883: Di Salvia (Warner Chappell) risponde a Mauro Repetto

Michele Di Salvia ha lavorato dal 1970 al 2004 alle edizioni musicali Warner Chappell e in questo ruolo è stato il primo interlocutore di Max Pezzali e Mauro Repetto quando furono contrattualizzati come autori.
Dopo aver letto "Non ho ucciso l'Uomo Ragno", il libro di memorie pubblicato tempo fa da Mauro Repetto, Di Salvia scrive una lettera aperta all'autore puntualizzando e precisando alcune affermazioni.
Caro Mauro
spero che questo mio intervento ti trovi bene e in salute.
Ho avuto modo di leggere il tuo libro e sento il bisogno di condividere alcune riflessioni personali. La mia intenzione non è assolutamente sminuire il tuo lavoro, ma sottolineare alcuni punti di vista che trovo - a mia memoria – non corrispondenti al vero.
In particolare, ci sono alcune frasi del libro che mi hanno colpito davvero profondamente, poiché, pur non menzionando esplicitamente il mio nome, il contesto e le descrizioni si riferiscono chiaramente a me. Questo mi ha causato un certo disagio, costringendomi a una doverosa replica.
Ecco alcune tue affermazioni sul comportamento di quello che tu chiami “burocrate”, cioè me, inerenti i tuoi, o meglio i vostri, rapporti con il burocrate stesso, seguite dalle mie considerazioni.
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Mi viene un’idea che, follemente, porto avanti con la faccia come il culo. Chiamo la Warner. Chiedo di poter parlare con un dirigente dicendo di essere amico di un importante direttore d’orchestra di un programma presentato da Raffaella Carrà. Mi aveva colpito il suo nome, un giorno mentre pranzavo guardando la televisione. Lo memorizzo e mi torna in mente quando chiamo la Warner. (…) Intimoriti dal nome che avevo citato, mi passano un tale (di cui voglio mantenere nascosta l’identità e che da questo momento, per brevità, chiameremo “il burocrate”) che, per paura forse di inimicarsi un potente, ci dà un appuntamento. La Warner, ragazzi. Un appuntamento alla Warner. Roba da farti tremare le gambe prima ancora di uscire di casa.
Innanzitutto, ricordo perfettamente la telefonata di quel giorno: “Siamo due ragazzi di Pavia…”, ma non mi sembra di ricordare la strategia adottata. Comunque, poco importa perché io ho sempre dato spazio e ascolto a tutti, perché era il mio lavoro in qualità di talent scout e responsabile del repertorio italiano della società da te menzionata.
Pagina 45
Ci presentiamo con “Nella notte” e “Non si può”, cantate da me. Non sono entusiasti, ma, in maniera per noi sorprendente, ci offrono un contratto editoriale, quindi come autori. Definirlo capestro è usare un eufemismo. Ci offrono un forfait di 200.000 lire, 100.000 a testa, per tutta la vita. Se avremo altri guadagni sarà perché saranno riusciti a piazzare delle canzoni. A noi va comunque bene. (…) Piccolo particolare: quel contratto ci obbliga a sfornare ogni anno venti canzoni. Per il momento non ci preoccupiamo di quell’aspetto e ci godiamo un briciolo di felicità
Il contratto in esclusiva, sottoscritto nel 1989, prevedeva 3 anni con un impegno da parte vostra di consegnare e depositare, presso la SIAE, un numero minimo di 8 (otto) composizioni all’anno, e non 20 come hai scritto tu. Non era un contratto capestro, bensì un normale contratto per quell’epoca che prevedeva un compenso di lire 330mila, come stabilito dagli avvocati, e non da me o dall’azienda, per autori non ancora conosciuti. Aggiungo che il contratto non è stato proposto al primo appuntamento, ma se non ricordo male al terzo. Inoltre, in caso di successo, eravamo sempre pronti alla rivalutazione contrattuale come stabilito dalla logica del rapporto. Ma poi avete scelto un altro editore.
Pagina 46:
Possiamo dire agli amici che abbiamo firmato con la Warner (che sia la Warner Chappell e non la Warner Music non lo sa nessuno) e dare l’illusione ai nostri genitori che non stiamo poi buttando tutto il nostro tempo.
Non era vergognoso avere un contratto con la Warner Chappell: al contrario, era fonte di orgoglio per moltissimi autori, ma tu hai cambiato il senso. Ti ricordo che in quegli anni l’azienda viveva un periodo storico in cui la sua popolarità era molto alta e ben conosciuta dagli addetti ai lavori. Molti autori avrebbero fatto carte false per lavorare con noi. Ne so qualcosa perché, come tu ben sai, ogni giorno vedevo e ascoltavo nuove proposte e idee, e lavoravo con autori già contrattualizzati con noi oltre a seguirne alcuni in sala di registrazione in fase di “provino”.
Pagine 46/47:
Le prime due canzoni che portiamo sono “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” e “Come mai”. Due brani che diventeranno poi, possiamo dirlo, degli evergreen. Non piacciono. A nessuno. Nessuno. Il burocrate ci dice: «Non c’è l’idea. Li ho fatti ascolta re in giro, ma senza successo». Questo all’inizio. Dopo un po’ la risposta cambierà, e diventerà un po’ più dura e sintetica: «Fanno cagare, non c’è l’idea». Il burocrate argomentava il nostro insuccesso: «Vedete,
Marcello Pieri l’hanno preso perché… Alessandro Canino l’hanno preso perché… Sapete perché non hanno preso voi? Perché fate cagare e non c’è l’idea».
Noi, silenzio.
«Non mi piace quello che fate. Però potete riprovarci».
Non è assolutamente vero che le prime due canzoni sono state “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” e “Come mai” (più avanti racconterò quando e come le ho ascoltate). Se non ricordo male, erano: “Con un deca”, “Non me la menare”, “Lasciati toccare” e altre. Anche se mi sfugge qualche titolo poco importa, c’è da dire che sono passati 35 anni e io di “provini” ne ricevevo e ne ascoltavo tantissimi.
Ancora non esistevano le prime due citate né “Tieni il tempo”, “Finalmente tu”, ecc. Arrivarono in un secondo tempo. Mi sono piaciute subito, tanto è vero che, come “Come mai” e “Lasciati toccare”, io le portai in giro per le “7 chiese”, come si usava dire, cioè le case discografiche allora operative. Quello era proprio il mio lavoro.
Le “7 chiese” mi conoscevano benissimo perché quasi ogni giorno ero da loro con qualche proposta. Avendo molti autori, io facevo “girare i pezzi”. Quando poi nasceva la possibilità di proporre un artista, lo facevo con maggior entusiasmo.
Vorrei ricordarti che io non ho mai utilizzato quel linguaggio, volgare e scurrile, perché non mi appartiene e non è mai stato nel mio vocabolario, soprattutto per non offendere l’autore. Perché, per quanto un brano non sia utilizzabile, è pur sempre un’opera d’ingegno. Al contrario, cercavo di stimolare l’autore nella composizione, nell’impegnarsi nella ricerca per migliorare il lavoro; sì, perché quello dell’autore è un lavoro molto impegnativo, per cui mi limitavo sempre a dare consigli costruttivi e non distruttivi.
Pagina 47:
«Non mi piace quello che fate. Però potete riprovarci. Provate a scrivere una canzone per Massimo Ranieri e io gliela farò ascoltare. Anche se so già che non ce la fa rete a tirare fuori qualcosa di buono perché fate cagare.»
L’idea di proporre un pezzo a Massimo Ranieri nasce dal risultato negativo ricevuto dalle “7 chiese”. Non mi chiedere perché, ma posso supporre che chi era alla direzione artistica in quel periodo non fosse convinto al 100% del prodotto. Succede. Ci sono diversi casi di brani rifiutati in un primo tempo e arrivati al successo poi.
Per cui, in un momento di stallo, decisi, sempre consultando voi autori, di pensare a chi si potevano proporre… A malincuore si optò di inviare “Come mai” a Massimo Ranieri, almeno come tentativo, e anche per avere un parere da un artista affermato. Con il senno del poi, fortunatamente, mi risposero che era un buon pezzo per il quale però non c’era spazio nel repertorio di Massimo.
Pagina 51:
Con “Mon doux cœur” nello zaino e il sogno sempre in tasca andiamo in Warner dal burocrate. Comincia ad ascoltare. Schiaccia “stop” dopo dieci secondi. «Cazzo, ma vi avevo detto di scrivere in italiano. Cosa pensate che faccia, che vada da Massimo Ranieri a fargli ascoltare un brano in inglese e a farmi prendere per il culo da lui?» Noi, muti. Schiaccia di nuovo “play” e ascolta fino alla fine. Dice: «Dai, tornate a casa e scrivetela in italiano»
Tutta la “ramanzina” sullo scrivere in italiano derivava dal fatto che avevate già scritto diversi testi interessanti nella nostra lingua: perché non continuare a farlo? Inoltre, mi permisi di consigliare di far cantare tutti i “provini” a Max perché aveva, ed ha, una voce più interessante per estensione e carattere…
Pagina 52:
Torniamo a Pavia come sempre scornati. Max comincia a essere stufo. Dice che non si va da nessuna parte. Lo convinco a provarci ancora. Dai che dobbiamo scrivere qualcosa per Massimo Ranieri. Per lui componiamo “Come mai”. È molto tradizionale, forse troppo per i nostri gusti. Il burocrate diceva che forse saremmo riusciti ad andare a Sanremo, ma a noi l’idea non entusiasmava troppo. Venivamo dal rap, avevamo quell’integralismo che è tipico dell’adolescenza. Volevamo sfondare unendo rap e rock, Sanremo era roba da vecchi. Ma il burocrate era stato chiaro: «Dovete scrivere con in testa il Festival di Sanremo. Voglio quella roba lì».
Una precisazione: “Come mai” non fu scritta appositamente per Massimo Ranieri, era già pronta e cantata da Max. Pensa che tu hai scritto: “È molto tradizionale, forse troppo per i nostri gusti…”. E io ti dico: così tradizionale che ancora oggi, dopo 30 anni, risulta uno dei vostri brani più apprezzati…
Pagina 52:
Come sempre, casa di Max, pomeriggio, post-caffè e post-sigaretta. Siamo alla ricerca di un’ispirazione, di qualcosa che ci dia il via, della pistola dello starter. Max guarda l’orologio alla parete e poi, sulla musica di “Mon doux cœur”, accenna il primo verso. Abbiamo l’inizio, e che inizio. Finiamo la canzone in pochissimo tempo e torniamo dal burocrate convinti, come sempre, di avere qualcosa di buono in mano. L’avevamo davvero, perché quella che stiamo per far sentire al dirigente della Warner è “Finalmente tu”. Il burocrate ascolta, poi ci guarda e dice: «Fa cagare e non c’è l’idea»
A proposito di “Finalmente tu” non mi sono mai permesso di esprimermi in quel modo, sempre volgare, scurrile e maleducato, tutt’altro, l’ho apprezzato molto… ma tu ti sei divertito nell’elaborare una versione più colorita.
Pagina 55:
“Una canzone d’amore” uscirà dopo la mia fuga, senza il mio nome tra gli autori. Nessun problema”.
Non vorrei sbagliarmi, ma “Una canzone d’amore” fu scritta dopo il vostro abbandono della Warner Chappell, per cui è impossibile che ti abbia dato la classica risposta distruttiva che continui a ripetere… Uscì nel 1995, per un altro editore musicale. Il nostro contratto aveva una durata di 3 anni, dal 1989 al 1992… Te lo ricordi, oppure vuoi una foto?
Pagina 55/56
Salto in avanti nel futuro. Siamo già famosi, siamo gli 883. Entro in Warner Chappell e passo davanti all’ufficio del burocrate. Vedo che proprio all’ingresso, sul muro, c’è un poster degli 883. Incredibile, non ci aveva mai cagato e adesso appendeva un nostro poster. Esce dal suo ufficio. Siamo uno davanti all’altro. Mi chiedo che cosa provi, se si ricordi di tutto quello che ci ha fatto passare. Mi chiedo se si vergogni un po’ o se si sia pentito di non averci mai dato credito
Niente di tutto questo. Mi tratta come se fosse stato lui a scoprirci, come fosse stato lui il nostro pigmalione. Ci manca solo che cominci a rievocare il passato, alterandolo, parlando dei vecchi tempi. Non gli dico niente. Va bene così. Non sono tipo da vendette. Sorrido e lascio correre. Ci penso ancora tornando a casa. Probabilmente il burocrate vendeva agli altri la storia bella di due ragazzi che andavano da lui a fargli ascoltare le loro prime canzoni e lui dava loro una mano. Non è andata proprio così, ma a me va bene lo stesso.
Essendo stato io, insieme a un’altra persona, il fautore del vostro successo, non c’erano vergogna o pentimento, ma solo la soddisfazione di non aver ceduto quando tutto era contro d noi… Il poster che tu hai descritto era solo una testimonianza di orgoglio personale e aziendale che coronava il lavoro svolto.
A fronte di tutte queste affermazioni sul mio comportamento, non mi spiego che senso abbiano avuto la tua telefonata e l'invito a cena al Cafè Atlantique. Credo fosse il 1995. Ricordo che è stata una bella serata, abbiamo parlato molto. Qualche tempo dopo sei partito per nuove avventure...
Pagina 78
Via Massena 2. Quello è l’unico indirizzo che conta. Non voglio più telefonare e chiedere di parlare con qualcuno, non voglio mandare per posta la cassettina. Voglio portarla di persona e consegnarla al portiere, con la preghiera che non la metta nel cassetto a prendere polvere, ma la dia a Claudio Cecchetto. Mi preparo. Ascoltiamo per l’ennesima volta la cassettina di Non me la menare. Ci sembra che suoni benissimo.
«Domani vado a Radio Deejay»
E per concludere, non è vero che avete portato voi i pezzi alla DJ’s Gang, ossia in via Massena, ma li ho portati io.
Tutto cominciò quando mi venne in mente che avevate partecipato al programma “1 2 3 Jovanotti”, televisivo e radiofonico, condotto da Jovanotti, e così decisi di tentare e andare personalmente in via Massena. Voi, però, non eravate molto convinti perché non era successo niente dopo la passata partecipazione come “I Pop”, per cui non eravate ottimisti.
All’epoca conoscevo tutti e tutti conoscevano me. Telefonai a un mio amico e gli chiesi un appuntamento. “Dai, così ci vediamo. Ascolterò volentieri cosa hai da proporre,” mi rispose.
Mi organizzai. Portai con me, in una “cassetta”, “Non me la menare”, “Lasciati toccare” e altre due che, al momento, non ricordo. Al mio amico piacquero molto; una su tutte, “Non me la menare”, tanto è vero che mi disse: “Le farò ascoltare a Claudio…”
Ci lasciammo con un “ti faccio sapere…”
Pochi giorni dopo mi chiamò il mio amico e mi disse: “A Claudio sono piaciute, cosa vogliamo fare?”
Io risposi: “Pubblichiamo qualcosa.” Il pezzo più forte era proprio “Non me la menare” e così partì da Castrocaro l’avventura che dura ancora oggi. Mi chiesero di inviare tutto il materiale che avevo: “Come mai”, “Finalmente tu”, “Tieni il tempo” e il resto del repertorio ovviamente già tutelato con la SIAE.
Dopo qualche giorno, probabilmente stimolati dal responso positivo, tu e Max mi chiamaste e mi invitaste a cena a Pavia. “Dai, con tutte le volte che ci hai invitato tu, possiamo almeno offrirti una cena? Poi devi ascoltare un pezzo fresco fresco e ci dici cosa ne pensi.”
“Vabbé dai! Vengo a Pavia e sentiamo ‘sta cosa nuova che avete scritto…”
Tutto molto divertente, cena buona, scambio di battute… speriamo che la pubblicazione e il rapporto con Claudio continui…
“Allora mi fate ascoltare cosa avete scritto? Basta chiacchiere, è tardi…”
Mi fecero accomodare nella loro macchina, inserirono una cassetta e partì “Hanno ucciso l’Uomo Ragno”
Lo ascoltai fino alla fine. “Ragazzi, il pezzo è fortissimo. Non ho capito un cazzo del testo, ma il pezzo è forte.”
Questo a botta calda.
Poi mi spiegaste il senso del testo e lo apprezzai ancora di più. Mi portai via la “cassetta”. Il giorno dopo telefonai al mio amico e gliela feci avere immediatamente. Mi telefonò nel giro di un paio d’ore: “Micky,” mi chiamava e mi chiama ancora così, “il pezzo è fortissimo… a Claudio è piaciuto molto…”
Il resto è storia… e Claudio ha fatto veramente un lavoro perfetto.
Tutte le altre vicende raccontate nel libro non le commento semplicemente perché non mi riguardano. Ufficialmente non mi avete mai detto perché siete spariti dalla mia vita lavorativa. Non riuscivo più a parlarvi, non siete mai più venuti a trovarmi, nemmeno una telefonata per sbaglio, e non mi avete mai detto grazie per tutto quello che ho fatto per voi…
Ma questa è la normalità, per alcuni artisti senza cuore.
In bocca al lupo per il tuo futuro.
Michele