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Stefano Senardi, "le mie avventure con Iggy Pop"

Un estratto dal libro "La musica è un lampo"
Stefano Senardi, "le mie avventure con Iggy Pop"

Dal libro "La musica è un lampo", scritto da Stefano Senardi e pubblicato da Fandango Edizioni, pbblichiamo per gentile concessione dell'autore e dell'editore il capitolo dedicato a Iggy Pop.

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Iggy Pop era arrivato a Brescia il 9 maggio 1980, al Palazzetto EIB, per un concerto punk  oltraggioso, tossico. Io ero lì come responsabile della promozione del tour e per conto della CGD, la casa discografica che lo rappresentava in Italia.
Per i media la sua musica passò in secondo piano: i giornali di Brescia e il TG2 gridarono all’Anticristo e recensirono il concerto malissimo. Io che c’ero posso dire che fu uno show fantastico, per quanto selvaggio. L’Iguana, questo era il soprannome perfetto per quell’artista anarchico e debosciato, si era esibito in un palazzetto freddo dove entrava anche la pioggia, che ci accompagnò ininterrottamente dall’inizio delle prove alla fine del concerto.
Iggy Pop fu scioccante, fece l’“idiota” come spesso gli piaceva fare, l’antidivo sobillatore. Dopo il primo pezzo era già scalzo e a torso nudo. Si contorse fino allo  spasimo sputando sul pubblico a cui lanciò anche asta e microfono. Si arrampicava sulle casse dell’impianto voci e si buttava giù procurandosi, a un certo punto, una ferita. Un vero sabba punk.

Io decisi di invitarlo a cena anche se Franco Mamone, il mitico impresario che lo aveva portato in Italia, mi aveva avvisato: “Attento che l’artista non vuole fare interviste,  io al ‘rosso’ (Red Ronnie) l’ho già informato, ma credo che lui come al solito se ne sia fregato”.
Red Ronnie, che in quel periodo lavorava ancora in banca, pubblicava e stampava una fanzine sulla cui copertina dell’ultimo numero aveva messo una foto di Iggy Pop. La fanzine si chiamava Red Ronnie’s Bazar, era molto “scrausa”, rigorosamente in  bianco e nero e tutta fatta da lui, probabilmente di nascosto, nell’ufficio della banca dove lavorava a quei tempi.
Andammo a cena in un bel ristorante di Brescia. La proprietaria era sempre più  nervosa perché c’erano già tutti tranne l’artista, che tardava ad arrivare. L’Iguana si presentò intorno a mezzanotte, scalzo, con un giubbotto appoggiato sulle spalle, a torso nudo, con delle ferite sul petto e fradicio, insieme a due ragazzine per le quali non c’era posto a tavola, ma che poi trovammo il modo di sistemare. Le ragazzine masticavano poche parole di inglese e lui di italiano sapeva le solite parolacce, qualche “buonasera”, “ciao mamma” e poco più. Qualcuno degli aiutanti di Mamone (a cui il capo aveva detto: “La cena alle due galline se le paga lui”) fece da traduttore per l’artista che non aveva molto da dire a parte invitarle ad andare nel suo albergo dopo cena.

Red Ronnie sgomitando riuscì a mettersi di fianco all’artista per intervistarlo, ma questi non aveva affatto intenzione di parlargli e voleva essere lasciato in pace. Red, come aveva previsto Mamone, continuò a insistere fino al punto in cui l’artista si alzò per andare fuori con lui che, tutto contento, si girò verso di noi con l’espressione che  sembrava dire: “Avete visto, stronzi, che ce l’ho fatta?”.
Dopo dieci minuti, il manager inglese mi chiese di andare a controllare e io mi avviai  verso l’uscita dove incontrai qualcuno dell’entourage di Franco Mamone che mi disse di ritornare al tavolo perché fuori c’era Red Ronnie a terra, sotto la pioggia, e Iggy Pop a cavalcioni sopra di lui che stava cercando di strozzarlo, ma di non preoccuparci perché la situazione era sotto controllo.
A questo punto occorre che io spezzi una lancia a favore di Red Ronnie che indubbiamente è stato uno dei pionieri e dei difensori della nuova musica rock in Italia, giornalista e agitatore che, fin dalla seconda metà degli anni ’70, con i suoi programmi prima radiofonici e poi televisivi "Bandiera Gialla", "Be Bop a Lula", e con la sua fanzine si è sempre schierato dalla parte degli artisti emergenti. Tornando alla quella serata ricordo una battuta ormai diventata storica di Neddi (soprannome di Mamone) che, appena vide la padrona del ristorante uscire dalla cucina con due bottiglie di champagne in mano, alzandosi disse, con la sua caratteristica voce nasale: “Signora, può tranquillamente riportarle indietro, perché chi paga è il sottoscritto e l’artista è partito da Londra ieri mattina senza portarsi neanche i bottoni”.

In tour con l’Iguana c’era anche Ivan Kral, il chitarrista della band storica di Patti Smith, che avevo già incontrato a Firenze con lei. In quei giorni Iggy Pop aveva appena pubblicato l’album "Soldier", suo secondo disco con l’etichetta Arista, fondata dal leggendario Clive Davis, che era distribuita in Italia dalla CGD con cui avevo appena iniziato a lavorare. Stavo cominciando a  muovere i primi passi come discografico.

Voglio ricordare altri tre episodi. Il primo quando lo incontrai a Udine dopo il concerto al Palazzo dello Sport, la sera prima di quello a Brescia. Io, per far bella figura, non conoscendo ancora bene l’artista, avevo prenotato uno dei migliori ristoranti della città, pur sapendo che avremmo dovuto star seduti a tavola non più tardi delle 23. Il manager inglese mi assicurò che sarebbero arrivati tutti puntuali non appena finito il concerto, che sarebbe dovuto iniziare alle 21 e terminare alle 22.45, e io mi  fidai. L’organizzatore Mamone ci avrebbe raggiunto solo il giorno dopo per cui io, a 24 anni, ero l’unico responsabile della serata. Era una delle mie prime trasferte importanti, l’artista per me era un mito e mi era stato detto di stare attento a tutto,  soprattutto alle spese e agli extra.

Per farla breve la band arrivò alla spicciolata e avevano tutti un aspetto orribile. L’Iguana arrivò dopo mezzanotte sbarellando e io ero sempre più agitato, ma nulla in confronto al proprietario del ristorante che, nel frattempo, aveva chiuso la cucina. 
Sicuramente avevo scelto il ristorante sbagliato, con tovaglie ricamate, luci soffuse, argenteria… 
Iggy Pop irruppe con in mano una bottiglia di Sambuca in compagnia di una punk che stava più di là che di qua. Venendo a sapere che il cuoco se n’era andato, si infilò in cucina senza chiedere il permesso a nessuno e ne venne fuori con una pentola di ragù freddo che divorò col cucchiaio, mentre si scolava a canna la bottiglia che si era portato.
Il conto fu esorbitante e giustamente il mio capo mi rimproverò. Il mio mito si stava un po’ sgretolando, ma sotto sotto, con l’esperienza di poi, fu una situazione decisamente esilarante.

Il secondo episodio riguarda il concerto di Firenze dove, per fortuna, non ero solo: ero accompagnato dal signor Ottaviano, amministratore e tuttofare dell’ufficio di Mamone, napoletano, dolce, molto buffo e grassottello, vestito in grisaglia, sui sessant’anni abbondanti, con una ventiquattrore sdrucita sempre in mano. In quella borsa teneva i contratti e la usava per portare via l’incasso.
Quella sera, allo stadio di Firenze, il palco era stato montato nella curva di fronte alle tribune e c’era la rete metallica che separava il pubblico dal prato dove il popolo del rock avrebbe preferito sedersi. Gli “assatanati” che andavano al concerto dell’Iguana avrebbero goduto a stare sotto il palco a pogare e a prendersi eventualmente anche gli sputi dell’artista.
L’Iguana intuì questo desiderio del suo pubblico selvatico e cercò di esaudirlo. E fu così che, davanti agli occhi spalancati di Ottaviano e miei, dopo il primo brano, saltò giù dal palco, si arrampicò sulla rete metallica e invitò e aiutò i ragazzi a sfondare.
Il concerto andò avanti in un disordine incontenibile, con il pubblico che aveva invaso il prato e a un certo punto Ottaviano, vedendomi un po’ smarrito, mi prese sottobraccio e mi disse: “Vieni, sediamoci un attimo, non possiamo preoccuparci per  tutto, addolciamoci un po’ la bocca”. Aprì la ventiquattrore e mi offrì un Mon Chéri. Non sapevo che mi stava dando un’importante lezione di zen sull’autocontrollo in caso di panico rock.

Il terzo episodio si riferisce a quella volta in cui accompagnai Iggy Pop, con la macchina aziendale, da Rimini a Pesaro, insieme a un importante dirigente della Rai che era venuto solo per fare un piacere a Caterina Sugar. I miei capi di Milano mi avevano chiesto di fargli conoscere Iggy Pop, visto che era lui ad aver autorizzato la registrazione del concerto, registrazione peraltro che non andò mai in onda per via della pioggia, del fango e della disorganizzazione totale di una troupe televisiva arrivata da Roma.Il dirigente si chiamava Raul Franco, non parlava l’inglese ma il tedesco, grazie al quale iniziò a chiacchierare con Iggy Pop che un po’ lo masticava avendo vissuto per un periodo a Berlino con David Bowie. Litigarono quasi subito, ma ancora oggi non so per quale ragione.
Finchè il dottor Franco, serio e forse indispettito dalla macchina dell’azienda che stavo guidando (era una semplice Ritmo), forse per riconciliarsi con l’artista, disse che una coppia di autostoppisti che avevamo incrociato al casello stava probabilmente andando al concerto dove eravamo diretti noi. Questo scatenò l’Iguana che, minacciando di buttarsi giù dalla macchina, ci costrinse a uscire dall’autostrada e ritornare indietro per dare un passaggio ai due autostoppisti che, per fortuna, non c’erano più.

Un paio di anni dopo Iggy Pop tornò in Italia e io, insieme a Franco Zanetti, ufficio stampa della CGD di allora, decidemmo di andare a fargli un saluto, anche se non lavoravamo più insieme. Alloggiava in un albergo in fondo a via Padova, a Milano. 
Mentre stavamo andando da lui, con la nostra bottiglia di champagne in mano, ci chiedevamo se si sarebbe ricordato di noi perché, conoscendolo, il fatto che avesse accettato di vederci non voleva dire necessariamente che ci avrebbe riconosciuto. 
In albergo arrivammo di fronte alla sua camera, bussammo e lui ci venne ad aprire a braccia aperte con un occhio nero e senza un dente davanti. Indossava un cappellino, una cravatta e un paio di scarpe, per il resto era completamente nudo. Di noi si  ricordava, si sedette a chiacchierare e ci raccontò di una rissa di due giorni prima a Marsiglia dopo il concerto. Non volle aprire la bottiglia di champagne, ma credo fu contento di vederci perché si intrattenne con noi per una buona mezz’ora.

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