Meg: "Faccio storcere il naso ai puri, ma non mi interessa"

di Ernesto Assante
Si dice, ed è vero, che una delle cose più interessanti della rivoluzione musicale in atto è che la presenza femminile è cresciuta moltissimo. Ci sono cantanti, produttrici, musiciste, dj, che si propongono con sicurezza e energia, che rompono schemi e propongono novità, cercando di afre in modo che la musica scena musicale non sia solo maschile, come è stata per tanto, troppo, tempo. Una di quelle che questa rivoluzione l’ha praticata, con fatica, da tanto tempo è Meg, al secolo Maria Di Donna, star dei 99 Posse e poi, da ormai quasi un ventennio, anche artista solista, personalissima e indomita. Artista è la parola giusta, perché di esperienze ne ha fatte tante e in tanti campi diversi, come performer, cantante, compositrice e autrice, produttrice e discografica, cercando sempre di dar forma ai suoi pensieri e alle sue idee attraverso la musica. Oggi lo fa con un nuovo album, intitolato “Vesuvia”, che sembra volerla portare ancora una volta in un ‘altrove’ che sfugge a generi e categorie, che suona meravigliosamente pop e creativo, per dimostrare che i sogni e i suoni sono fatti della stessa impalpabile materia. I collaboratori sono tanti, da Frenetik e Orang3, a Fugazza, da Suorcristona e Tommaso Colliva a David Chalmin, ci sono Elisa e Emma in “Aquila”, i Thru Collective in “Arco e Frecce”, Nziria in “Napolide” e Katia Labeque in “She’s calling me”. E’ un ‘parterre de roi’ motivato e interessante, non una liste di nomi da sfoggiare per catturare attenzione, ogni collaborazione ha un senso, apre una porta, mostra uno spazio musicale, mentale, ideale. E poco importa se sia pop, rap, reggae, punk, elettronica o classica, per Meg esiste solo la Musica. Gia, ma chi è Meg oggi? “Mi sento in continua evoluzione”, ci dice, “sento di aver imparato tante cose ma tante me ne restano da impare, me ne accorgo giorno dopo giorno. E nonostante questi tempi che stiamo vivendo, le elezioni, la guerra, la repressione contro le ragazze in Iran, la pandemia, nonostante tutto paradossalmente io sono felice di essere viva”.
Sembra una contraddizione…
“Certo, mi sembra una contraddizione, mi dico anche io che non posso essere sempre felice pensando a tutte queste tragedie. Ma non posso fare a meno di pensare, tutti i giorni quando mi sveglio, che la vita mi ha dato tanto e sono felice di esserci. Ovviamente vorrei andasse meglio, nel mio piccolo provo a migliorare, come posso, se posso, quando posso, la vita degli altri. Un pezzo come ‘Scusa se sono felice’ nasce proprio da questa riflessione, dal fatto che ti capita di ridere con gli amici, passare una serata in compagnia divertendosi, capita che ti ritrovi allegra, non sai neanche tu per che e quasi ti senti in colpa perché un attimo dopo pensi che il mondo sta andando a rotoli, ti chiedi se ti puoi concedere questa risata. E il pensiero successivo è quello di dire si, probabilmente sono felice solo per il fatto di essere viva”.
Pezzo difficile da scrivere?
“Forse no. E’ un pezzo scritto in un momento di grande difficoltà nella mia vita, uno di quei momenti in cui ti capita di sentire che forse non ha senso quello che stai facendo e che forse invece in realtà hanno ragione quelli che dicono che ‘tanto non cambia mai niente’, che sarà tutto peggio. E’ un pezzo che ho scritto come una forma di autoanalisi, in cui la parte più fragile di me stessa chiedeva aiuto alla parte più forte, e questa avesse risposto ‘sei speciale, vai avanti, stai facendo la cosa giusta, non ti preoccupare, il mondo ha bisogno di te’. E il bello è stato poi ricevere feedback da chi l’ha ascoltata, persone che mi hanno detto che avevano bisogno di una canzone cosi, che non volevano nascondersi, che non volevano sentirsi ‘strani’, particolari, che volevano coltivare la propria diversità, che avevano paura di essere giudicati per le loro scelte, hanno ascoltato il pezzo e deciso di andare avanti. Beh, per me questi piccoli feed sono un riconoscimento enorme, valgono quanto anni di analisi, sono l’energia che mi consente di continuare”.
Possiamo dire che in questo album c’è più Maria e meno Meg? Più verità e meno ruolo? E che questo farà forse storcere il naso ai ‘duri e puri’?
“Il naso dei duri e puri si è storzellato già dal mio primo disco solista. Forse in questo caso si storcerà ancora di piu, ma non mi interessa. Ho sempre fatto musica per una mia esigenza personale, non per le orecchie degli altri. Quando la fai per accontentare gli altri la tua musica reterà molto piccolina, quando la fai per te stessa o magari solo un'altra persona, tutto diventa infinito. Meg è sempre meg, ma è anche e soprattutto Maria. Meg aveva bisogno di essere più Maria, e in questo disco mi appare piu rotonda a 360 gradi meno bidimensionale. I ruoli, a dire il vero, non mi sono mai piaciuti, fin dai tempi di scuola quando ero, a turno, la ‘drogata’, o la ‘lesbica’, mi affibbiavano un’etichetta ma io ero solo Maria, mi scrivevo i testi delle canzoni sui jeans e amavo la musica. Non mi piacevano le etichette nemmeno nei 99 Posse, quella della Combat Girl poteva anche stare bene, era una parte di me, ero forse l’unica in italia, ma mi sembrava comunque una gabbia. lo capisco che possa essere una necessità avere un persoanggio, ma io sono una persona e sono tante cose diverse. Quindi con i posse ero Meg Riot Girl, ma sono anche Maria femminista, Maria che ascolta tanta musica, alla quale piace scrivere canzoni di protesta ma anche canzoni d’amore, senza dover necessariamente rispondere a un etichetta azzeccata addosso.
Quindi oggi è completamente se stessa?
“Ci provo, spero di riuscirci. Cerco di parlare per me e con le mie regole, come autrice, produttrice, scrittrice, femminista. E cerco di farlo, in questo disco con una alter ego, Vesuvia, che vuole rappresentare proprio questo”.
Da dove nasce l’idea di Vesuvia?
“Mi piaceva l’idea, da vesuviana quale sono, cresciuta quindi con l’immagine e la presenza del Vesuvio costante e con tutti gli aspetti che vivere accanto ad un vulcano può avere, che Vesuvia incarnasse tutti gli aspetti del femminile. Crescere accanto a un vulcano dormiente ma attivo significa vederne la maestosa tranquillità ma al tempo stesso significa sapere che tutto può sparire da un momento all’altro, mi ricordo da ragazzina le frequentissime esercitazioni di evacuazione nelle quali ci dicevano che la realtà sarebbe stata peggiore, perché la zona vesuviana non è adatta alla fuga. Mi piaceva capovolgere in qualche modo tutto questo creando un personaggio, una donna, che incarnasse la dolcezza ma anche la potenza creatrice, l’indomabilità, una Riot Girl accogliente. E capovolgere anche l’idea del vulcano, come qualcosa di creativo e non distruttivo, capace di un’ eruzione musicale e non di morte”.
E’ un album ricco e fuori dai generi, in sintonia con quello che sta accadendo nella musica oggi…
“Quello che sta succedendo ora è stato seminato negli anni Novanta. Io ho avuto fortuna di vivere la rivoluzione dei primi anni novanta, digitale, quando lo strumento principe era diventato il campionatore e i negozianti di strumenti a Napoli si lamentavano che non si vendevano più chitarre. Compravo i dischi ai mercatini, ascoltavamo in studio cosa potevamo rubare, singoli suoni di strumenti, riff puliti, ritmi, mettevamo tutto in una library e creavamo pezzi difficili da incasellare in un genere, che avevano dentro di tutto, jazz, musica classica, rock, etnica. E continuo a fare musica senza badare alle etichette o agli stili. E mi piacciono molto i ragazzini di oggi, non tutti ovviamente, ma c’è un’energia bellissima e anche nel disco, non a caso, con un collettivo di Napoli, ragazzini e ragazzine, i Thru Collective. E’ molto bello che ci siano tante ragazze nella musica, io ero sempre l’unica donna in un mondo tutto, compresi discografici, giornalisti, addetti ai lavori, tecnici, fonici, musicisti, fatto di maschi, ero completamente sola con tutte le problematiche che questo poteva portare. Anche il modo di stare insieme dei ragazzi è diverso, non sono una band ma un collettivo aperto, non hanno firmato un patto per la loro unione, fanno tutti tante altre cose con tanti altri ragazzi. Se avessi avuto venti anni sarei entrata nel loro collettivo”.
Cosa vorrebbe accadesse con quest’album?
“A dire il vero non ho mai aspettative sui miei lavori, faccio musica per un’esigenza intima e personale, e quello che viene dopo è random, ed è bello che sia così”.