mi feci firmare la foto».
Torniamo a quando enrò nella camera dei Beatles.
«Dopo la conferenza, a furia di insistere, feci amicizia con un cameriere molto giovane che mi nascose nel carrello per la colazione e riuscii ad eludere i controlli di Mal Evans».
Che reazione ebbero i Beatles quando spuntò fuori lei?
«Non si stupirono, si comportarono come se mi conoscessero. Paul e John mi accolsero in piedi, mentre Ringo era sul letto che leggeva un libro. Chiesi dove fosse George. Lennon rispose che era nella sua stanza per via di un forte mal di denti ma io capivo poco l’inglese, e la parola “toothache” era difficile da tradurre. Allora John decise di mimarla. Girava per la stanza mimando il mal di denti. Fu divertente. Mi feci firmare da tutti e tre il libro “La vera storia dei Beatles" di Billy Shepherd. La firma di George, invece, la fece qualcun altro, non ricordo chi. Giù al ristorante lo feci firmare anche a Peppino Di Capri, per rendere felici i miei genitori».
Poi andò al cinema Adriano.
«Uscii dall’hotel insieme ai Beatles. Del concerto ricordo molto poco, perché si sentiva solo tanto chiasso. Nemmeno fra loro i Beatles si sentivano, perché erano sovrastati dalle urla. Per fortuna c’erano le smorfie e le faccine di Lennon, molto espressivo, direi teatrale».
Cosa la colpì?
«Il fatto di vedere tanti altri come me. A L’Aquila, dove vivevo, non se ne parlava. Per me era una passione solitaria. Nel 1964 ero andata a vedere “A Hard Day's Night” in un cinema di Riccione e non c’era nessuno in sala. All’epoca qui i Beatles non erano né così famosi né così stimati. Al contrario, si diceva che non avrebbero superato l’inverno, e che era inutile registrare il concerto, di cui infatti restano poche immagini».
Come le venne l’idea di fondare il fanclub italiano?
«Sulla carta ne esisteva uno a Roma, zona Parioli. Lo avevo letto su “The Beatles Book”, la rivista inglese dedicata al gruppo nata nel 1963. Ma quando andai a quell’indirizzo, non trovai nessuno. Sede vuota. Nell’estate del 1965 andai a Londra, presso la sede centrale del fanclub e lo feci presente, proponendo di occuparmene io. Non mi risposero subito. Tempo dopo, arrivò via posta l’approvazione».
Incontrò la storica segretaria Freda Kelly?
«Mai. I Beatles e lo staff, Freda inclusa, mi mandarono gli auguri di Natale e un braccialetto in regalo, ma la segretaria centrale con la quale mi rapportavo io si chiamava Anna Cunningham. Le lettere dei fan italiani arrivavano a Londra e lei me le rispediva in Italia, insieme ad anteprime e notizie sui Beatles. Io rispondevo ai fan italiani, comunicando tutto».
La sede del fanclub era casa sua?
«Sì, prima a L’Aquila, e fino a lì non ci furono problemi. Poi mio padre si trasferì a Cagliari per lavoro, alla Banca d’Italia, e io andai con lui. Mi lasciò usare proprio i lavatoi della Banca d’Italia come nuova sede del fanclub, e qualcuno si lamentò con Londra. Dicevano che la Sardegna non era Italia. Protestai con Londra fino a che non mi lasciarono fare».
Quante lettere riceveva?
«Ad un certo punto, anche 400 al giorno. Lettere d’amore, soprattutto per Paul, richieste di autografi, di foto, di soldi. Da Londra mi arrivavano anche le lettere di fan della Romania: evidentemente lì qualcuno pensava che la Romania fosse italiana. Una volta ricevetti una lettera anche da parte della Regina Margaret, che era stata in vacanza in Sardegna».
Incredibile che in tempi così poco tecnologici, riuscisse ad avere simili contatti.
«Eravamo tutti più distanti ma paradossalmente più vicini, più accessibili. Oggi ci sono le mail, veloci, ma credo sarebbe più difficile ricevere risposte».
Fino a quando se ne occupò?
«Fino al 1968. Il carico era troppo. Dovevo tradurre tutte le comunicazioni ufficiali in italiano, battere a macchina centinaia di lettere di risposta, gestire un migliaio di iscritti, curare il notiziario che usciva su “Big” il primo numero di ogni mese, Dovetti tradurre anche il “Christmas Album”, il loro disco natalizio parlato, esclusivo per gli iscritti. Tutto questo mentre studiavo ancora al liceo artistico. Inoltre, era un'attività malvista».
Che intende?
«Oggi non si capisce il contesto in cui operavamo. L’Italia era ancora bigotta. Dico solo che fui sospesa per tre giorni dal liceo perché avevo osato indossare un paio di pantaloni. Se uno non capisce questo, non capisce quanto i Beatles stravolsero la società. Era una situazione ridicola. Ridicolo che le canzoni straniere venissero spesso riadattate in italiano, ridicolo che Sonny e Cher, al Festival di Sanremo, dovessero cantare nella nostra lingua. A me sembrava che si sminuissero grandi artisti».
Quando si rese conto che i Beatles erano esplosi a livello mondiale?
«A luglio del 1965 ero a Piccadilly Circus per la prima di “Help!” e c’era il panico. Erano diventati inarrivabili, ma in Italia non era ancora così. Successe dopo, e me ne accorsi perché all’inizio avevo totale libertà di manovra con il fanclub e poi i controlli si fecero più stretti. Divenne strano».
E oggi?
«E oggi continuo ad amare i Beatles e a chiedermi come sia potuto succedere che quattro persone cosi speciali si siano trovate insieme nello stesso gruppo».
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Ecco alcuni dei memorabilia custoditi da Rossana:
Foto della tessera di Rossana, iscrizione Beatles fanclub Londra. Anno 1965
Biglietto di auguri natalizi con braccialetto in regalo, spedito a Rossana da Beatles, e dallle due segretarie Freda e Anna
Autografo dei Beatles sul libro, fatto in camera di Hotel Parco dei Principi 27 giugno 1965
Cartolina Beatles che Rossana riceveva da Londra e rigirava ai fan italiani
Foto autografata che Rossana riceveva da Londra e rispediva ai fan italiani
Rossana con il famoso vestito, alla conferenza stampa del 27 giugno 65. Si fece autografare poi la foto dai genitori di Harrison quando li andò a trovare a Liverpool
Lettera che i genitori di Harrison mandarono a Rossana spiegandole che avevano provato a telefonarle per incontrarsi a Roma
Lettera che i genitori di Harrison mandarono a Rossana per informarla di aver cambiato indirizzo
Disco parlato natalizio che Rossana ricevette in esclusiva da Londra per i fan italiani
Lettera della rivista “Big” in cui si davano le info su dove alloggiavano i Beatles
Lettera di ringraziamento della Principessa Margaret
Rubrica che Rossana teneva su “Big”, primo numero di ogni mese
Il lavatoio della Banca d’Italia a Cagliari, diventato la sede del primo fanclub italiano
