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Il documentario sui Pavement fa rimpiangere i biopic agiografici

Alex Ross Perry realizza un documentario sulla band a dir poco respingente
Il documentario sui Pavement fa rimpiangere i biopic agiografici

I documentari agiografici e retorici che raccontano le icone della musica mondiale come icone della musica da venerare hanno poco senso d’esistere e non piacciono quasi a nessuno. Il regista Alex Ross Perry ha il merito di averci mostrato l’estremo opposto dello spettro: a meno di non essere fan della band Pavement a livello di culto settario, "Pavements" è una visione che si trasforma in una punizione.

Due ore di documentario musicale sono tante da digerire, anche per raccontare l’ironicamente autoproclamata “band più importante e influente al mondo”. Anche e soprattutto se si rinuncia a tutto l’armamentario di narrazione e commento che questo tipo di progetto prevede di default: uno sviluppo temporale lineare nel raccontare l’evoluzione musicale della band, inframezzata al commento critico di giornalisti e musicologi, le testimonianze di colleghi e familiari. I progetti migliori in questo senso tengono insieme la necessità d’introdurre il pubblico che non conosce il soggetto del documentario e quello che al contrario è preparatissimo spera di carpire qualche informazione in più in merito.

Un po’ c’era da aspettarselo: da convinto estimatore della band e del suo approccio volutamente indie e controcorrente, il regista di Her Smell pianifica un approccio unico al racconto della band, volto proprio a restituire anche nella forma del documentario l’unicità del soggetto musicale che racconta.

I Pavement raccontati tra storia e inside jokes

Sulla carta "Pavements" ripercorre la storia di una delle band criticamente più acclamate degli anni ‘90, mai veramente esplosa a livello mainstream, in larga parte per volontà del suo frontman, il ruvido e sfuggente Stephen Malkmus. Nella pratica però è un miscuglio di filmati d’archivio, ricostruzione delle svolte cruciali della band (il primo scioglimento, la famigerata esibizione flop al Lollapalooza, le due reunion degli ultimi anni) e meta-narrazione di altri progetti che hanno tentato di raccontare questa stessa storia.

Il doc si apre con le prove della band in vista del suo ritorno sulle scene dopo 12 anni di iato, nel 2022. Alle prove della band si inframezzano quelle del cast del musical off-Broadway “Slanted! Enchanted!”, che mette insieme le canzoni più famose dei Pavements, cantandole e coreografandole in maniera intonata, partecipe, coordinata; cioè tutto il contrario dell’approccio del gruppo che le ha scritte.

C’è anche il dietro le quinte di una mostra temporanea e celebrativa della storia della band intitolata “Pavements 33-22” al Whitney Museum. Infine fa capolino anche il dietro le quinte di un film biografico di quelli retorici e a caccia di Oscar, con protagonista Joe Keery di Stranger Things nei panni di Stephen Malkmus. Viene più e più volte rimarcata una somiglianza così impressionante per fisicità e attitudine da turbare gli astanti. Di questo ultimo progetto non ne avete mai sentito parlare perché è uno dei tanti inside joke, delle tante prese in giro di una band che dell’irridere la scena musicale e l’approccio “serio” e “cotonato” delle band rock loro coeve ha fatto la spina dorsale della propria identità pubblica.

"Pavements" racconta i Pavement sono a chi li conosce già

Qui sta il vero problema di "Pavements". Sui social qualcuno irrideva uno spettatore sorpreso a googlare informazioni sulla band durante la proiezione alla Mostra del cinema di Venezia, dove il film è stato presentato nella sezione Orizzonti. È un metro indicativo sia dello snobismo del pubblico per cui è pensata quest’operazione, sia di quanto "Pavements" non sia davvero in grado di raccontare la band a chi non la conosca già a menadito.

Anzi, il documentario perde una splendida occasione per riflettere in maniera critica su dove finisca la ribellione contro il sistema discografico mainstream, la fama e le interviste e dove cominci una posa, un non vedere come negli anni i Pavement hanno fatto il giro diventando “la band da citare per sembrare intelligenti”. Lo dice Noah Baumbach, sceneggiatore, regista e marito di Greta Gerwig, commentando la battuta del film Barbie in cui vengono citati proprio Malkmus. e soci.

Dagli anni in cui resistettero al tentativo di renderli mainstream e famosi a livello internazionale**, i membri della band nel frattempo sono invecchiati.** Indossano ancora le camicie di flanella, fanno ancora sold out riempiendo le live house di quanti hanno fatto parte del “culto” della band, la cui memoria è gelosamente custodita tra quanti dettano cosa sia cool e cosa no ascoltare. Sia chi sta sopra sia chi sta sotto il palco ha qualche capello bianco.

Tutta la mia solidarietà per il googlatore alla mia stessa proiezione: Perry si fa decisamente prendere la mano, mescolando realtà e presa per i fondelli così marcatamente che viene voglia di fare fact checking su tutto. Non si è sicuri su niente di ciò che viene detto, a meno di non sapere già quali assurdità siano fatti realmente accaduti e quali eventi verosimili siano assurdità confezionate per far ridere chi ha gli strumenti per farlo. L’unico messaggio che Pavements trasmette forte e chiaro è che se non sai già a memoria quello che sta per raccontarti, se non ascoltavi i pezzi della band all’epoca o oggi, allora lo sfigato sei tu.

Un approccio che rischia di diventare pericolosamente una posa quando, appunto, il blockbuster estivo di uno studio come Warner Bros dedicato alla bambola espressione del capitalismo nel mondo dei giocattoli pensa che anche per il pubblico generalista il nome della tua band sia abbastanza evocativo per far passare quel concetto: Pavement come musica cool, di nicchia, distaccata, una battuta che o la capisci o sei fuori. Non importa che li ascolti oppure no, il messaggio è charo.

"Pavements" racconta molto bene questo “o sei dei nostri o non lo sei”, mentre manca completamente di spiegare il perché, musicalmente parlando, la band abbia custodito così gelosamente la propria indipendenza, per preservare cosa. Cosa tocchi nei cuori e nelle menti dei fan più appassionati la musica dei Pavement rimane un mistero, facendo passare da snob e antipatico quel fan genuinamente commosso che piange all’annuncio della reunion. "Pavements" è la summa di un circoletto che parla a sé stesso di ciò che già conosce, senza comunicare col mondo esterno. È anche l’incarnazione dell’eterno dilemma di ciò che ha il potenziale per parlare a una audience più vasta ma è preoccupato (a ragione) di perdere la propria essenza e specificità per raggiungerlo.

Un buon documentario sperimentale e audace nella forma avrebbe potuto essere il giusto compromesso per raccontare i Pavement a tutti, preservandone e omaggiandone la specificità. "Pavements" di Alex Ross Perry non è proprio quel doc.

 

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