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Francesco Guccini, la storia di "La locomotiva"

L'album "Radici" sta per compiere 50 anni, lo rileggiamo canzone per canzone
Francesco Guccini, la storia di "La locomotiva"

"Radici" di Francesco Guccini è stato pubblicato cinquant'anni fa, nell'ottobre del 1972. Ripercorriamo l'album canzone per canzone, in ordine di tracklist.


La locomotiva 

Roberto Leydi, l’Alan Lomax della musica italiana, l’ha definita la più bella canzone popolare del nostro Dopoguerra, anche se canzone popolare non è, ma un brano costruito sullo stile dei brani anarchici di Pietro Gori ("Addio a Lugano", "Inno del Primo Maggio", "Stornelli d’esilio").

«Ci ho messo più tempo a cantarla che a scriverla» scherza Guccini specificando di avere utilizzato volutamente un linguaggio retorico con «frasi che non avrei mai usato» ma che rendessero il fascino sovversivo di fine Ottocento. Pier Farri e Vince Tempera riempiono l’aria di chitarre sull’onda della loro passione per Crosby, Still, Nash & Young, ma sbucano qua e là anche il piano, la batteria, le tastiere, il moog («Non sapevamo nemmeno come adoperarlo» confessa Tempera). La semplicità armonica di "La locomotiva" ha sfiancato una generazione di emulatori adolescenti, e di sventurati ascoltatori (a pugno alzato d’ordinanza), con più di otto minuti di ossessionante Do Sol7 Do, Fa Sol7 Do, e un Mi più un La minore giusto per non addormentarsi sulle corde e qualche strofa cantata sfalsando la tonalità originale. Guccini la propone puntualmente alla fine di ogni concerto, come il classico dolce per chiudere in bellezza, «accelerata di sei volte» e con un vivace sostegno ritmico a scanso di abbiocchi.

La canzone comincia con una bugia, "Non so che viso avesse neppure come si chiamava". Si chiama Pietro Rigosi, “all’epoca dei fatti” ha 28 anni, padre di due bambine e di mestiere fuochista ferroviere. Informazioni che Francesco conosce bene, dopo aver scartabellato i diari ottocenteschi compilati da operai bolognesi che raccontano la drammatica vicenda.

Ed ecco un’altra bugia, chiamiamola licenza poetica: "Conosco invece l’epoca dei fatti… i primi anni del secolo". No, la vicenda risale al 20 luglio 1893 ed è riportata fedelmente dalle cronache. E Francesco Guccini non ha finito di ingannarci.
"Non so che cosa accadde perché prese la decisione
Forse una rabbia antica, generazioni senza nome".
Il perché invece è chiaro: la paga da fame, gli orari scellerati, la rabbia per le ingiustizie sociali che portarono il ferroviere all’insana decisione: impadronirsi di una locomotiva, la numero 3541 della Rete Adriatica, da dirigere a tutta velocità – parliamo di 50 chilometri all’ora, che per l’epoca era come un Frecciarossa – contro un treno di lusso che transita alla stazione di Bologna con “gente riverita… velluti, ori”.

"Correva l’altro treno ignaro e quasi senza fretta
Nessuno immaginava di andare verso la vendetta
Ma alla stazione di Bologna arrivò la notizia in un baleno
Notizia d’emergenza, agite con urgenza
Un pazzo si è lanciato contro il treno!"

Lo scontro e la strage sembrano inevitabili ma, come in un thriller, i tecnici delle Ferrovie italiane riescono all’ultimo momento a deviare la locomotiva su un binario morto.

"Con l’ultimo suo grido d’animale
La macchina eruttò lapilli e lava
Esplose contro il cielo poi il fumo sparse il velo
Lo raccolsero che ancora respirava".

Anche qui Guccini, da buon cantastorie, si diverte a camuffare la realtà, facendo credere che il “vendicatore” della locomotiva sia morto dopo l’incidente e invece Pietro Rigosi sopravvive, nonostante le gravi ferite e l’amputazione di una gamba.

Resta una canzone leggendaria e anarchica, accostabile per epoca e modalità a una popolare ballata americana, "The Wreck of the Old ’97": in questo caso il macchinista, pure lui vessato dal padrone, deve recuperare il ritardo per una consegna ferroviaria urgente. Finisce anche qui, in Virginia, tra “lapilli e lava”:
“Abborda la curva a novanta miglia all’ora e il fischio del treno diventa un grido, lo trovarono fra le macerie con la mano sull’acceleratore, bruciato a morte dal vapore”.

E ancora una volta, fatalmente, per Guccini l’America si sposta sull’Appennino. O viceversa. 

Questo testo è tratto da "Tutto Guccini" di Federico Pistone, pubblicato da Arcana, per gentile concessione dell'autore e dell'editore. (C) 2020 Lit edizioni s.a.s.  

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