Ron, "Sono un figlio”: “Per questo album mi sono lasciato andare”

“Sono un figlio” è il titolo del nuovo album di inediti di Ron, giunto a distanza di otto anni dal suo ultimo lavoro in studio, “Un abbraccio unico”, e a oltre quattro anni dal disco tributo a Lucio Dalla, “Lucio!” (leggi qui la recensione). Il disco, prodotto dallo stesso 69enne artista insieme Maurizio Parafioriti, è nato durante il duro periodo di pandemia che, nonostante le difficoltà, ha permesso al musicista pavese di ascoltare molta musica e lavorare su un nuovo progetto. In questo contesto è nato nel cantautore, all’anagrafe Rosalino Cellamare, anche il desiderio di lasciarsi andare, così da raccontare e condividere qualcosa di sé in modo profondo e introspettivo. Grazie a questo bisogno di condivisione, dopo oltre cinquant’anni di carriera, Ron ha dato forma al suo nuovo album con l’aiuto di autori e musicisti importanti, oltre che insieme a giovani artisti.
“È un album che è nato in pandemia, anche con grande sofferenza perché quel periodo ha fregato tutti”, ha spiegato l’artista di Garlasco, raggiunto telefonicamente da Rockol, prima di raccontare:
“Ho fatto molta fatica all’inizio, anche solo per avvicinarmi a un pianoforte e a una chitarra. Il Covid, però, mi ha anche aiutato a stare in casa, che per me ha voluto dire ascoltare tanta musica. Per me è la musica la prima cosa che voglio cercare. Sentendo molte cose diverse, soprattutto americane e inglese - perché con l’Italia a volte faccio fatica - ho quindi iniziato a collaborare con amici o anche persone sconosciute, tra cui alcuni giovani di talento”.
“Per questo album mi sono lasciato andare”
“Sono un figlio” prende il titolo dalla prima canzone del disco, in cui Ron ha voluto narrare la storia dei suoi genitori. Tornando così all’infanzia, il musicista pavese ha racchiuso nelle 13 canzoni del nuovo album storie di vita, di amore, ma anche di ciò che lo circonda, proponendo quindi un racconto catartico per se stesso, ma in cui gli ascoltatori possono identificarsi.
“Io sono un figlio, come tanti figli di questo mondo”, ha sottolineato il cantautore a proposito del titolo del disco, e ha aggiunto: “Sono figlio dei miei genitori naturalmente, con i quali ho sempre avuto un rapporto meraviglioso, perché sono sempre state persone straordinarie. Io sono sempre stato un rompiscatole e già quando avevo 10 anni li guardavo negli occhi e gli dicevo sempre: ‘Sapete che io farò la musica e farò il cantante’. E loro agli inizi non è che erano proprio d’accordo, in risposta mi rivolgevano solo un sorriso un po’ tenero. Ma io ho insistito, fino a quando anche loro hanno capito che io ero duro di comprendonio e che questa cosa volevo farla davvero. E poi questa cosa l’ho fatta, tra l’altro proprio grazie a loro che mi hanno aperto una porta e mi hanno sempre supportato, consolato. Per me sono due persone importanti, non sono solo i miei genitori, che amerò per sempre”. Nel raccontare cosa significa per lui la frase “Sono un figlio”, Ron è tornato con la mente a quando, da giovanissimo, ha cominciato a prendere lezioni di canto o agli anni in cui ha iniziato a partecipare ai concorsi canori, grazie al quale è poi arrivato all’attenzione della RCA prima di debuttare a Sanremo a sedici anni. In questo viaggio tra i ricordi, del suo nuovo album l’artista ha poi spiegato:
“A differenza di tanti altri dischi che ho fatto, per questo album mi sono lasciato andare. A volte mi chiudo un po’ a riccio e faccio fatica a dire certe cose. Invece con questo album ho deciso di raccontarmi: con il tempo che passa e gli anni che avanzano, ho capito che certe cose c’è bisogno di dirle a se stessi e di condividerle con gli altri. Anche perché io mi sento anche un figlio della gente. Nel senso che, incominciando a un’età così giovane, le persone mi hanno coccolato fino adesso”.
Per questo motivo, Ron ha svelato a Rockol che il messaggio che vuole trasmettere attraverso “Sono un figlio” è la sua felicità: “Sono una persona felice, ma non perché mi faccio due risate. Innanzitutto sono felice di essere al mondo. E poi perché sono riuscito ad arrivare a fare quello che volevo, nonostante - chiaramente - alcuni momenti difficili, che però mi hanno fatto capire tante cose”, ha narrato il musicista, prima di continuare: “Sono una persona fortunata, oltre a fare qualcosa di buono. Il mio racconto è quello di una persona che ama immensamente il proprio lavoro e che ama la gente. Una cosa che io farei tutti i giorni è un concerto live: io amo il live da morire perché mi trasforma e mi permette di parlare con il pubblico, oltre a raggiungere nuove persone. La grande semplicità che c’è dietro questo lavoro è quello di essere appassionati a qualcosa. Il mio racconto sono io”.
Le collaborazioni e la cover di Finneas
Per lavorare a “Sono un figlio”, Ron ha collaborato e condiviso l’esperienza del nuovo disco con altri autori, musicisti e artisti giovani, dando così vita anche a un incontro generazionale. Oltre a Guido Morra, Maurizio Fabrizio, Bungaro, Niccolò Agliardi, Edwyn Roberts, Mattia Del Forno, Cesare Chiodo, Rakele, Donato Santoianni, all’album hanno contribuito Giulio Wilson, che ha impreziosito “I gatti”, Leo Gassmann sul duetto “Questo vento” e il trombettista Paolo Fresu, che ha portato la sua poesia in “Astronave del cielo”. “Sono un figlio”, inoltre, include “Quel fuoco”, l’adattamento in italiano di “Break my heart again” di Finneas O’Connell, il fratello di Billie Eilish.
“Per me la musica vuol dire davvero condivisione, anche quando la si scrive, la si inventa o quando si cerca di darle un vestito con un arrangiamento, e poi arriva il testo”, ha sottolineato Ron: “Secondo me è importante avere qualcuno con cui interloquire e chiedere cosa pensa l’altra persona. Quando si è circondati da persone talentuose è bello sentirsi anche dire che qualcosa non funziona”. Alla domanda su cosa significa per lui lavorare con altri, il musicista pavese ha affermato: “Io credo che la musica si debba fare insieme. E non ho mai pensato che la musica migliore possa essere fatta alle quattro di mattina mentre tutti dormono e tu scrivi la canzone più bella della tua vita, magari succede qualcosa volta, ma non è sempre così. Io credo nella solitudine, che, come il silenzio, amo e con cui ho imparato a convivere. Ma poi il confronto è importante e non si può fare sempre tutto da soli. Per me la musica è questo, forse è una filosofia un po’ inglese, dove il gruppo è tutto. Io sono un po’ così, mi piace giocare con la musica e non vergognarmi di nulla. Le persone devono essere quindi talentuose, ma anche vive”.
L’idea di includere in “Sono un figlio” una propria versione in italiano di un brano di Finneas è nata in Ron grazie alla sua passione di ascoltare molta musica e alla sua abitudine dal non tirarsi indietro dallo scoprire sempre nuovi artisti. “Ascolto moltissima musica e mi piace molto, per esempio, Ethan Gruska. Io sento la musica e mi faccio rapire, magari anche da una persona che non ho mai sentito, l’importante è che mi prende il cuore”, ha sottolineato il cantautore, prima di narrare com’è nato “Quel fuoco”, sua versione di “Break my heart again”:
“Finneas è stato uno di questi giovani artisti che ho ascoltato e ho apprezzato, prima di capire chi fosse e conoscere la sua storia. Pur essendo un personaggio noto per il lavoro con Billie Eilish, lui si mostra come una persona semplice, come tutte le persone importanti - ho capito nel tempo. Per cui gli ho mandato un demo della mia versione della sua canzone fatta al pianoforte e il testo adattato da mia sorella Enrica insieme a me. E lui mi ha mandato un messaggio per farmi i complimenti e spronarmi a fare il pezzo”.
Ha aggiunto: “L’idea di partenza era di fare un altro testo, perché mi sarebbe piaciuto scrivere una storia diversa, anche se la sua è importante in quel testo. Ma i suoi editori hanno declinato l’idea e hanno preferito che traducessi in italiano ciò che aveva scritto. Però con l’arrangiamento mi sono distaccato dalla sua versione e c’è un’idea sonora diversa. Mi è piaciuto provare a farla come lui ma poi ho fatto un arrangiamento diverso”.
In merito alla sua attenzione verso gli artisti più giovani e al suo rapporto con le novità, Ron ha poi fatto sapere: “Ora è arrivata questa ondata, bella, di giovani cantuatori e rapper che hanno un grande faro che li illumina in questo momento, molto fortunato per loro. Alcuni sono anche molto bravi, per cui secondo me è giusto che sia così”. Ha continuato: “Ed è giusto anche capirli, perché non si può pretendere che improvvisamente dei ragazzi tra i 15 o i 17 anni improvvisamente incomincino a scrivere cose sublimi o più grandi di loro. Sono ragazzi che hanno le loro problematiche, hanno delle cose da dire e si trovano in un mondo che in effetti non è sempre loro amico. Per cui li lascio lavorare: devono sentirsi bene e amati in quello che fanno”.
Oltre 50 anni di carriera e un nuovo tour teatrale
“Sono un figlio” è parte del progetto volto a celebrare i cinquant’anni di attività artistica del musicista nato a Dorno, in provincia di Pavia, nel 1953. Oltre al nuovo album, uscito dopo la raccolta “Non abbiam bisogno di parole” della scorsa primavera, è previsto un tour teatrale in partenza nei prossimi mesi.
“Io mi guardo indietro e penso: ‘Caspita, che 50 anni belli!’ - anzi, ora 52 anni, visto che di mezzo c’è stato il Covid”, ha fatto sapere Ron, che ha poi affermato: “Ho avuto tantissimo. Ci sono stati momenti in cui facevo fatica a scrivere o in cui quello che facevo non arrivava alla gente, e questo chiaramente spiace. Però, questo fa parte del lavoro. A volte le cose funzionano e altre no, è normale che sia così. Per me questi 52 anni sono stati magnifici”.
Per festeggiare la sua lunga carriera e presentare dal vivo il nuovo album, l’artista darà presto il via a un tour nei teatri italiani e a Rockol ha detto: “Sarà un tour teatrale perché in Italia abbiamo molti teatri bellissimi all’italiana, magari non grandissimi, ma che danno l’opportunità di fare dei concerti particolari, grazie alla loro atmosfera incredibile. Credo che il teatro sia il posto giusto per presentare dal vivo questo disco con uno spettacolo intenso ma anche molto sereno e vivace”.
Ron e Sanremo
Nel corso della sua avventura musicale, Ron ha partecipato al Festival di Sanremo otto volte, a partire dall’edizione del 1970 in cui si presentò in gara insieme a Nada con il brano “Pa’ diglielo a ma’”. Nel pensare al suo legame con il festival, dove ha anche vinto nel 1996 grazie a “Vorrei incontrati fra cent’anni” con Tosca, il musicista ha raccontato: “Io ho sempre avuto dei momenti e ricordi positivi legati Sanremo. A parte una volta, nel 2017, quando portai una canzone a mio avviso molto bella, ‘L’ottava meraviglia’, e venni eliminato”. Ha aggiunto: “Io vado a Sanremo se ho una canzone che mi piace, non per diventare famoso o guadagnare dei soldi. Sanremo è un’avventura difficile perché è una settimana molto stancante, ci sono centinaia di interviste e di cose da fare, per cui arrivi alla sera sul palco stanco, ma devi cantare e fare bene. Però io ho vissuto anche momenti eccezionali, oltre a vincere una volta, per cui devo ringraziare Sanremo, perché dalla vittoria di allora la mia vita è cambiata”. Alla domanda sul suo attuale rapporto con Sanremo e su un suo possibile ritorno all’Ariston, Ron ha poi narrato:
“Io non disdegno Sanremo e ci tornerei. Chiaro che non ci andrei con la prima canzone che faccio, andrei per portare qualcosa che lascia un segno, perché Sanremo è Sanremo: è un’occasione enorme, qual è un’altra trasmissione con lo stesso ascolto immenso?! Per cui dovrei andare con una canzone unica, per quanto mi riguarda”.