L’ipnotica spirale onirica degli M83

Sono passati sette anni dalla precedente apparizione italiana degli M83. Nel frattempo il progetto dream pop di Anthony Gonzalez ha partorito altri due album - “DSVII” (2019) e “Fantasy” (2023) - oltre a un paio di colonne sonore, andando ad arricchire una discografia sempre più cult. Per il loro ritorno nel nostro Paese hanno scelto ieri sera il Circolo Magnolia di Milano, che oltre al sold out fa registrare anche il primo clima davvero estivo della stagione.
Lo show inizia a rilento, perché c’è qualcosa che sembra non funzionare per la band francese. Si comincia con “Water Deep”, già opener di “Fantasy”, ma i suoni sono impastati, i volumi decisamente scarsi per qualsiasi genere di live, figuriamoci per uno che dovrebbe trasportare il suo pubblico in una sorta di dimensione parallela, sognante. Come spesso capita, però, quando un artista si rende conto che qualcosa non va - e Anthony stesso durante la serata si ritrova a scusarsi per alcuni problemi tecnici e a ringraziare per la pazienza - subentra l’orgoglio di chi sente di dover compensare. Bisognerebbe seguire le altre date del tour per capire se si tratta di suggestione o realtà, ma l’impressione è che la foga degli M83 sul palco sia inversamente proporzionale alla qualità acustica della loro performance.
La prima parte della setlist è un tuffo nell’ultima fatica discografica, con “Oceans Niagara”, “Amnesia”, “Earth To Sea” e “Us and the Rest”. Traccia dopo traccia, visual dopo visual, gli M83 aprono una voragine davanti al palco, permettendo al pubblico di entrarvi e lasciarsi trasportare nel loro mondo immaginifico. Le teste iniziano a dondolare, la braccia ad alzarsi, i piedi a tenere un ritmo sempre più incalzante. È una corsa verso una piena realizzazione espressiva, pronta a sfociare in una reciproca gratitudine. Molti dei presenti sono senza dubbio bisognosi di ritrovare anche dal vivo quella piccola magia intuita dai dischi. Lo si vede dagli sguardi: cercano tutti qualcosa. Anthony Gonzalez sembra avere la sensibilità giusta per percepire sia questo bisogno collettivo, sia la difficoltà iniziale nel soddisfarlo, perciò alza il tiro, avvalendosi di una squadra pronta a dare tutto sul palco.
Nonostante il frontman sia ormai da tempo l’unico membro ufficiale del progetto, la band live è sempre più ricca e sempre più sorprendente. Restano confermati Kaela Sinclair e Joe Berry, dal 2016 membri fissi della formazione dal vivo, mentre si aggiungono in lineup anche Théophile Antolinos (chitarre), Julien Aoufi (batteria) e Clément Libes (basso, tastiere, violino). Un combo formidabile, che mette ogni briciolo di energia nella lotta impari contro l’impianto. Ad un certo punto i volumi si alzano, oppure è il coinvolgimento a correggere artificialmente il tiro? Difficile dirlo, dal momento che quando tocca a “Don't Save Us From the Flames” la voragine si è aperta a tutto campo e il Magnolia è già diventato il regno degli M83. Durante il singolo estratto da “Before the Dawn Heals Us”, il primo disco dopo l’abbandono del membro fondatore Nicolas Fromageau, l’atmosfera cambia. Qualche urlo liberatorio, un oceano di smartphone in registrazione. Le percezioni si mescolano, contaminandosi e trasformando finalmente un live complesso in quell’esperienza sensoriale tanto attesa. Ci pensa poi “Wait”, una delle più grandi hit del repertorio, a sublimare il tutto.
I visual e l’ottimo sistema di luci alle spalle degli M83 contribuiscono alla riuscita della serata, anche se meriterebbero una venue indoor nella totale oscurità per essere pienamente valorizzati. In attesa di un prossimo tour nei club, si cerca negli alberi, nelle nuvole e in qualche scenografico decollo da Linate quel pizzico di sale in più che sposti questo live dalla categoria “what if”, per collocarlo tra gli highlights dell’estate.
L’encore, infine, non lascia spazio a rimpianti, perché è tutto di “Hurry Up, We’re Dreaming”, senza dubbio il disco di maggior successo degli M83, nonché uno dei capisaldi della grande ondata synth-pop/neo-shoegaze dello scorso decennio. “Midnight City”, “Mirror” e “Outro” non chiudono un cerchio, ma completano piuttosto un’ipnotica spirale onirica. Qualunque cosa il pubblico del Magnolia stesse cercando, si trova proprio lì, nel suo vorticoso nucleo.