Da incendiario a pompiere: Yungblud ora è un classico

Yungblud non abita più qui. Non provate a cercarlo. Non lo troverete, nelle tredici canzoni che compongono il suo nuovo album “Idols”, in uscita domani. Lui che nei suoi primi lavori, da “21st Century Liability” a “Yungblud” del 2022 cantava di un passato fatto di incidenti di percorso e traumi, che raccontava di aver tentato il suicidio più volte e che infarciva i testi delle sue canzoni di luoghi comuni su abusi e dipendenze, ora si mostra in una veste nuova, decisamente diversa. Yungblud non vuole più disturbare o dividere. Ora vuole essere quasi rassicurante. Un modello positivo. Un esempio di redenzione, attraverso la musica. E pazienza se non verrà più percepito come «il futuro del rock», così come lo definì Mick Jagger, o come «la prova che il rock and roll non è morto», per citare Dave Grohl. «Don't give a damn 'bout what they said», «Non me ne frega niente di quello che hanno detto», canta emblematicamente Dominic Richard Harrison, questo il vero nome del 27enne artista di Doncaster, in “Hello Heaven, hello”, una delle canzoni contenute in “Idols”.
Nel 2022 il suo terzo album “Yungblud” fu simbolicamente la colonna sonora del Regno Unito della morte della Regina Elisabetta, la stessa che quarantacinque anni prima di Yungblud era stata presa di mira - tra gli altri - dai Sex Pistols con la loro iconica “God save the Queen”. Con quel mix di pop, punk, emo e rap Yungblud andò a ricoprire un vuoto, nel mercato: merito anche suo se il revival del pop punk di fine Anni ’90 e dei primissimi Anni Duemila, in questi anni, è diventato un trend internazionale che tra le altre cose ha contribuito a rendere cult un movimento dimenticato troppo in fretta. I media hanno provato a ritrarlo come l’artista maledetto della sua generazione e lui con quell’immagine ci ha giocato parecchio. Salvo poi capire che di quel personaggio stava diventando in un modo o nell’altro schiavo. Il tema è centrale nelle tredici canzoni di “Idols”, che Harrison definisce come «il suo progetto più ambizioso».
Per non avere distrazioni, Yungblud si è recato in una località appena fuori dal luogo in cui è cresciuto, nel nord dell'Inghilterra, con i produttori Matt Schwartz e Bob Bradley (già al fianco di Massive Attack, Bullet for My Valentine, Robbie Williams, Morcheeba) e il chitarrista Adam Warrington. In “Idols”, Yungblud esplora il tema dell'adorazione degli eroi, il modo in cui guardiamo gli altri per ottenere una conferma, «spesso mettendo le vite altrui su un piedistallo a spese dell’arricchimento delle nostre esperienze»: «Ci rivolgiamo agli altri per trovare un'identità prima di rivolgerci a noi stessi. Crediamo in noi stessi, ci riabilitiamo, ci evolviamo e cambiamo. Crescendo, perdiamo la fiducia nella magia e nel mistero. Cominciamo a razionalizzare tutto, a costruire le nostre gabbie». Yungblud ha costruito una nuova estetica mettendo insieme riferimenti che vanno dai primi Coldplay a Robbie Williams, passando per gli Oasis, ai quali ha guardato tantissimo per il singolo “Lovesick lullaby”, nel quale canta: «Ho comprato dell'hashish da uno spacciatore in un patetico tentativo di impressionare i miei amici». Il cantautore britannico dice di «non essersi mai sentito tanto lucido» e di «non essere mai stato tanto orgoglioso nel sostenere qualcosa» che ha creato: «Abbiamo fatto esattamente ciò che ci eravamo prefissati di fare. Questo album è un’avventura e voglio che chiudiate gli occhi e vi perdiate nei suoi nove minuti e sei secondi di apertura», spiega, alludendo alla durata del brano che apre il disco, “Hello Heaven, hello”.
Così Yungblud riscrive il finale, fin troppo prevedibile, della sua storia: «Vuoi davvero che io sembri uno zombie?», canta in Zombie. «La canzone è stata scritta inizialmente su mia nonna che ha subito gravi lesioni e traumi che l'hanno portata a diventare una persona diversa da quella che era prima. Parla della sensazione di deterioramento e di bruttezza, di escludere il mondo e le persone che amiamo per paura di diventare un peso o un imbarazzo», spiega. Ma è chiaro come poi il brano abbia assunto un altro significato, ancor più personale: «L’album ruota attorno all’idea dell’amor proprio e della riappropriazione di sé, permettendo alle persone di sentirsi viste e di emanare questa luce. Puoi essere visto per quello che sei veramente, indipendentemente da dove vieni o in cosa credi Avevo bisogno di scrivere un album su questo».
Lunedì 30 giugno Yungblud incontrerà i fan italiani a Milano per «un’esperienza ravvicinata e personale con l’artista», con tanto di esibizione del rocker insieme alla sua band. “Idols” è la prima parte di un doppio album, la cui data di uscita non è ancora stata annunciata.