Cosa ci dicono quei 22 minuti shock pubblicati da Britney

È la vita di Britney, ma potrebbe essere la vita di qualunque altra popstar. È il racconto di quello che è accaduto negli ultimi quindici anni - quelli trascorsi sotto la tutela legale del padre-padrone Jamie - della vita della 40enne cantante statunitense, ma chissà quante sono le icone del pop mondiale che nascondono storie del genere. Magari per paura, la stessa che ha provato Britney prima di decidersi finalmente a condividere la sua esperienza: "Ho sempre avuto paura di essere giudicata e dell'imbarazzo che avrei provato, dello scetticismo e del cinismo delle persone e di ciò che avrebbero davvero pensato". D'altronde, si sa: lo show biz non è esattamente un mondo tutto rose e fiori. Baz Luhrmann lo ha recentemente fatto capire con il suo "Elvis", il biopic sul re del rock'n'roll, che più che essere un film sulla sua vita è in realtà un film sul rapporto conflittuale tra il cantante e il suo manager, il Colonello Tom Parker, reo di aver spremuto Elvis fino all'ultima goccia.
I 22 minuti di audio pubblicati da Britney Spears su Twitter - poi cancellati - prima che essere un attacco frontale al padre, alla madre e alla sorella, sono anzitutto un durissimo j'accuse contro il music biz e i suoi meccanismi perversi. Tornata alla musica grazie a Elton John, la cantante mette in fila gli episodi più crudi e violenti degli ultimi quindici anni della sua vita, raccontando la sua versione dei fatti. Partendo dal divorzio dal marito, avvenuto nel 2007, e le conseguenze psicologiche dell'evento: "La storia della tutela ebbe inizio quindici o sedici anni fa. Avevo 25 anni ed ero estremamente piccola. Ricordo che tanti amici mi scrissero degli sms e mi chiamarono al telefono per sapere cosa fosse successo. Ancora oggi non capisco dove io abbia sbagliato, ma mio padre mi punì proibendomi di vederli. La migliore amica di mia madre e le mie due migliori amiche, con le quali avevo dormito la notte prima, mi fecero stendere di forza su una barella", ricorda Britney.
"Fino a quel momento il massimo della mia follia era comandare i paparazzi come fossero pedine di scacchi. Mi prendevo gioco di loro confondendoli e credo che fosse una delle cose più divertenti dell'essere famosa. Non riesco a comprendere cosa ci fosse di così pericoloso nel farlo - racconta ancora la cantante - ma mia madre mi parlò e mi disse che probabilmente saremmo dovute andare in un hotel o una struttura del genere, che delle persone sarebbero venute a parlare con me il giorno stesso. Non capivo cosa intendesse dire. Quattro ore dopo si presentarono fuori da casa mia circa 200 paparazzi, che immortalarono il momento in cui immobilizzata su una barella venni portata via da un'ambulanza. adesso so che fu tutto premeditato. Fu un abuso vero, i cui dettagli non ho mai condiviso".
La testimonianza di Britney Spears prosegue con i dettagli più raccapriccianti legati alla tutela legale del padre: "Quando mio padre fu nominato mio tutore, cominciò a controllare tutto quello che facevo. Ricordo che il primo giorno disse: 'Sono io Britney Spears e ora decido io cosa fare'. Ricordo che mi veniva detto per filo e per segno cosa fare. Tutti i giorni mi dicevano che ero grassa, che dovevo fare allenamento: non ricordo di essermi mai sentita così sminuita e demoralizzata, mi facevano sentiree una nullità. Feci quattro tour, album come 'Circus', 'Femme Fatale', 'Britney Jean' e 'Glory', la residency a Las Vegas. Lavoravo duramente, ma arrivai ad un punto in cui mi sentii esausta. Avevo 30 anni e dovevo vivere sotto il controllo di mio padre, mentre i miei ballerini potevano uscire, divertirsi e bere ogni sera. Non potevo neppure avere dei contanti. Ero l'unica a lavorare, ma anche l'unica a non poter godere dei frutti del mio lavoro. Le mie performance erano orribili. Dovevo indossare delle parrucche perché facevo dei trattamenti ai capelli. Ero un robot: vivevo in una bolla in cui le persone facevano finta di trattarmi come come una superstar, ma in realtà venivo trattata come una nullità".
Ad un certo punto, in Britney scattò qualcosa: "Ad una delle prove di uno show mi opposi di eseguire un passo di danza: 'Non voglio farlo così'. Calò un silenzio tombale. Tutti i produttori andarono nel backstage a parlare tra di loro. Non capivo cosa stesse succedendo. Il giorno dopo mi comunicarono che dovevano mandarmi in un istituto mentale e che avrei dovuto comunicare su instagram che lo show sarebbe stato cancellato per la malattia di mio padre. Chiamai mio padre e piangendo al telefono gli chiesi il perché di tutto quello che stava facendo: 'Io non posso aiutarti, devi ascoltare i dottori', mi rispose. Le sue ultime parole furono: 'Non sei obbligata ad andare in quell'istituto ma se non ci andrai ti faremo causa in tribunale, intraprenderemo un lungo processo e tu lo perderai, perché io ho più persone dalla mia parte rispetto a quelle che hai tu. E poi non hai nemmeno un avvocato, figurati se ti prenderanno in considerazione'. Fui costretta ad andare. In quel periodo smisi di credere in Dio, non riuscivo a capire come potessero far entrare 40 persone dentro casa mia ogni giorno, come potessero costringermi a rimanere seduta a lavorare dalle sei del mattino alle otto di sera, peraltro controllandomi mentre mi facevo la doccia, mentre mi cambiavo, senza un minimo di privacy. Controllavano anche cosa io mangiassi. Mio padre mi trattava come se io fossi una macchina".
Il finale è lieto (si spera): “Ad un certo punto finalmente il proprietario dell’istituto mentale si decise a farmi uscire e a farmi andare via. Lo fece perché il movimento FreeBritney cominciò a prendere piede. Li vedevo in tv durante gli show televisivi: penso che i miei fan sapessero in cuir loro che qualcosa non fosse ok. Ciò che mi confuse di più fu realizzare che in mezzo a tutte quelle persone che protestavano per strada non c’erano né mia madre né mia sorella. A loro piaceva vedermi come la cattiva della situazione, la pazza. Fu la cosa che mi fece più male".