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Leon Faun è cresciuto

Il giovane artista racconta il suo secondo album “Leon”.
Leon Faun è cresciuto

Per Leon de la Vallée, artista conosciuto con il nome d’arte Leon Faun, romano, classe 2001, è stato fondamentale crescere. Non solo artisticamente, ma umanamente. Il suo primo lavoro, nel segno di una sorta di fantasy-rap, in cui mischiava il linguaggio tipico delle barre con contenuti e immaginari magici e fantascientifici, è uscito nel 2021 con il titolo “C'era una volta". Ora arriva la sua seconda fatica discografica, “Leon”, che già dal titolo fa capire la sua volontà di ripartire da se stesso in modo più diretto e meno articolato.

“Per lavorare a questo disco mi sono preso il giusto tempo – racconta – oggi questo tema è molto dibattuto in effetti perché è sempre tutto molto veloce e accelerato, ma io credo che per fare nuova musica sia necessario crescere, lavorare, sperimentare. In questo album sono sempre io, non sono cambiato in modo radicale, ma sicuramente sono più diretto e meno criptico. È senz’altro il lavoro più umano e personale che io abbia mai fatto. Ho avuto la necessità di metabolizzare e di capire determinate questioni. L’arte ha bisogno di tempo”. Nel disco, che racchiude gli ultimi anni di percorso, artistico e umano, Leon Faun sceglie, per la prima volta, di raccontare se stesso e il proprio mondo interiore senza avvalersi di barriere o di espedienti narrativi.

Attraverso le 13 tracce di “Leon” il giovane artista offre al suo pubblico un’esperienza sentimentale più ampia. Una tela bianca, come quella nella cover, da riempire con amore, rabbia, felicità, speranze, disillusioni. “C’è anche una palla al piede nella copertina che simboleggia il blocco creativo. Già nel primo disco c’era un tentativo di evadere in qualche modo dalla realtà – ricorda – non c’era solo il mondo fantasy, ma senz’altro in questo secondo album c’è un distacco forte, in queste canzoni ci sono io, la mia vita, non un ‘altro’. Questo lavoro non è criptico, io vengo dal rap, il mio imprinting è quello, ma credo che ci sia anche altro”. 

Leon” racconta il disagio di non sentirsi capiti o di percepirsi bloccati in uno stereotipo, affrontando diversi momenti di difficoltà che si sono alternati nel corso della sua vita: dal dolore della perdita alla frustrazione vissuta per l’impossibilità di esibirsi. La malinconia che accomuna diverse tracce, tuttavia, non è totalizzante: la musica agisce come uno strumento di terapia, un mezzo attraverso cui elaborare le proprie emozioni e trovare la propria voce. Le produzioni, curate da Duffy, False, Sick Luke e Eiemgei, abbracciano una vasta gamma di sonorità, esplorando nuove dimensioni musicali e prediligendo strumenti suonati, con l’obiettivo di una fortissima resa anche dal vivo. “Questo disco poteva avere dei feat in realtà, ma mi sono domandato se avesse senso o meno inserirli – ammette – ma ho sentito che era giusto, alla fine, ci fossi solo io e basta. Sui suoni abbiamo lavorato tantissimo, con tanti musicisti e si è sperimentato di più. E credo che si presti tanto a una dimensione live”.

Cantante, rapper e attore, Leon è stato protagonista del film “La terra dei figli” girato da Claudio Cupellini a fianco di nomi come Valeria Golino, Valerio Mastandrea, Maria Roveran e ha preso parte nel cast di “Briganti”, la serie prodotta da Netflix e scritta dal collettivo Grams, prossimamente disponibile sulla piattaforma, ha sin dagli esordi dimostrato di sapere intrecciare entrambe le passioni. Di sua penna infatti le sceneggiature dei videoclip legati ai brani. “È fondamentale che anche l’immagine abbia il suo peso e la sua coerenza – conclude – ho sempre portato avanti il mio progetto a 360° proprio per restituire un’esperienza più completa possibile”.

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