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La serie sulla rockstar argentina Fito Páez è già un cult

Una delle voci più importanti del rock argentino diventa popstar grazie a una serie su Netflix.

Sembra una storia di fantasia, ma non lo è: è la storia vera di quella che è considerata la rockstar più popolare della musica argentina, una vita sempre in bilico tra trionfo e tragedia, successi e drammi personali. “El amor después del amor”, la docu-serie che racconta l’ascesa al successo di Fito Páez, è arrivata in questi giorni su Netflix anche in Italia quasi in punta di piedi: niente cartelloni in giro per le città a pubblicizzare l’uscita, niente spot, niente di niente. Come se il destino di questa serie fosse quello di diventare una sorta di cult, un po’ come lo fu dieci anni fa la storia di Sixto Rodriguez raccontata in “Searching for Sugar Man”. In otto episodi della durata di quaranta minuti - in media - l’uno, “El amor después del amor” è una sorta di romanzo di formazione che mette in fila i momenti più importanti della carriera di Rodolfo Páez, questo il vero nome del cantautore (qui interpretato dal 29enne Iván Hochman), che oggi ha 60 anni e ventitré album di inediti all’attivo (l’ultimo, “The Golden Light”, è uscito l’anno scorso), dagli esordi fino al successo.

La serie prende il titolo dall’album che nel 1992 segnò la definitiva consacrazione della rockstar: vinse il quadruplo disco di platino per l’equivalente di 240 mila copie vendute. Oggi si stima che l’album abbia venduto in questi trent’anni qualcosa come 750 mila copie, diventando di conseguenza il disco rock argentino di maggior successo di sempre. “El amor después del amor” è stato solamente il punto di arrivo di un percorso iniziato almeno una decina di anni prima, quando Fito Páez cominciò a muovere i suoi primi passi sui palchi dei locali del sottobosco di Rosario e dintorni, condivisi insieme ad amici musicisti come Silvina Garré, Andrián Abonzio, Jorge Fandermole e Juan Carlo Baglietto, che lo arruolò come tastierista della sua band e lo volle con sé quando nel maggio del 1982 presentò l’album “Tiempos difíciles” allo stadio di Buenos Aires, durante la guerra delle Malvinas, con un recital epocale che gli storici della musica pop sudamericana considerano come l’atto di nascita del movimento trova rosarina, che sarebbe - per intenderci - il corrispettivo argentino del Neapolitan power, nel modo in cui spalancò le porte della musica argentina al rock.

Tra flashback e rivelazioni, la storia personale di Fito Páez, intrecciata alla sua carriera, viene svelata nel corso dei vari episodi. Ed è una storia toccante, segnata da pesanti assenze (la madre morì quando Fito aveva solo otto mesi, a causa di un cancro al fegato, e il ragazzo venne cresciuto dal padre e dalla nonna paterna), malattie (già a 14 anni soffriva di miopia e non riusciva a leggere gli spartiti: usava l’udito per imparare le melodie suonare al piano dal suo insegnante, che quando si rese conto del deficit pensò bene di cacciarlo dalla scuola di musica) e un’enorme voglia di rivalsa. Nel 1984 la svolta, con la firma di un contratto discografico da solista con la Emi argentina e l’uscita del primo disco “Del 63”, seguito l’anno successivo da “Giros”, che con successi come “Yo vengo a ofrecer mi corazón”, “11 y 6” e “Cable a Tierra” catapultò l’eccentrico Fito Pàez in testa alle classifiche, facendo di lui un fenomeno in tutto il Sud America. Poi una tragedia. È il 1986 e Fito Pàez si trova in tour a Rio De Janeiro quando la nonna, la prozia e una domestica vengono brutalmente assassinate nel loro appartamento a Rosario. Accusato di essere coinvolto in un traffico di stupefacenti, l’artista viene inizialmente indagato per il crimine, poi scagionato da tutte le accuse quando si trova il vero responsabile, un bassista frustrato che conosceva le vittime. L’episodio provoca una ferita enorme in Fito, che sfoga tutta la sua rabbia nel disco più iconico - anche dello stesso “El amor después del amor” della sua discografia.

È proprio ispirandosi a quella ferita che Páez entra in studio per incidere “Ciudad de pobres corazones”: “Quando ho incontrato Baglietto ai La Mar Studios, mi ha chiesto: ‘Come stai?’. Io ho schiacciato il tasto play e si è cominciata a sentire la canzone: ‘In questa cazzo di città tutto si incendia e se ne va, uccidono ai poveri cuori’, con una strumentazione drammatica di tastiere e chitarre. Quando è finita gli ho risposto: ‘Sto così’”, ha raccontato la rockstar nella vita reale, in un’intervista. “Ciudad de pobres corazones” uscì nel 1987 ed è considerato il più viscerale della carriera di Fito Páez. Da riscoprire, ora che questa serie rischia di fare del rocker argentino una popstar.

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