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Fabrizio De André, la storia di "Via del Campo"

Il primo album del cantautore, "Volume 1", compie 55 anni
Fabrizio De André, la storia di "Via del Campo"

VIA DEL CAMPO 
Musica di Fabrizio De André e Enzo Jannacci
parole di Fabrizio De André

Se dite De André, dite "Bocca di Rosa" e dite "Via del Campo", storie delle “cortigiane” più famose d’Italia. Fabrizio non ha ritegno a svelarci che quella “graziosa, occhi grandi color di foglia”, quella “bambina con le labbra color rugiada”, altri non è che un travestito. Non solo doppio genere, ma anche doppia identità. A volte Fabrizio lo identifica in Giuseppe in arte Josephine, altre volte in Morena al secolo Mario. È probabile che siano valide entrambe le versioni, Giuseppe o Mario, mete di pellegrinaggi notturni dello stesso artista e dei suoi amici. «Mi era apparso come una bellissima ragazza bionda ma solo al dunque scoprii che era un uomo e che non era andato a Casablanca». A quel punto De André non si ritrae scandalizzato o schifato ma resta avvinto dal fascino di Josephine e di Morena che “esercitano” nei bassifondi di Genova e che diventano una sorta di appuntamento fisso per lui e anche per gli amici nottambuli.

Lo scenario è proprio quello angusto di Via del Campo, zona Porto Antico, covo ideale dei personaggi più miseri e quindi più lucenti del paradiso di De André, così simile a quello di Villon prima, di Brassens poi. Un paradiso, al primo piano, immondo e fiorito: “Ama e ridi se amor risponde / piangi forte se non ti sente / dai diamanti non nasce niente / dal letame nascono i fior”.

Sulla famosa etichetta viola Bluebell, De André appare come unico autore con la specifica: “Da una musica del XVI secolo tratta da una ricerca di Dario Fo”. È uno scherzo: Jannacci due anni prima ha inciso "La mia morosa la va alla fonte" con la stessa melodia di "Via del campo" e finge di essersi ispirato a una ballata medievale scoperta insieme a Fo, in verità è stato lui stesso a comporla ma Fabrizio ci casca. Nel 1970 esce la seconda versione del 45 giri, questa volta per Produttori Associati: sull’etichetta resta solo il nome di De André, la “musica medievale” non c’è più e nemmeno il vero autore. Chi la fa l’aspetti.

Jannacci non pretende citazione né diritti d’autore, anzi ci ride sopra, da gran signore e da immenso autore, che nei primi tre album (dal 1964 al 1968) concentra alcune delle canzoni più memorabili della storia italiana, convincendo artisti come Dario Fo, Franco Fortini, Giorgio Strehler e Fiorenzo Carpi a sconfinare dai propri sentieri per una nobile escursione nella musica leggera. Le canta in milanese, quando il dialetto non è stato ancora sdoganato: ci penserà il suo grande estimatore De André, molti anni dopo, a rendere universale un idioma che non sia l’italiano, con irresistibili ballate in sardo e soprattutto con il capolavoro in ligure antico CREÛZA DE MÄ.

Questo testo è tratto da "Tutto De André" di Federico Pistone (Arcana). (C) 2021 Lit edizioni S.a.s. per gentile concessione.

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