Fabrizio De André, la storia di "Via del Campo"
 
                                            VIA DEL CAMPO 
Musica di Fabrizio De André e Enzo Jannacci
parole di Fabrizio De André
Se dite De André, dite "Bocca di Rosa" e dite "Via del Campo", storie delle “cortigiane” più famose d’Italia. Fabrizio non ha ritegno a svelarci che quella “graziosa, occhi grandi color di foglia”, quella “bambina con le labbra color rugiada”, altri non è che un travestito. Non solo doppio genere, ma anche doppia identità. A volte Fabrizio lo identifica in Giuseppe in arte Josephine, altre volte in Morena al secolo Mario. È probabile che siano valide entrambe le versioni, Giuseppe o Mario, mete di pellegrinaggi notturni dello stesso artista e dei suoi amici. «Mi era apparso come una bellissima ragazza bionda ma solo al dunque scoprii che era un uomo e che non era andato a Casablanca». A quel punto De André non si ritrae scandalizzato o schifato ma resta avvinto dal fascino di Josephine e di Morena che “esercitano” nei bassifondi di Genova e che diventano una sorta di appuntamento fisso per lui e anche per gli amici nottambuli.
Lo scenario è proprio quello angusto di Via del Campo, zona Porto Antico, covo ideale dei personaggi più miseri e quindi più lucenti del paradiso di De André, così simile a quello di Villon prima, di Brassens poi. Un paradiso, al primo piano, immondo e fiorito: “Ama e ridi se amor risponde / piangi forte se non ti sente / dai diamanti non nasce niente / dal letame nascono i fior”.
Sulla famosa etichetta viola Bluebell, De André appare come unico autore con la specifica: “Da una musica del XVI secolo tratta da una ricerca di Dario Fo”. È uno scherzo: Jannacci due anni prima ha inciso "La mia morosa la va alla fonte" con la stessa melodia di "Via del campo" e finge di essersi ispirato a una ballata medievale scoperta insieme a Fo, in verità è stato lui stesso a comporla ma Fabrizio ci casca. Nel 1970 esce la seconda versione del 45 giri, questa volta per Produttori Associati: sull’etichetta resta solo il nome di De André, la “musica medievale” non c’è più e nemmeno il vero autore. Chi la fa l’aspetti.
Jannacci non pretende citazione né diritti d’autore, anzi ci ride sopra, da gran signore e da immenso autore, che nei primi tre album (dal 1964 al 1968) concentra alcune delle canzoni più memorabili della storia italiana, convincendo artisti come Dario Fo, Franco Fortini, Giorgio Strehler e Fiorenzo Carpi a sconfinare dai propri sentieri per una nobile escursione nella musica leggera. Le canta in milanese, quando il dialetto non è stato ancora sdoganato: ci penserà il suo grande estimatore De André, molti anni dopo, a rendere universale un idioma che non sia l’italiano, con irresistibili ballate in sardo e soprattutto con il capolavoro in ligure antico CREÛZA DE MÄ.
Questo testo è tratto da "Tutto De André" di Federico Pistone (Arcana). (C) 2021 Lit edizioni S.a.s. per gentile concessione.

