"Rimmel" ha 50 anni. La storia dell'album.

“Come un disco dei Pooh”: la vuole così la sua prossima creatura, Francesco De Gregori, quando mette mano alle nuove canzoni. È una battuta, una provocazione, lui bazzica altri mondi stilistici e concettuali, ma è vero che punta a un album suonato e arrangiato con tutti i crismi, fuori dal recinto del cantautore tutto chiacchiere e chitarrella. Ha in mente certi dischi di Dylan, quelli della svolta elettrica, ma anche James Taylor o Elton John. Insomma, vuole musica.
Il suo produttore, Lilli Greco, però continua a non capire (come dice una canzone di due anni prima, "Marianna al bivio") e così De Gregori il disco se lo fa da solo, in uno degli studi della Rca ma furtivamente, spacciandolo per provini. È lo studio A, il più grande, quello che serve a registrare le orchestre, e quindi poco utilizzato. Chiama i Cyan, il gruppo di Riccardo Cocciante dell'epoca, che gli sembrano adatti alla bisogna, e poi un chitarrista acustico e squisito, Renzo Zenobi, che però non suona soltanto. Ad esempio su "Pablo" De Gregori vuole un applauso in un certo punto, ma è a Milano, e così spiega tutto per telefono a Zenobi che glielo fa trovare bell'e pronto al ritorno. Insomma, gli fa un po' da vice.
Perché per la prima volta a dirigere tutto, a produrre, come si dice, è lui in prima persona, con i suoi 23 anni, le sue magre competenze tecniche ma con idee chiarissime.
Va tutto bene fino a quando Greco scopre la nave pirata. E l'affonda, implacabile. Il lavoro è già a buon punto, salgono lo sconforto e la rabbia. A De Gregori non resta che andare fin su da Ennio Melis, il presidente Rca in persona, uomo – detto en passant – di raro carisma. Che ascolta in silenzio e poi decreta: “Ok, vada avanti, ma se ne assume tutta la responsabilità” (si davano ancora del lei). E quindi è totalmente De Gregori il responsabile di sessanta settimane in classifica e di un disco dirompente. Nella forma, nel contenuto, nel successo. E perciò anche criticato, a partire dal titolo.
“Rimmel” evoca il mascara ma più in generale il concetto di trucco, qualcosa di falso, di nascosto, qualcosa da smascherare, qualcosa di cui in qualche modo parlano le canzoni d’amore del disco ma anche quelle che guardano al mondo. In questi testi si può navigare a piacere, perdersi e trovarsi, e la musica è musica vera, multiforme, c’è folk americano e c’è folk italiano, c’è jazz, c’è rock e altro ancora.
Nove canzoni che conoscono anche i muri. "Pablo" su un muro ci va pure, come slogan politico, ma passa anche in discoteca. Come coautore ha Lucio Dalla (che in realtà consiglia solo una modifica nel ritornello) ed è stata scritta in occasione di un festival dell'Unità di Bari dedicato all'emigrazione. Invece l'anti-anti-conformista "Buonanotte fiorellino" sboccia, amaramente dolce, in Sardegna a casa di Fabrizio De André, che aveva arruolato De Gregori per scrivere insieme i brani del suo “Volume 8”, degregorissimo album che esce in contemporanea a “Rimmel” e contiene anche una versione di "Le storie di ieri". Su questa il cantautore romano per il suo disco si rivolge per il sax all'amico Mario Schiano, uno dei padri del free jazz in Italia, e Schiano a sua volta chiama al contrabbasso Roberto Della Grotta, che visto che c’è suona anche nella title-track.
L'arpeggio e le imprevedibili armonie di "Pezzi di vetro" sono invece opera di De Gregori stesso, che le ricama ispirandosi un po' allo stile di Zenobi. Mentre il verso “sotto l’angolo retto di una stella” è preso dal poeta cileno Nicanor Parra, che per questo è ringraziato sul retro della copertina.
La canzone nasce da un lampo di gelosia passionale, "Quattro cani" dall'amore per i cani. E poi: "Il signor Hood" è Marco Pannella, il pianista di "Pianobar" non è Antonello Venditti. "Piccola mela" è il primo esempio discografico in De Gregori di brano legato al mondo dei canti popolari italiani. E "Rimmel" è "Rimmel", la canzone che ha – finalmente - buttato all’aria il modo di fare canzoni d'amore in Italia.
Non è forse il miglior disco di De Gregori (“Titanic” complessivamente è più riuscito) ma è quello che gli apre le porte, che colpisce il compagno in eskimo e la signora ingioiellata, la massaia sognante e l’intellettuale più o meno organico.
La copertina del disco è la riproduzione di una cartolina postale d'inizio Novecento con una donna ritratta di profilo, con gli occhi bassi, forse pudìca. È un'idea del grafico della Rca, Francesco Logoluso. De Gregori però all'inizio ne aveva pensata un'altra, ispirata alla Marilyn di Andy Warhol: il viso di una ragazza molto emancipata dopo una intensa notte d'amore (con il rimmel che cola?). Sarebbe stato, concettualmente, l'esatto contrario.
Però, per com'è andata, non crediamo abbia grandi rimpianti. Il disco è decollato poco a poco, settimana dopo settimana, fino a diventare un successo enorme, sconvolgendo e indirizzando la vita di un ragazzo che ha mollato l’università a un passo dalla laurea e ha lasciato un segno forte, perennemente nuovo, nel mondo della canzone. C’è un prima e un dopo di lui nella storia della musica italiana. Grazie a “Rimmel”. E un po’ anche ai Pooh.
Enrico Deregibus è l'autore di "Mi puoi leggere fino a tardi", biografia di Francesco De Gregori edita da Giunti.
