Chiello: “La maggior parte della musica italiana mi fa cagare”

Chiello è una creatura della notte. Dark e magica. I tatuaggi ovunque, anche sul volto, i capelli da folletto, e il modo delicato di esporsi, lo rendono un personaggio perfetto per un film di Tim Burton o per la trama di un manga giapponese. La sua musica, però, non ha nulla di evocativo: è concreta, vivida e struggente. L’ex Fsk, collettivo trap che per diverso tempo ha lasciato un segno nel mondo urban italiano, pubblica “Mela marcia”, il suo secondo album solista. Un disco dalle atmosfere oscure e dall’attitudine rock in cui Rocco Modello, questo il suo vero nome, racconta amori, fragilità e dipendenze. “Oceano paradiso”, il suo primo disco, fu accolto con interesse, “Mela marcia” segue la strada tracciata rimanendo ancorato a un immaginario e a un sound diverso rispetto a quello trap di inizio carriera .
Quando hai iniziato a scrivere questo nuovo album?
“Il disco è nato subito dopo ‘Oceano Paradiso’. Otto mesi dopo quest’ultimo progetto, ho iniziato a visualizzare quello nuovo. Non è stato così, però, per tutte le canzoni. Ci sono tracce che hanno preso forma ancora prima. ‘Puoi fare meglio’, per esempio, risale alla fase di lavoro del primo disco. Questo pezzo, appena registrato, l’avevo postato come bozza sul mio profilo Instagram. Non aveva ancora un titolo. E Morgan la commentò scrivendo ‘Puoi fare meglio’. E così, tempo dopo, ho deciso di chiamarla così. Stimo molto Morgan come artista.
Ma hai seguito il consiglio di Morgan migliorandola?
“Sì, l’ho fatto. Quello era davvero un provino in cui io cantavo tutto preso dal flusso. Poi ho lavorato parecchio per raggiungere il risultato finale. Ma non so se adesso a Morgan piacerà”.
Ho visto un video sui tuoi social dove mostri dei fogli con scritti i testi delle canzoni. Scrivi sempre a mano?
“Non sempre. Ultimamente, però, sì. Le lettere sullo schermo del telefono mi hanno stancato. Mi piace l’idea di avere un taccuino con me. Molte canzoni poi sono nate chitarra e voce, in modo molto artigianale”.
Perché hai chiamato il disco “Mela marcia”?
“Essere una mela marcia per me significa essere inadatti, disadattati rispetto al mondo, alla società. Ma ha anche altri significati: la mela è un frutto che per forza di cose può marcire. E per me è una metafora di quello che siamo. Si nasce puri, ma il tempo ci consuma e si diventa polvere. Nel disco parlo di problemi e di droghe, ma quel corso che ci consuma avviene a priori, a prescindere da altri fattori esterni. Tutti nasciamo e tutti moriamo”.
La musica ti aiuta a stare meglio?
“La musica mi aiuta un sacco perché è come se vedessi quello che ho dentro. Aggiunge consapevolezza alla mia persona. Spesso quando mi rivedo in quello che ho scritto, non mi piaccio. E questo mi spinge a migliorare”.
In “A pochi passi” ci sono dei riferimenti alla guerra in Ucraina.
“Non mi piace raccontare le canzoni. Posso dire che l’ho scritta poco dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. E ho pensato: a pochi passi c’è una guerra e io sono qui a casa al caldo, con una donna. E non riesco a godermi quello che ho. Vuol dire che c’è un problema”.
Tutti i tuoi idoli sono davvero morti come canti in un brano?
“Iggy Pop è vivo, lui lo è”.
Quelli morti?
“XXX Tentacion e Lil Peep. Mi sono vissuto tutto il loro percorso dall’inizio alla fine, ho capito il loro viaggio e la voglia di contaminazione. Sono stati fondamentali per una certa evoluzione della musica”.
Nelle tue canzoni sembrerebbero esserci dei riferimenti al primo Vasco Brondi e ai Verdena. È così?
“Brondi non lo conosco. Sui Verdena è vero, mi piacciono molto. La maggior parte della musica italiana, però, mi fa cagare, sto cercando di creare un movimento nuovo, tutto mio”.
Questo disco in che cosa differisce dal precedente?
“In questo lavoro sono arrivato più al punto, sono stato più conciso. Non me la sento di dire che un album è più bello dell’altro, sono ambedue parte di me, raccontano vari momenti. Ogni canzone è un pezzettino di me”.
In “La mattina dopo” parli di dipendenze e dici che vuoi dare un taglio alle droghe.
“Nel giro di tre anni avrò scritto quaranta tracce, ma so capire quando una è davvero sentita o quando è solo un esercizio di stile. Sento quando un pezzo devo farlo uscire, metterlo in un album, perché mi offre una sensazione particolare. Mi aiuta a capirmi. E quando lo fa, vuol dire che il brano è giusto”.
Hai fatto parte degli Fsk: facevate trap spinta. Come mai questo cambiamento in questi ultimi anni?
“Io non mi sono accorto del cambiamento. Semplicemente è successo tutto in maniera naturale: già quando facevo trap-shit con gli Fsk scrivevo per conto mio. In quel periodo nacque ‘Acqua salata’. Parallelamente al gruppo mi dedicavo ad altro. A un certo punto ho sentito il bisogno, però, di fare solo quello, la trap mi aveva e mi ha stancato. Ne ascolto pochissima, quando lo faccio è perché sono insieme agli altri componenti del gruppo, Taxi e Sapo. Oggi ascolto molto più rock, però mi sento ancora trap. Per me essere trap è un’attitudine, non solo un genere. Se senti un pezzo del nuovo disco come ‘Benzo 2’ c’è l’808 (drum machine tipica della trap, ndr). Alcune influenze sono rimaste”.
Un disco che stai ascoltando in questo periodo?
“The Underground Youth, un gruppo pazzesco. Sto consumando tutti i giorni ‘Mademoiselle’”.