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Noemi adesso canta (e suona) le sue nuove consapevolezze

Vasco, l'Olimpico gremito e un sogno: "Che bello se scrivesse per me". An intimate night with Noemi.
Noemi adesso canta (e suona) le sue nuove consapevolezze

“Ho avuto tante canzoni che molte volte mi hanno dato il coraggio di superare certe mie paure. Prima quelle degli altri. Poi, piano piano, quelle del mio repertorio che mi hanno dato il coraggio di crederci”, racconta Noemi. I titoli di coda del concerto – e del tour, giunto all’ultima data – hanno già iniziato a scorrere quando partono gli accordi di “Glicine”. L’ha messa alla fine della scaletta – bis a parte – non a caso: è la canzone che in un modo o nell’altro ha fatto riallineare gli astri della carriera di questa interprete che il più delle volte ha avuto meno di quanto meritasse. Oltre ad essere quella che ha accompagnato la sua rinascita anche personale, raccontata tra le righe in “Metamorfosi”. Era da dieci anni esatti che un album di Noemi non vinceva un Disco d’oro: “L’ultima di queste canzoni l’ho cantata a Sanremo l’anno scorso. Su quel palco ho portato tante cose cambiate di me, sia dentro che fuori. Cercavo una canzone che raccontasse veramente chi fossi. Non è facile. Si dice ‘lost in translation’, quando ci si perde tra le intenzioni e la messa in pratica. Invece sono stata fortunata, perché ho trovato quella canzone che mi ha dato la possibilità di raccontarmi in maniera molto precisa e netta”, dice la cantante romana.

Il sottotitolo del tour potrebbe essere: “An intimate night with Noemi”. L’atmosfera è quella da night Anni ‘60: arrangiamenti unplugged, sonorità calde, avvolgenti, acustiche, perfette per gli spazi intimi del teatro. Ad accompagnare la cantante è una band di sei musicisti, composta da Gabriele Greco al basso, Gianluca Massetti alle tastiere, Marco Rosafio alle chitarre, Alessandro Luccioli alla batteria, Riccardo Giovine al violoncello e Simona Farris ai cori. Niente effetti speciali: l’unico elemento scenografico è un cilindro che si alza e si abbassa al centro del palco, sotto il quale Noemi di tanto in tanto si rifugia a suonare e a cantare, scandendo le varie fasi del concerto e rappresentando il senso della metamorfosi raccontata da Noemi nel suo ultimo album. Che non è esattamente la cronaca di una crisi, ma la fotografia della sua rigenerazione. Ci ha messo tre anni per ritrovare il suo centro: un intervallo così lungo nella sua carriera tra un disco e il successivo c’era stato solo tra “RossoNoemi” e “Made in London”, quando dopo i primi successi Noemi volò nel Regno Unito per registrare insieme ai collaboratori di Placebo, Emeli Sandé e Laura Mvula, sporcandosi le mani. Stavolta per fare un disco che avesse un sapore contemporaneo e al tempo stesso raffinato, e soprattutto che le permettesse di uscire fuori dal suo guscio, la cantante romana non ha bisogno di volare oltremanica.

Pezzi come “Ora” e “Senza lacrime”, che in scaletta si mischiano ai pezzi del passato, le hanno fatto capire che l’aiuto di cui aveva bisogno lo ha trovato tra i contatti frequenti della rubrica del cellulare: la premiata ditta Mahmood-Dardust e il giro della Dorado Inc. dello stesso produttore. Se nell’album uscito un anno fa si è spinta fuori dalla sua comfort zone, musicalmente parlando e non solo, come testimoniato dalle contaminazioni frutto degli incontri con i vari autori, musicisti e produttori di nuova generazione che l’hanno aiutata a rimettersi a fuoco – dallo stesso Mahmood e Ginevra, co-autori proprio di “Glicine”, a Franco126, passando per Davide Simonetta e Arashi – sul palco Noemi recupera le sue radici soul, blues e r&b, trovando una perfetta sintesi tra la cantante che oggi non si fa problemi a cantare “e tu sei la mia boa / stretta a te come un boa / ti saluto, aloha” in duetto con Carl Brave e quella che al pianoforte si accompagna in una versione ancora più blues dell’originale – uscita tredici anni fa – di “Briciole” o si cimenta con una cover di “If I ain’t got you” di Alicia Keys, che è ormai un piccolo standard neo soul dei nostri anni.

Noemi riannoda i fili della sua storia, riavvolgendo il nastro. È tirando fuori una per una tutte le gemme che da grande interprete qual è ha collezionato in questi anni, ricevute in dono dai vari autori che hanno scritto per lei, che racconta come è diventata quella che è oggi: da “Idealista” di Ivano Fossati a “Sono solo parole” di Fabrizio Moro, passando per “La borsa di una donna” di Marco Masini e “Poi inventi il modo” di Federico Zampaglione. Oltre naturalmente a “Per tutta la vita”, “L’amore si odia”, la stessa “Briciole”, “Bagnati dal sole”. In fondo i versi scritti per lei più di dieci anni fa da Vasco restano ancora il suo miglior ritratto: “Quanta vita che ho vissuto inconsapevolmente, quanta vita che ho buttato, che ho buttato via per niente”, canta Noemi, e intanto si porta il palmo della mano sulla fronte, come se tutto ad un tratto se ne fosse ricordata, avesse realizzato. Magari la cellulite di cui scriveva Vasco in “Vuoto a perdere” non c’è più, oggi, e le consapevolezze di cui Noemi cantava nel 2011 sono diverse. Però la canzone descrive sempre in maniera perfetta una fase decisiva nella vita di una donna e Noemi, che si gode questo momento di svolta e di crescita artistica della sua carriera, la canta come se l’avesse incisa praticamente ieri: “Sono un’altra da me stessa, sono un vuoto a perdere, sono diventata questa senza neanche accorgermene”. È una questione di crescita. Di guardare avanti e non indietro, a quello che non torna più: “Nel 2005 andai per la prima volta ad un concerto di Vasco allo Stadio Olimpico. Il tour era quello di ‘Buoni o cattivi’. Uno show pazzesco, una scaletta di evergreen, altro che mega hit. Su ‘Albachiara’ pensai: ‘Che bello sarebbe se un giorno potessi avere una canzone di Vasco nel mio repertorio’”, racconta al pubblico dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, dove ieri ha chiuso il tour di “Metamorfosi”. Sei anni dopo quella canzone sarebbe arrivata: “Questa storia dimostra che tutto è possibile”, sorride lei.

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