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Non un ritorno come gli altri: i Pavement al Primavera Sound

Una reunion con un valore aggiunto, per una band che pare finalmente aver preso coscienza di sé
Non un ritorno come gli altri: i Pavement al Primavera Sound

Era un momento che aspettavano in molti. I fan, sicuramente, ma - forse - loro ancora di più. E il ritardo imposto dalla pandemia, che ha rinviato di due anni la festa, c'entra solo relativamente. I Pavement sono saliti su uno dei due main stage gemelli allestiti per la ventesima edizione del Primavera Sounds di Barcellona riproponendo, tutto sommato, l'impianto dello show proposto in anteprima al Fonda Theatre di Los Angeles appena una settimana fa. E' rimasta la prima parte più centrata sulle gemme nascoste del catalogo, con "Frontwards" e "Silence Kid", in apertura, seguite da "Father to a Sister of Thought", "Kennel District" e "Serpentine Pad", terzetto comunque "scortato" da "Gold Soundz" e "Spit on a Stranger". Il tenore resto lo stesso fino a metà concerto, con - tra le altre - "Embassy Row", "Perfume-V", "The Hexx", "Trigger Cut" e "Type Slowly". Poi "Cut Your Hair" ha aperto la strada agli episodi più noti: sono arrivate, in sequenza o quasi, "Zurich Is Stained", "Two States", "Grounded", "Shady Lane", "Range Life" (con il verso che fece scaturire il feud con gli Smashing Pumpkins ammorbidito in "and I could really give a damn"), "Major Leagues" e, prima della chiusura con la cover di Jim Pepper "Witchi Tai To", l'immancabile "Summer Babe". In scaletta, nel complesso, sono finite ventisette canzoni per quasi un'ora e tre quarti di set, suonato praticamente tutto d'un fiato.

Il fatto è che le reunion, quasi sempre, finiscono per essere delle messe in scena di sé stessi, più o meno fuori tempo massimo. E, nel 2010, i Pavement fecero - seppure molto bene - esattamente quello. Dodici anni dopo la senzazione pare diversa: Stephen Malkmus e i suoi sembrano più alle prese con la gestione di un’eredità che con una rimpatriata - a beneficio di ego o portafoglio, o entrambi, poco importa. E non è l’atteggiamento - che grossomodo, sul palco, è rimasto lo stesso - a lasciarlo intuire, ma il piglio. Più che la scelta dei pezzi - confrontando l'ultima scaletta con quella proposta a Bologna nel 2010 ai tempi della prima reunion, non si notano particolari stravolgimenti - a fare la differenza, per il secondo ritorno sulle scene dei Pavement, è stato il modo di proporli.



L’ingresso in formazione di Rebecca Clay Cole, per esempio, non ha sollevato Bob Nastanovich dal suo ruolo - per buona parte quello di sempre, cioè dell’hype man - ma ha dato all’esecuzione dal vivo più solidità, aggiungendo - in modo a tratti fin troppo discreto, ma, va da sé, la prudenza è inevitabile in fase di rodaggio - sfumature per certi versi sorprendenti. Quasi come se il gruppo avesse deciso di allontanarsi definitivamente dalla parte più superficiale della rappresentazione con la quale la retorica slacker li aveva consegnati alla popolarità, cioè quella di amabili outsider che avevano rinunciato - più o meno deliberatamente - alla fama, riportando al centro del discorso la sostanza più che la forma. “Ho dovuto compiere 55 anni per rendermi conto di che cazzo di grandi canzoni abbiamo scritto”, ha spiegato Scott Kannberg qualche giorno fa al Guardian: “Non riconoscevo a Stephen i suoi meriti, prima, perché - sapete - eravamo in un gruppo, e c’era tensione e tutta quella roba lì. Oggi alle prove lo guardo fare cose nuove con le nostre canzoni e penso: ehi, c’eravamo. Ci siamo”.


E sì, ci sono. Il concerto di Barcellona ci ha restituito il gruppo che negli anni Novanta ha saputo fare scuola, forgiando un suono e uno stile che sarebbero rimasti - anche se nascosti, alle orecchie dei più. E che non tornerà come lo conoscevamo prima, come è naturale che sia. Potrebbe essere che questa reunion sia capitata nel momento giusto, o che la band si sia distanziata abbastanza dal proprio passato per leggerlo nella maniera corretta: di sicuro, quello andato in scena sul main stage del Primavera Sound è uno spettacolo che rende giustizia alla grandezza dei Pavement. Rinunciando al revival, Malkmus e compagni sono riusciti a far rivivere quello spirito che, trent'anni fa, li aveva resi speciali. E che ancora oggi,  after the glow, the scene, the stage , continua a farlo.
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