Per Jewel dopo "Pieces of you" ci fu "Spirit"

Per dare una idea della portata che ebbe sul mercato il disco d'esordio di Jewel "Pieces of you", uscito nel febbraio 1995, quando aveva solo venti anni, basti riportare che un paio di anni più tardi ricevette da una casa editrice un'offerta da due milioni di dollari per raccontare la storia della sua vita. Secondo i commenti degli esperti del settore l'anticipo offerto a Jewel sarebbe da "Guinness dei primati"; nessun musicista avrebbe infatti mai ricevuto tanto per un libro di memorie. La casa editrice era convinta che l'autobiografia di Jewel Kilcher poteva avere le carte in regola per essere un grande successo perche la cantante "è poco più che una bambina, e la sua carriera si basa su un album soltanto". Del passato di Jewel allora si conosceva ben poco era però entrata nella leggenda per aver vissuto in uno scuolabus abbandonato, mentre inseguiva il suo sogno di diventare una cantante.
E' con queste impegnative credenziali che la ragazza cresciuta in Alaska dovette affrontare la scrittura del secondo album. Il disco, "Spirit", venne pubblicato il 17 novembre 1998. Le vendite – anche grazie all'attesa generata dal voler ascoltare il nuovo album della autrice di "Pieces of you" - furono copiose, si parla di quasi quattro milioni di copie, e la classifica di vendita negli Stati Uniti la premiò con una ottima terza posizione. Nel giorno dell'anniversario della sua uscita ci rileggiamo la recensione di "Spirit" che pubblicammo all'epoca.
Non siamo qui per cadere nel trito luogo comune che induce alla "delusione del secondo disco". Se non altro, perché chi scrive confessa di non aver trovato particolarmente luminoso neanche il primo. Ma "Pieces of you", i pezzetti della biondina raccattati in anni di gavetta, aveva una sorta di qualità grezza che rendeva l'album di debutto interessante e variegato.
Viceversa, nonostante il lavoro dell'ex produttore di Madonna Patrick Leonard (o anche: a causa del lavoro di Patrick Leonard), il risultato è assai insipido. Dal punto di vista musicale, ballate che sembrano compitini di una brava scolaretta dell'accademia dei folksinger, intimiste ma senza apparente sofferenza e inquietudine, da ascoltare di fianco al caminetto - o al termosifone.
Dal punto di vista dei testi, peggio: vorrebbero essere grandi verità, ma sembrano riflessioni tra l'autobus e l'oratorio. Jewel sembra sincera e volonterosa, ma dopo 55 minuti di acquerelli (incluso il ghost-duetto con la madre), se escludiamo "Jupiter" e "Do you", viene da chiedersi se la poetessa-gioiellino che ha incantato la Mtv generation americana abbia davvero qualcosa da offrire al di là del delicato faccino. Non a caso è già entrata nella grande famiglia di Hollywood...