Quando i Queens of the Stone Age erano i salvatori del rock

Il 27 agosto 2002 i Queens of the Stone Age pubblicano il loro terzo album "Songs For The Deaf". Alla batteria siede Dave Grohl in libera uscita dai Foo Fighters e in più di un brano partecipa Mark Lanegan. Alla sua uscita venne pubblicizzato dicendo che era così pesante che anche i sordi potevano sentirlo. Questa che segue è la nostra recensione del disco che regalò i primi successi alla band di Josh Homme.
Ci sono gruppi che sono inevitabilmente destinati ad attirare attenzione di pubblico e critica. Prendete i Queens Of The Stone Age. Questo nuovo capitolo della band americana segue a due anni di distanza l’acclamato e pluripremiato “Rated R”. L’attesa era tale che i Queens sono stati da più parti presentati come i salvatori del rock. Beh, in un periodo in cui il rock equivale al Nu-metal, in cui del grunge – che, ricordiamolo, agli inizi degli anni ’90 venne salutato come il ritorno all’autenticità e alla purezza - si è persa ogni traccia, pare abbastanza naturale, anzi un po’ scontato. Perché questo fanno, i QOTSA: rock grezzo e secco, diretto discendente della scena di Seattle, attorno alla quale i due leader Josh Homme e Nick Oliveri hanno abbondantemente gravitato.
Comunque, pensate a che fine hanno fatto i grandi nomi del grunge della decade scorsa: Nirvana, beh, lo sapete. Screaming Trees, sciolti; il cantante Mark Lanegan ora fa tutt’altro genere. Soundgarden, idem come sopra, con la differenza che Chris Cornell si è perso nei meandri di una collaborazione con i post-RATM. Alice in Chains, che Layne Staley riposi in pace. Solo i Mudhoney (freschi di pubblicazione di un disco) e Pearl Jam sono sopravissuti; ma questi ultimi, peraltro, avevano scelto altre strade subito dopo il successo di “Ten”.
Non fraintendeteci, non è che i QOTSA non siano bravi e non si meritino tutta quest’attenzione. Anzi: questo “Songs for the deaf” è un disco potente e diretto come non se ne sentivano da tempo. Ma il dubbio che sorge – al di là delle domande sul coro di lodi dei media, sul quale Rockol già si interrogò recensendo “Rated R” - è proprio questo: non è che negli ultimi tempi le nostre orecchie di ascoltatori si sono un po’ abituate ai suoni pseudo-rock e patinati dei nu-metallers? Non è che questo disco risalta soprattutto in contrasto con il desolante panorama sonoro degli ultimi tempi in questo ambito?
Dal canto loro, i QOTSA non fanno nulla per smentire la pista che porta a Seattle: dietro la batteria siede Dave Grohl (e - ragazzi! - si sente…). Anche Mark Lanegan viene accreditato come membro del gruppo: quando canta in “Hangin' tree” sembra di risentire gli Screaming Trees. Ma i QOTSA mettono anche assieme un intreccio davvero poderoso tra riff micidiali e strutture ritmiche, come dimostrano brani come “Do it again” e “Songs for the dead”. Insomma, “Songs for the deaf” è sicuramente l’opera più compiuta e completa della band. I QOTSA sono indubbiamente una delle migliori realtà del contemporaneo panorama rock, dove questo termine va inteso nella sua accezione più ortodossa. Ma il punto, nuovamente, è questo: che tristezza, questo panorama contemporaneo rock…