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Dietro le quinte del ritorno di Springsteen e della E Street band

Il regista Thom Zimny racconta “Road diary” il nuovo documentario in arrivo su Disney+
Dietro le quinte del ritorno di Springsteen e della E Street band

Si intitola semplicemente “Road diary”: è il nuovo documentario di/su Bruce Springsteen, in arrivo il 25 ottobre su Disney+ e presentato alla Festa del Cinema di Roma. Racconta il dietro le quinte del ritorno in tour della E Street Band nel 2023, dopo la pandemia - ma con la presenza di materiale d’archivio inedito: uno sguardo inedito sul processo creativo del Boss, tra passato e presente.

Dietro la macchina da presa c’è Thom Zimny che ormai da oltre due decenni cura tutti i progetti audiovisivi di Springsteen, sia quelli grandi (il film “Western stars”, gli speciali su “Springsteen on Broadway” e “Letter to You” per citare i più recenti) sia quelli più piccoli (ha girato il video di endorsement a Kamala Harris recentemente diffuso sui social). Zimny cura anche l’archivio audiovisivo del Boss, da cui è arrivato il “The Legendary 1979 No Nukes Concerts” e da cui provengono i diversi inserti dagli anni ’70 che arricchiscono il racconto di questo film.
“Sono ventiquattro anni che mi occupo per Springsteen di video musicali, documentari, cortometraggi, concerti dal vivo”, racconta Zimny a Rockol in collegamento dall’America. “Ma in questa nuova avventura ho cercato di raccontare un tipo diverso di storia. Una storia più riflessiva”.

La storia di un tour particolare

Il racconto, spiega, si è scritta da solo, senza input da parte del Boss: il ritorno della band in tour. Nel 2022 la E Street Band era pronta a tornare sui palchi, poi il tour venne annullato all’ultimo momento - alcuni manifesti erano già addirittura stati affissi - perché la situazione post-pandemica della musica live non era chiara. Tutto rimandato al 2023:  un tour trionfale, ma anche diverso dal passato (qua il bel racconto che ne fece Ernesto Assante). Uno show molto meno improvvisato, più scritto e scalettato - cosa che fece anche innvervosire quei fan che volevano sorprese ogni sera.
Zimny si definisce “una mosca sul muro” della stanza che ha visto la nascita di quel tour: “Quando abbiamo iniziato a filmare Road Diary non sapevo bene quale sarebbe stata la storia. Sono arrivato durante le prove e mi ha colpito il luogo, un vecchio teatro nel New Jersey, in una città sonnolenta e fredda. Ho pensato che era un bel modo di iniziare il racconto: sono cresciuto anche da quelle parti, conosco bene l’isolamento nelle strade invernali di una città balneare. Però quel luogo permetteva di raccontare lo spirito e la fratellanza della E Street Band, la gratitudine dell’essere ancora assieme. Ma anche il leader della band, Bruce, che capisce pezzo dopo pezzo la storia che vuole raccontare con quel tour, sfogliando il suo taccuino, decidendo quali canzoni suonare, prendendo a appunti e cancellandoli”.

Nonostante Springsteen abbia co-firmato come regista in passato (“Western stars” del 2019), in questo caso non ha dato indicazioni né regole: “In questa fase il suo lavoro consisteva nel trovare la storia da raccontare sul palco, non nel documentario: doveva rimettere in forma la band. Non ne ho mai parlato con lui: solo un saluto e poi siamo tornati alle riprese e lui si è dimenticato della macchina da presa. Invece, ho un ottimo rapporto con Jon Landau: posso stare al telefono con lui per ore a discutere della giornata e di quello che abbiamo visto”, dice dello storico manager del Boss.

Documentari o agiografie?

Una tendenza diffusa tra i documentari musicali, soprattutto dopo la proliferazione dovuta alle piattaforme video che ne commissionano a bizzeffe, è quella di trasformarsi in agiografie, storie della vita di santi baciati dal successo. 
I film di Zimny su Springsteen (e pure le sue altre produzioni su Elvis Presley, Willie Nelson, Johnny Cash e Beach Boys) usano uno stile più asciutto e meno celebrativo: “Non mi interessa questo approccio agiografico. Sono affascinato dall'artista, non sono mai andato a caccia di celebrità o di informazioni sulle vendite o sul successo. Il mio lavoro come regista consiste nell’indossare diversi abiti: uno di questi è quello di essere il fan che rimane meravigliato da quello che vede. Per me, la cosa più difficile da raccontare è la tranquilla intimità di un artista, di un uomo che ripensa alla sua vita nel momento in cui crea una storia, dicendo: Se prendo questa vecchia canzone del 1975 e la metto accanto a questa canzone del 2022 cosa sto raccontando?”

La prima parte del documentario è proprio centrata su questi momenti, sul backstage della creazione di un tour, raccontata con flashback dal passato: “Road Diary è stata una grande occasione per andare a fondo negli archivi: ho trovato questi fantastici filmati della band nel 1973, in cui Bruce scherza con Clarence Clemons, che raccontano da dove è nata la chimica tra queste persone”. Fare film come questo, spiega Zimny, è come usare una macchina del tempo, che aiuta a riportarti nel luogo dove una storia stava succedendo.

Il racconto dei fan

La seconda parte del documentario è il diario propriamente on the road, con canzoni dal vivo, ma soprattutto con il racconto dei fan. “Come si fa a catturare la magia di un concerto di Bruce Springsteen senza parlare dei suoi fan?” spiega Zimny. “Con Road Diary ho avuto accesso completo e ho cercato di raccontare quella che penso sia la magia di essere nel pit e godersi lo spettacolo”.
Gli italiani non saranno contenti di sapere che viene dato parecchio spazio ai loro rivali spagnoli nella corsa al titolo di “maggiori fan del Boss”. Vengono intervistati diversi fan del nostro paese, ma si racconta soprattutto quanto è speciale la Spagna per la E Street Band, e Barcellona in particolare: “La bellezza del pubblico dei loro volti: sono alcuni degli aspetti che volevamo trasmettere. “Ma ho incontrato alcuni grandi fan italiani, mi sono seduto al loro tavolo e ho mangiato e bevuto con loro, ho visto le loro case”, dice Zimny.

I rockumentary oggi

Qual è il ruolo dei documentari sul rock al giorno d’oggi? “Ho iniziato nel 2005 con Bruce che faceva documentari sui suoi album, uno dei primi è stato su quello su “Born to Run”. In quel periodo i documentari sul rock che raccontavano la vita degli artisti erano meno frequenti. Penso che sia emozionante questa opportunità di vedere come un film come Road Diary, perché c’è molto più materiale in giro questo ha rappresentato una grande sfida ma", continua, "Sono legato ad un’idea classica, quella del vecchio cinema. Non cerco di collocare la storia in un periodo preciso, non voglio di inseguire il linguaggio cinematografico che mi sembra contemporaneo in un determinato momento. Voglio fare qualcosa che sia senza tempo e che tra vent'anni ti faccia dire: "Oh, ecco chi era Bruce Springsteen. È un artista in continua evoluzione e bisogna tenere gli occhi aperti, essere la mosca sul muro che vede i piccoli dettagli”.

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