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Il “glorioso fallimento” della factory dei Joy Division

Trent’anni fa la Factory Records dichiarava bancarotta, ma i dischi prodotti rimangono immortali.
Il “glorioso fallimento” della factory dei Joy Division

Nel 1992, dopo più di settanta artisti e quasi trecento dischi pubblicati, la Factory Records, fondata nel 1978 da Tony Wilson e Alan Erasmus, con Peter Saville come grafico e Martin Hannett come produttore, dichiarava la bancarotta. I suoi quattordici anni di vita, caratterizzati dalla gestione passionale ed economicamente scellerata dei suoi soci, hanno scandito una storia in cui convivono gli estremi dell’esperienza umana: il fallimento, l’estasi, la morte, l’edonismo, il genio. I suoi album hanno fatto storia, le sue grafiche sono finite nei musei e in passerella: la Factory è riuscita a trasformare una cupa città industriale dell’Inghilterra settentrionale come Manchester in un florido centro culturale che aveva il suo cuore nel club Haçienda, portandola dentro l’olimpo dei centri urbani mitici al pari di Londra o New York.

Dai Joy Division agli Idles

Il libro “Un glorioso fallimento” di Fernando Rennis, pubblicato per Arcana Edizioni, racconta l’epopea e i protagonisti della Factory spulciando il suo catalogo e immergendosi nella sua estetica, camminando per le strade di quella Manchester che ha influenzato l’etichetta ed è cambiata al suo ritmo. Joy Division, New Order, Happy Mondays, A Certain Ratio, James, Durutti Column, The Names, Section 25, Cabaret Voltaire, The Wake sono alcune delle realtà musicali passate sotto la Factory Records. “Quello che è importante ricordare non è solo l’esperienza, ma anche l’eredità lasciata – dice Rennis – sentir dire da Toby L della Transgressive e da Tim Putnam della Partisan, oggi etichetta di Idles e Fontaines D.C., band capaci di muoversi fra il mondo alternativo e quello mainstream, che la Factory li ha influenzati, ne fa capire la portata storica. Aprì la strada a band differenti fra loro e dimostrò apertura alle nuove tendenze, il tutto in nome di una sorta di purezza dell’arte: i contratti erano strette di mano e la voglia di rivalsa nei confronti di Londra era uno dei fili conduttori. Lo insegna anche il mondo rap: se vieni dalla strada hai più fame. Manchester venne duramente bombardata dalla Luftwaffe durante la Seconda Guerra Mondiale ed era una città in cui succedeva poco o nulla. Fu da quella voglia di ribaltare un certo destino che è partito tutto e piano piano ha preso forma un universo popolato da personaggi cinematografici e suoni incredibili che, messi tutti insieme e frullati, hanno generato qualche cosa che è fallito a livello economico, ma non filosofico e musicale”.

Un eterno presente

La fenomenologia dei Joy Division, gli spot in cui risuona “Blue Monday”, Kanye West che campiona i Section 25, James Murphy degli Lcd Soundsystem che adora gli Esg, i Biting Tongues che preludevano all’elettronica di Aphex Twin: nelle pagine del volume viene analizzata l’influenza pulsante della Factory nel nostro presente, la genesi del factorysmo, la fascinazione di Virgil Abloh e Raf Simons per la sua musica e le sue copertine. Da qui il “glorioso fallimento”, un mondo che si è sgretolato, ma che ha saputo sopravvivere anche alla sua deflagrazione. Una specie di eterno presente. “Ci sono tanti esempi di audiofili e musicisti che hanno recuperato il sound di quegli anni, campionandoli o facendosi ispirare – continua Rennis – nel libro cito tanti esempi di come questa musica sia sopravvissuta: Jonny Greenwood (chitarrista solista dei Radiohead), fra i tanti, è un cultore di quel sound, che ha saputo lasciare un segno indelebile anche grazie al lavoro nella Factory di Martin Hannett. Basti pensare a ‘Movement’ dei New Order”.

Con una nota di Peter Hook e interviste a Simon Reynolds, David Stubbs, Dave Simpson (“Guardian”), John Robb (“Louder Than War”), Toby L (“Transgressive”), Tim Putnam (“Partisan”), Simon Raymonde (“Bella Union”), James Nice (“Ltm”) e Kevin Cole (“Kexp”), il libro riavvolge una storia magica. “La Factory ha lasciato tanta musica, ma anche una visione della vita – conclude Rennis – si fondava sull’idea che la creatività e l’idea di collettività fossero più forti del mercato e del denaro. Alan Erasmus, uno dei suoi fondatori, recentemente è andato in Ucraina per aiutare le persone in guerra e ha detto ‘la Factory nacque proprio per questo, per aiutare le persone’”. 

 

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