Dance! Underworld, "Dubnobasswithmyheadman"

Underworld
Dubnobasswithmyheadman
(Junior Boy’s Own, 1994)
Karl Hyde e Rick Smith sono forse l’esempio più convincente di come l’Ecstasy possa cambiare totalmente la vita di un individuo. Già autori, negli anni Ottanta, di innocui dischi di poppettino con venature sintetiche (prima col nome Freur e poi con quella che diverrà anche in seguito la loro ragione sociale storica), nel 1990 mettono fine all’avventura per gli scarsi esiti artistici e commerciali della stessa. Ma l’aria che si respira nell’Inghilterra di quel periodo, col suo irripetibile misto di meticciato culturale, visionarietà e selvaggia creatività alimentata dalle pastiglie, li spinge a frequentare il nascente circuito Rave, per rimanerne immediatamente folgorati.
Gli eventi prendono la piega giusta quando conoscono il dj Darren Emerson, che spiega loro due o tre cosette sulla nuova musica che impazza per le strade e nei locali, illustrandone dinamiche, senso e perimetro artistico. Passano due anni e i frutti del nuovo sodalizio si vedono subito, con una serie di singoli ("Bigmouth", "Rez" e "Spikee" i più importanti, i più devastanti) a far da gustosissimo antipasto a un album che dodici mesi scarsi più tardi provocherà niente di meno che un terremoto. "Dubnobasswithmyheadman" è infatti una pietra miliare, un’opera che unisce con sconvolgente naturalezza tempi e modi Dance (una House dura, rovente e sinuosa che, per la varietà della tavolozza sonora impiegata e dei larghi spazi esplorati, verrà
definita Progressive) e impatto Rock, con una ricerca della melodia innodica che non lascia scampo.
Corpo e anima che bruciano all’unisono, cuore pulsante di umano vitalismo racchiuso dentro un possente guscio tecnologico, che declina torrenziale e torrida musicalità distesa su irresistibili cavalcate scandite dalla cassa in quarti.
Pezzi chilometrici che muoiono e rinascono in continuazione, caratterizzati da crescendo di bellezza suprema e, soprattutto, dalle mesmerizzanti orazioni di Karl Hyde, che con i suoi recitativi messianici si trasformerà nel megafono della rampante generazione “E”. Un suono massimalista e ipertrofico in perenne, perfetto, equilibrio fra classe innata e urticante populismo, in grado di generare brani colossali e indimenticabili: la nerissima e seducente "Dark & Long", la lisergica visione aerea di "Mmm Skyscraper I Love You", i sintetizzatori stroboscopici su avvolgenti pieghe Dub di "Surfboy", la paranoia elettronica e chimica insieme di "Spoonman", la tragicità eterna di "Dirty Epic" e poi lei, LA traccia: si chiama "Cowgirl" ed è momento definitivo
di tutto il mondo Underworld con la sua intensità adrenalinica, la sua emotività sconquassante, la sua aristocratica eleganza sintetica, che va a incorniciare un’opera dalla quale non si torna più indietro.
Magnifici (anche se meno cruciali), a ogni buon conto, anche i successivi "Second toughest in the infants" e "Beaucoup fish". Un gruppo che potrebbe essere la vostra vita.
Il testo è tratto da "Dance! - Techno e House, 100 dischi fondamentali" di Andrea Corritore, per gentile concessione di Arcana Editore. (C) 2022 Lit edizioni s.a.s.
