Brian Eno: "C’è più musica interessante oggi che in passato"
Non esiste un luogo che non possa essere ‘arredato’ dalla musica di Brian Eno. E al lunghissimo elenco di luoghi dove la musica del più celebre creatore di eventi sonori della storia della popular music contemporanea si aggiungono ora i luoghi del Trentino, negli spazi storici del Castello del Buonconsiglio e di Castel Beseno, con due installazioni multimediali che inaugureranno il 19 agosto: ‘Audio Installation for Buonconsiglio’ e la rivisitazione di ‘77 Million Painting for Beseno’. Un progetto intitolato “Brian Eno x Trentino”, che vede l’iniziativa della Provincia autonoma di Trento ed è organizzato dal Centro Servizi Culturali Santa Chiara, con la collaborazione del Castello del Buonconsiglio e di Trentino Marketing e la produzione di Alessandro Albertini e Giuseppe Putignani.
Negli spazi del duecentesco Castello del Buonconsiglio di Trento, con i suoi Giardini di Magno Palazzo e Cortile dei Leoni, Brian Eno realizzerà ‘Audio Installation for Buonconsiglio’ dal 19 agosto fino al 6 novembre, un’installazione audio site-specific di musica generativa, che nell’intenzione del ‘non musicista’ inglese dovrebbe creare un dialogo tra suoni, ambienti e visitatori, in un percorso che si va a sovrapporre a quello museale. A Castel Beseno, invece, prenderà vita ‘77 Million Paintings’ in una dimensione inedita, quella delle mura del Castello che diventeranno una “tela” sulla quale prenderanno vita le immagini nate dalla sovrapposizione casuale dei layer di 400 dipinti realizzati dallo stesso Eno, attraverso un software in grado di generare 77 milioni di combinazioni senza mai ripetersi, sincronizzate con una musica che non si ripete mai, una una ‘pittura di luce’ e suoni sulle grandi Mura Est di Castel Beseno, che hanno una superficie di circa 1.500 metri quadrati. Ogni venerdì e sabato, dal 19 agosto al 10 settembre 2022, saranno organizzati otto eventi serali. Per Eno proporre le sue opere in dei castelli medievali non è particolarmente strano, “Sono inglese”, dice, “amo i castelli e quindi non ho avuto problemi. Certo sono diversi da quelli inglesi, interiormente e esteriormente, ma questo può solo aprire nuove possibilità”.
Per Eno ogni luogo è plausibile per realizzare le sue opere generative: “Credo che quello che gli artisti dovrebbero fare è cercare di creare un diverso tipo di mondo in cui chi arriva può avere delle esperienze originali e al tempo stesso e portare l’esperienza dell’arte nella propria vita. L’arte è come un simulatore dove poi fare esperienze senza pericolo, senza ripercussioni negative. Qualcuno potrebbe chiedere cosa voglio simulare io: con installazioni come queste voglio creare posti dove arrendersi, abbandonarsi, lasciarsi andare, essere nel flusso di quello che avviene senza sapere cosa accadrà dopo, io stesso non posso predire quello che accadrà nelle mie installazioni. Lasciarsi andare, arrendersi, vuol dire aprirsi a quello che non si conosce e vedere quello che succede; non è un esperienza che facciamo spesso, la proviamo magari con il sesso, con la droga, o con la religione, che sono tutte esperienze di abbandono”.
Eno nega il ruolo di artista ‘creatore’ immaginando sistemi che possano creare per proprio conto, “un sistema completamente randomico, casuale. Io so come funziona il sistema, ma non quello che potrà produrre, non i risultati. E’ un atto di resa da parte dell’artista: noi pensiamo agli artisti come architetti che hanno una visione che vogliono portare al mondo, io non lavoro così; voglio creare sistemi che producano esperienze per me, io sono parte dell’esperienza, non voglio sapere prima cosa accadrà, non voglio immaginare il risultato finale”. E’ stato così fin dall’inizio, da quando lasciati i Roxy Music, quasi cinquanta anni fa, Eno ha iniziato il suo percorso originalissimo, di intellettuale, di musicista, di produttore, segnando in maniera indelebile lo sviluppo della musica nel secolo scorso e in questo: “Da giovane ero affascinato da Riley e Reich, ma restai colpito soprattutto da una frase di uno scienziato importante, Stafford Beer, che diceva: ‘invece di cercare di specificare un sistema in tutte le sue parti, cerca di specificare solo alcune parti e poi lascia che la dinamica del sistema stesso ti porti nella direzione che auspichi’. Quindi non penso a me stesso come un architetto che ha una visione, penso a me stesso come un giardiniere, che pianta i semi e loro crescono, io controllo solo l’enviroment in cui questi semi crescono. Amo vedere il giardinaggio attraverso la prospettiva della teoria del caos”.
Di sicuro, però, Eno è completamente calato nei suoi tempi, nella storia, nella politica. Da tempo è impegnato nella battaglia ambientalista con la sua Earth Percent e con molte altre associazioni con le quali lotta per fermare il cambiamento climatico e far crescere la coscienza ambientalista nel mondo. Anche le opere che creerà in Trentino avranno questo segno, “perché sono opere che hanno un atteggiamento radicale, chiedono alle persone di dedicargli la propria attenzione per una mezz’ora o un’ora. Sono opere che dicono alla gente ‘presta attenzione con lentezza, prendendoti del tempo’. Non è un messaggio nuovo, ma in quest’epoca è un messaggio rivoluzionario. In media un adulto occidentale oggi vede circa 5000 messaggi pubblicitari alla settimana, e ognuno è un modo per dire ‘fermati e dedicami la tua attenzione’, è un braccio di ferro che ha un’influenza sulla nostra evoluzione, una battaglia concentrata sulla nostra attenzione, che è la cosa commercialmente più importante, è quella che tutti vogliono. Io dico ‘spostala’, portala altrove, non verso un prodotto, questa è la mia filosofia. E quando la gente mi dice che guardando le mie opere o ascoltando la mia musica ha pensato a cose alle quali non aveva pensato per molto tempo, credo di aver ottenuto il risultato che volevo”. 50 anni di attività sono molti, le esperienze musica che Eno ha avuto sono incredibili, diverse, affascinanti, di successo, d’avanguardia, originali. E’ soddisfatto di quello che ha fatto? Si, ma penso sempre a quello che posso ancora fare. Sono andato di recente in un posto dove avevo piantato seimila alberi 15 anni fa, alcuni sono diventati molto grandi e molto grandi, ma so anche che se pianto altri alberi adesso posso vedere un altro bosco prima di morire. Così conto il mio futuro in termini quante foreste riuscirò a piantare. Ma sono anche fiero di due o tre cose che ho fatto. Una è introdurre nel pop l’idea che puoi essere intellettuale senza essere noioso, cosa che all’inizio la gente pensava fosse un’idea ridicola. La seconda è la lentezza: quando ho iniziato a lavorare nel pop c’era il feeling che doveva essere disegnato specificamente per chi aveva diciotto o diciannove anni e una notevole dose di energia. Vero, ma non ci sono solo i diciottenni, io volevo fare musica più spaziosa, con orizzonti e paesaggi più ampi, con cose che si mostrano piu lentamente, e ho introdotto questa idea nel pop. La chiamavano ambient all’inizio ma oggi è molte altre cose. E l’ultima è l’idea che sia possibile essere artisti e includere nella tua arte tutto quello che ti interessa, scienza, sesso, bruttezza e bellezza, semplicità e complessità, avevo l’ambizione fare un’arte interessante abbastanza da tenermi occupato e affascinato, ed è ancora così”.
Eno ha contribuito a cambiare il percorso della storia della popular music più volte. Pensa che oggi la musica sia diventata un arredo, un accessorio, che sia meno importante per la vita delle persone? “Per quello che vedo c’è più musica interessante oggi che in passato, è un periodo molto interessante, siamo all’equatore e tutto intorno c’è una vita lussureggiante, in ogni possibile forma, una realtà senza precedenti. Quello che è cambiato è che non c’è più un canone. Prima, negli anni 60 e 70, c’era il collo di bottiglia del sistema delle case discografiche, era difficile fare un album, farselo produrre e distribuirlo, quindi non molti dischi venivano pubblicati, e cosi tutti sapevano cosa accadeva, era facile. Questo formava un canone, tutti erano d’accordo che Beatles, i Jefferson Airplane o Jimi Hendrix erano importanti. Oggi invece, quando tutti possono produrre musica, non abbiamo consenso su quale area della musica sia importante. Io personalmente penso che sia un bene, che questo ci porti verso uno spazio nuovo e promettente. Ci stiamo avvicinando ad una condizione simile a quella che era prima dell’avvento del disco, una condizione folk in cui ci sono tante cose che possono essere ascoltare e che sono famose anche in spazi piccoli e non planetari, ma che possono crescere in maniera sorprendente. Basta pensare a quello che è accaduto due o tre anni fa con ‘Jerusalema’, creata da un cantante sconosciuto e da un dj sudafricano, è partita dal Sudafrica e ha conquistato il mondo, in un modo che dieci anni fa era inimmaginabile. Questo mi ha riempito di ottimismo”.