Glen Hansard è tornato a suonare "Drive all night"
“Mi contraddico? Ebbene sì, mi contraddico”. Quando Rockol ha intervistato Glen Hansard qualche giorno fa, il cantante rivendicava l’idea di fare cose diverse, anche in contraddizione: contenere moltitudini. Una dimostrazione? Il concerto di giovedì sera a Bologna al Sequoie Music Park.
Hansard come Dylan che cita Whitman, insomma, perché se nella chiacchierata ci aveva detto a proposito di “Drive all night” di Springsteen “Sono stanco che tutti me la chiedano, quindi non la faccio più”, alla fine eccola lì, quasi in chiusura della scaletta (ma non in quella stampata e regalata al pubblico delle prime file), la lunga ballata di “The river” che Hansard aveva imparato per il matrimonio di Salma Hayek, che aveva pubblicato in un Ep in cui suonavano anche Jake Clemons ed Eddie Vedder, e che per un bel po’ di tempo era diventata un rito immancabile dei suoi show, salvo poi sparire dalle sue scalette.
Rigorosamente eseguita senza che nessuno gliel’abbia chiesta, trascina il pubblico che si è alzato e si è messo alla transenna (“Sono sicuro che state bene, ma non so se quelle sedie sono comode” aveva detto poco Glen invitando allusivamente i fan ad avvicinarsi per il rush conclusivo).
Generosità (compressa)
È il finale di una serata in cui come al solito Glen Hansard ha sciorinato tutta la sua generosità, purtroppo compressa nel timing tra il concerto del rapper Silent Bob nel palco lì vicino e il coprifuoco obbligato del parco delle Caserme Rosse, che limita la durata a circa un’ora e mezza, tra le 22 e le 23,30. Un inciso: siamo sicuri che sia una buona idea programmare due eventi (uno dei quali previsto per le 21 e posticipato di un’ora) nella stessa serata? Detto questo, né il protagonista né il pubblico prodigo di applausi e ringraziamenti si fanno rovinare l’umore da questi aspetti logistici, e viene fuori l’abituale trasfusione d’amore andata e ritorno tra il palco e la platea. Anche musicalmente il Glen Hansard della serata contiene moltitudini: mette insieme l’anima romantica, aprendo con “Don’t settle” (che già al suo interno è un campionario di sensibilità) e la coheniana “Sure as the rain”, ma poi si carica di energia per “The feast of St. John”, uno dei pezzi del più recente “All that was east is west of me now”, che recupera l’anima elettrica dei tempi dei Frames, così come la seguente “Donwn on our knees”, che richiama la passione per i Pixies e che a Bologna si dilata in una coda strumentale piena di fragore e poesia. I Frames più avanti arrivano davvero, non solo perché al fianco di Glen ci sono Joe Doyle e Rob Bochnik, rispettivamente bassista e chitarrista della band, ma anche perché “Star star” è tra i momenti più preziosi, piena di citazioni, dalla “Pure Immagination” di Willy Wonka, a “Hotellounge (Be the Death of Me)” dei dEUS, fino a una splendida versione di “You are the most beautiful widow in town” degli Sparklehorse.
Ancora dal repertorio della band originaria vengono la travolgente “Revelate” e “Seven day mile”, suonata dopo l’intermezzo in cui salgono sul palco Martino e Benedetto Chieffo per cantare la “Gloria” scritta dal padre Claudio, un singolare momento a cavallo tra il catechismo del sabato pomeriggio e la messa dei giovani della domenica mattina.
Un concerto collettivo
I concerti di Glen Hansard sono così: la ribalta spetta anche a molto di ciò che vive, agli incontri più o meno casuali a cui non si sottrae mai (tanto che l’after-show nel backstage va avanti fino all’una e mezza) e che abbattono il muro tra performer e spettatori, formando una specie di comunità, alla maniera del folk. Il gruppo funziona, la batteria di Earl Harvin, musicista dalla grande sensibilità soul, spinge bene anche sui pezzi più frenetici, il violino di Garet Quinn Redmond (emozionante l’introduzione di “Ghost”) aggiunge (perfino nell’aspetto) un intenso rosso/verde Irlanda alla palette di colori, e Mya Audrey al piano sottolinea con grande eleganza e lirismo i momenti delicati, quelli in cui i cuori battono più lentamente e il respiro segue le emozioni di Hansard, che ha in mano tutto e tutti.
Immancabili ovviamente, e piazzati quasi all’estremo della scaletta, i due caposaldi degli Swell Season, “When your mind’s made up” e “Falling Slowly”, ma l’unico bis, prima che il protagonista faccia il gesto della mano che taglia la gola per dire “Ci tocca smettere”(saltano sanguinosamente “Fitzcarraldo” e “This gift”, pure provate nel pomeriggio) è per la dedica a Eddie Vedder con “Song of good hope”, entrata nel repertorio live del leader dei Pearl Jam. “Amo quell’uomo più di quanto riesca a spiegare” dice Glen, e la platea risponde con la stessa dichiarazione, prima di tornare a casa felice.
Setlist
Don't Settle
Sure As The Rain
The Feast of St. John
Down On Our Knees
Time Will Be the Healer
When Your Mind's Made Up
Gloria
Seven Day Mile
Ghost
Bearing Witness
Revelate
Star Star / Pure Imagination/Hotellounge (Be the Death of Me)/You are the most beautiful widow in town
Falling Slowly
Her Mercy/Bird on the wire
Drive All Night
Bis:
Song of Good Hope