"Killers of the Flower Moon": come suona l'avidità in musica?

Negli ultimi 10 anni, Martin Scorsese ha diretto quattro film; tre di questi riscrivono la storia degli Stati Uniti d'America, colorandola con le tinte più fosche dell'avidità umana. Il business, sembra suggerire Scorsese, è il vero comune denominatore dell'anima statunitense e l'affanno finanziario di accumulare soldi e ricchezze fa oscillare in continuazione l'ago di cosa sia lecito e legale. Dato che la storia la scrivono i vincitori, dato che i vincitori sono quanti riducono gli altri al silenzio grazie al loro potere economico, Scorsese si è preso la briga di raccontare di nuovo tre capitoli della storia statunitense in altrettanti film. In ciascuno evidenzia come il motore del sogno americano, in epoche molto differenti tra loro, sia sempre stato il denaro.
Nel 2013 esce nelle sale "The Wolf of Wall Street", considerato da molti il pinnacolo dell’ultima della carriera di Scorsese, superati i 70. Il mondo di Wall Street, l'orgoglio finanziario statunitense, viene riletto con un'energia chimica, animale, macista, bulimica: accumulare ancor più soldi, per il gusto di farlo. Nel 2019 è la volta di "The Irishman", in cui il vecchio regista sembra quasi consegnare il suo testamento, raccontando l’ultimo capitolo di storia di grandi vecchi del crimine, interpretati da grandi vecchi del cinema. Dal mondo finanziario che sfocia in quello criminale per massimizzare il profitto finiamo nelle logiche finanziarie e umane di quello del crimine, con onesti lavoratori che "dipingono case" di mestiere (ovvero ammazzano la gente per lavoro).
Nel 2023 arriva "Killers of the Flower Moon": nei cinema italiani da oggi, 19 ottobre 2023, a seguire sarà disponibile su AppleTV+. Scorsese fa un passo più in là: 'era della finanza è basata su una sete insaziabile, gargantuesca di; la criminalità sbarcata da oltre oceano ha portato un certo tipo di "business" criminale in America, ma risalendo nel tempo, la sete dell'uomo bianco di denaro diventa la base stessa della creazione del Novecento statunitense. In "Killers of the Flower Moon", infatti, siamo nell'Oklahoma del 1920, in una terra inospitale in cui la tribù nativa Osage era stata piazzata dai bianchi a morire di fame. Una terra che produce solo carestie ma che scoppia, letteralmente, di giacimenti petroliferi.
I bianchi quindi si ritrovano a lavorare per le "coperte", termine dispregiativo con cui ci si riferisce agli Osage: i "purosangue" hanno diritto a parte delle concessioni petrolifere milionarie che lo sfruttamento dei giacimenti frutta. Gli Osage non debbono più lavorare: diventano tra le popolazioni più ricche del mondo pro capite. "Killers of the Flower Moon" è la storia di un secondo genocidio operato dai bianchi: quello che non si fa forte di armi da fuoco, malattie e massacri, ma di un razzismo sistemico in una nazione ancora tutta da costruire, ma che ha già deciso chi tutelare.
“I love money almost as much as I love my wife”
Al centro del nuovo Scorsese c'è, appunto, una sete inestinguibile di denaro. Gli Osage sono le prede di uno sciame di uomini bianchi che li assediano, li blandiscono, li truffano e, appena si presenta l'occasione, li tolgono di mezzo. Gli Osage non sono sciocchi, ma risultano due volte vittime: da una parte stanno venendo assimilati culturalmente, sedotti dalla stessa sete di ricchezze e lusso che muove i bianchi. Dall'altra sono ancora per lo più estranei alle logiche dell'accumulo e della prevaricazione che contraddistinguono i caucasici e sono convinti che sarà la loro struttura sociale a proteggerli, a salvarli.
Sono una tribù sempre distintasi per storia e indipendenza rispetto alle altre, che ha già superato guerre e scontri frontali con i bianchi europei, proprio potendo contare sulla solidarietà reciproca, su un nome e un'appartenenza alla tribù che nessuno può togliere loro.
Se in "Killers of the Flower Moon" gli Osage non vengono sterminati brutalmente all'inizio del film, è perché la nascente costituzione di uno stato di diritto rende più complesso impadronirsi delle loro ricchezze. La finanza sta già facendo il suo lavoro, smaterializzando la ricchezza: i gioielli e le automobili sono nulla. Ciò che vale veramente è l'appartenenza alla nazione Osage, che dà diritto a ottenere periodicamente il denaro frutto delle concessioni petrolifere.
Il tenue stato di diritto, però, è una macchina in costruzione ma già penetrata dalle logiche letali di chi mira a quella ricchezza. Sceriffo, vicesceriffo, rappresentanti dell'autorità giudiziaria della contea e dello stato, medici curanti, autisti privati, servitù: ci sono solo caucasici nelle posizioni chiave, che misurano costantemente quanto in là si possano spingere con delitti e uccisioni plateali senza che nessuno li accusi di qualcosa
Bisognerà soffrire due ore e mezza e affrontare un lungo viaggio in treno a Washington, pagando 20mila dollari per poter parlare con il presidente perché qualcosa succeda. Quel qualcosa è la nascita dell'FBI così come pensato da J. Edgar Hoover, un ulteriore sistema centralizzato di controllo governativo che pone fine all'epoca del Far West, dell'anarchia. In quegli anni si stabilisce un precario equilibrio tra controllo dell'autorità e capacità di aggirarlo di chi detiene potere e denaro, già indagato nei film successivi di Scorsese. "Killers of the Flower Moon", infatti, pone le basi di quanto visto nei due film precedenti, chiarendo come il sistema avvantaggi un certo tipo di persona: caucasica, di sesso maschile, con una mentalità a metà tra business e criminalità nel creare relazioni che spesso sfociano nella connivenza.
"Killers of the Flower Moon" dipinge un mondo in cui i bianchi si spartiscono gli Osage sopravvissuti come fossero proprietà, sposandoli o fingendosi loro amici, quel tanto che basta per movimentare le loro concessioni nella giusta direzione e poi eliminarli, senza troppo andare per il sottile. D'altronde, "è più facile incriminare qualcuno per aver dato un calcio a un cane che per aver ucciso un pellerossa". L'opportunismo e il sadismo con cui gli Osage vengono ingannati e uccisi è tale che il razzismo non viene neanche sottolineato da Scorsese: scorre nelle carni di questa storia tanto drammatica quanto vera (basata su una ricostruzione storica pubblicata nel 2017), quanto il petrolio nelle terre degli Osage.
Le contaminazioni mortali del nuovo Scorsese
Del cinema del tardo Scorsese si dice spesso che si avvicini alla serialità per minutaggio e ritmo: "Killers of the Flower Moon" dura infatti 3 ore e 26 minuti. Personalmente, credo sia importante sottolineare come sia un cinema organico, unitario, dove non ci sono picchi o climax. Nell’ultimo decennio Scorsese ha realizzato quattro pellicole che fotografano un processo inarrestabile di marcescenza.
"Killers of the Flower Moon" è una visione pesante, ma non noiosa. È quasi insostenibile nella sua progressione proprio perché è un'avanzata nel lento, inesorabile, crudele sterminio di un gruppo di persone, operato da una galleria di personaggi che comprendono solo il linguaggio del denaro, con diversi livelli d'intelligenza e sofisticazione. Nemmeno la risoluzione del film rallenta la marcescenza raccontata: sappiamo già che questo è l'inizio un po' rozzo, brutale, molto western di un sistema che negli Stati Uniti non si è estinto con il rafforzarsi del governo centrale, ****ma piuttosto si è raffinato e sublimato in altre realtà. Quella finanziaria e quella criminale, come Scorsese ci ha già raccontato.L'impressione è quella di un film che scorre inarrestabile piuttosto che procedere a onde causali seguite dalla risacca degli effetti. Una sensazione creata da un uso preciso della regia e del montaggio. Sensazione ulteriormente rafforzata dall'utilizzo della musica che scorre lungo lo sterminio degli Osage.
La colonna sonora di "Killers of the Flower Moon"
un punto d'arrivo irreversibile per il cinema di Scorsese: a firmarla è infatti il suo storico collaboratore, il compositore Robbie Robertson, scomparso all'età di 80 anni durante la post produzione del film. La collaborazione tra il leader della Band e il regista di Taxi Driver era iniziata già nel 1976, all'indomani dello scioglimento del gruppo per cui Scorsese aveva diretto "L'ultimo valzer", ed è proseguita fino a “The Irishman”, evolvendosi.
Da sempre amante dell'utilizzo di pezzi pop e rock nei suoi film, da “Toro scatenato” in poi Scorsese comincia a spostarsi verso la creazione di un suono più organico e originale, man mano che la collaborazione con Robertson si fa più matura. I due sviluppano attorno a loro un gruppo di musicisti di altissimo livello, fino a creare un microcosmo musicale summa di una sound intrinsecamente statunitense. Il che è curioso, considerando che Robertson ha passaporto canadese e Scorsese ha note radici italiane.
Eppure sono proprio loro a chiamare il celebre suonatore di armonica a bocca Frédéric Yonnet per scandire il ritmo degli omicidi in “The Irishman”. Sodale di Stevie Wonder, abituato a sonorità urban jazz, Frédéric Yonnet si ritrova a scandire quel processo inarrestabile e inesorabile alla base dell'unitarietà narrativa del tardo cinema di Scorsese: gli assassini dei padrini di “The Irishman”. La sua armonica la sentirete anche in "Killers of the Flower Moon", dove Robertson e Scorsese volevano sottolineasse gli spasmi della cupidigia degli assassini che si nascondono tra gli amici degli Osage.
Nel cast del film, nel ruolo di uno degli avvoltoi caucasici, c'è un altro compositore simbolo della musica americana degli ultimia anni: il cantautore Jason Isbell, chiamato a dividere il set con Di Caprio e De Niro. Scelto anche per un naturale accento che ha fatto credere a De Niro che rimanesse calato nel suo personaggio per tutto il tempo delle riprese.
Cadenze, strumenti musicali e colonna sonora descrivono la contaminazione degli Osage da parte di quella che diventerà la logica, l'ideologia vincente degli Stati Uniti. L'eroina tragica del film, interpretata da una Lily Gladstone che punta a un Oscar come miglior attrice protagonista, descrive a un certo punto "il cancro nero, le ombre scure che circondano il mio cuore, l'odio che mi circonda che non lascio entrare". La contaminazione è desiderata dai bianchi come processo momentaneo, per entrare nelle fila dei nativi americani, fino a operare una sostituzione etnica. Quando i volti bianchi hanno sostituito gran parte delle sfumature più rossastre ("il mio colore" lo definisce il personaggio di Lily Gladstone, quando quello di Di Caprio le chiede di descrivere la sua pelle), ecco che riemerge lo sdegno per tratti "confusi" dei figli degli uomini caucasici sposatisi con le ricche native, l'orgoglio di fronte ai bimbi che "sembrano bianchi".
Che rumore fa l’avidità
Non poteva esserci progetto migliore, musicalmente parlando, per Robbie Robertson, compositore canadese con una carriera pluridecennale definita dalle sonorità statunitensi unite a una frequentazione da ragazzino delle sonorità native. La madre di Robertson infatti era un'indiana Mohawk che sposò un uomo ebreo. Il figlio della coppia frequentò da ragazzino la Riserva delle Sei Nazioni nell'Ontario durante le vacanze estive.
Robertson potrebbe essere il figlio del figlio del bambino che spia nella tenda dove si sta svolgendo un funerale a inizio film, quando la generazione degli anziani Osage constata, con rassegnazione, che i giovani cresceranno con la lingua e l'educazione data dai bianchi.
Tutto questo emerge dentro la colonna sonora di "Killers of the Flower Moon", che Scorsese fa apparire e scomparire nel suo film, spesso con un missaggio sonoro sferzante quando le intenzioni omicide cominciano a ribollire, esigendo un tributo di sangue. Le sonorità sono quelle della vecchia America del Far West, con l'armonica che fa capolino promettendo ricchezze, diluendosi con gli strumenti e i ritmi della musica nativa, con momentanei passaggi dal ritmo accelerato, moderno.
A Robertson basta poi levare poco a poco l'eredità musicale nativa, far prevalere la versione sinistra di quel ritmo ricorrente e martellante da selvaggio West per dire tutto quello che c'è da dire, mentre su schermo Scorsese mostra corpi dilaniati e brutalmente fatti a pezzi, prima e dopo gli omicidi.
Per questo motivo "Killers of the Flower Moon" è una visione faticosa, a tratti intollerabile. Non solo per ciò che racconta, non solo perché sospettiamo ben prima dell'epilogo dove si andrà a parare, ma perché assedia con il medesimo contenuto omicida tutti i nostri sensi. Tutte le componenti visive e sonore del film sono animate dall'inarrestabile componente mortifera che raccontano, un lento, penoso diluire dell'esistenza stessa degli Osage, sostituendo la loro umanità al loro peso in concessioni e denaro.
Se Scorsese è così incisivo è anche perché "Killers of the Flower Moon" segna un nuovo, ultimo livello di comunione tra lui e il suo compositore di riferimento nella capacità di esprimere la stessa energia nera; creando un perfetto, mortale connubio tra immagini e sonoro.
“Killers of the Flower Moon” arriverà nei cinema italiani dal 19 ottobre 2023. A seguire sarà disponibile su AppleTV+.