Sono dieci anni che i ZZ Top non pubblicano un album
"Siamo rattristati dalla notizia di oggi che il nostro compagno, Dusty Hill, è morto nel sonno nella sua casa di Houston, in Texas. A noi, insieme a legioni di fan di ZZ Top in tutto il mondo, mancherà la tua presenza costante, la tua buona natura e l'impegno duraturo nel creare quella monumentale base verso il "Top". Saremo per sempre legati a quel "Blues Shuffle in Do" Ci mancherai moltissimo, amigo. Frank & Billy". Con questo messaggio Frank Beard e Billy Gibbons salutavano il compagno di mille battaglie, il bassista Dusty Hill, che un anno fa all'età di 72 anni è passato a miglior vita. Cogliamo l'occasione fornita da questo triste anniversario per riportare all'attenzione generale il fatto che la band texana non pubblica un nuovo album da ormai dieci anni. L'ultima impresa del trio, "La futura", risale infatti al settembre 2012. Nelle righe a seguire riportiamo la recensione del disco che fece per noi Andrea Valentini.
Ci sono voluti quattro anni per incidere “La futura”; non siamo ai livelli inarrivabili di lungaggine toccati da “Chinese democracy”, ma considerando la natura degli ZZ Top, da sempre un power trio di torrido e minimale boogie/rock/blues/hard, possiamo dire che sì, questo album è il loro “Chinese democracy”, per certi versi. Ma a dilatare i tempi non sono stati cambi di formazione selvaggi, capricci da rockstar catafratta e materiale per tabloid come nel caso dei Guns n’Roses: in questo caso il “colpevole” risponde al nome di Rick Rubin (un altro barbutissimo), che – in veste di produttore – ha preteso che la band desse il massimo e anche di più, non curandosi del tempo che passava.
Tre blues rocker chiusi in uno studio per quattro anni (a fasi alterne), a suonare assieme come una garage band di liceali: questo è l’approccio che Rubin ha imposto ai tre veterani, all’insegna del concetto “Non devo insegnare niente a questi tizi, devo solo farli lavorare, lavorare, lavorare”. Il risultato è un disco di puro e tradizionale ZZ Top sound; niente colpi di testa, innovazioni, evoluzioni o bizzarrie (nelle quali cadono a volte le band con tanti anni sulle spalle, forse vittime della noia della routine)… solo un onesto, sudato e muscolare hard boogie con venature blues e garage rock.
Certo il prezzo da pagare, per questa inossidabile coerenza, è la costante autocitazione; mi si perdoni l’indelicatezza, ma anche da fan e possessore di gran parte dei 15 album in studio del gruppo, non posso fare a meno di pensare che dopo oltre 40 anni gli ZZ Top suonino come una tribute band a se stessi, proponendo riff che riecheggiano quelli del proprio passato, ma conditi con qualche solo e testo differente. Non c’è nulla di male in questo, sia ben chiaro (non sono i primi e neppure gli ultimi a farlo dignitosamente e senza che sia necessario gridare allo scandalo), soprattutto se poi oltre al mestiere è comunque possibile scorgere ancora la scintilla e la passione per la musica. Cosa che ai tre texani non manca di sicuro, visto che suonano come ventenni pieni di energia. In più, a mitigare il sapore stranoto del piatto, c’è un graditissimo ritorno alle origini, ossia al sound più grezzo e spigoloso pre-successo commerciale; una mossa che, per quanto apparentemente banale, solitamente paga.
Poi, ovviamente, c’è lo zampino di Rubin, che sebbene abbia preteso di lasciare liberi gli ZZ Top di jammare e scrivere in studio (si parla di più di 20 cd pieni di materiale grezzo, accumulati durante la pre-produzione), non ha rinunciato a porre il suo marchio sul disco. E infatti la produzione è tipica rubiniana, con quelle chitarre esuberanti e le ritmiche imponenti… per fare un paragone irriverente, molto di questo “La futura” ha un’impronta sonora che ricorda i Cult di “Electric” alle prese con una serie di outtake dalle session “Rio Grande mud” – che è un po’ come dire che, se amate questi “sapori”, non potrete mai affermare che il nuovo degli ZZ Top è un disco trascurabile o poco riuscito, perché sarebbe una bugia enorme come il Texas.
Per concludere, “La futura” non è certamente un Grande Disco, di quelli che cambiano il corso della storia o della carriera di una band, ma è un buon disco di un grande gruppo, che non deluderà i fan e contribuirà a tenere vivo nome, leggenda e conto in banca di Gibbons (e soci). Del resto quell’eterna barba chilometrica da curare e l’hobby di collezionare auto vintage necessitano di iniezioni generose di cash… e chi siamo noi per negarle?