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Strokes, i vent’anni di 'Is This It'

L’esordio della band di Julian Casablancas riesce ancora a sorprendere
Strokes, i vent’anni di 'Is This It'

Sembra strano scriverlo, ma “Is This It” compie vent’anni. Se stentiamo a credere che siano trascorse due decadi dal debutto degli Strokes, è perché il disco suonava già come un classico senza tempo alla sua uscita. E mentre i fan della prima ora iniziano a mostrare gli ineluttabili segni del passare del tempo, “Is This It” è destinato a non invecchiare mai.

Julian Casablancas e soci arrivarono sulle scene quando il rock rischiava di trasformarsi definitivamente in un fatto del passato. Anche se a partire dal 1994 il fenomeno Oasis aveva riportato la musica alternativa in classifica nel Regno Unito, la band dei fratelli Gallagher - decisamente troppo British per il pubblico statunitense - non aveva raggiunto lo stesso successo oltreoceano. Dalla metà degli anni Novanta, le airwaves americane furono dominate da boyband e popstar con hit vicine al formato dei jingle pubblicitari. L’ultimo evento degno di essere ricordato nel rock risaliva ancora all’uscita di “Nevermind” dei Nirvana. Era il 1991.

Quando, dieci anni dopo, iniziò a circolare l’EP degli Strokes “The Modern Age” - con la title track che annunciava il ritorno di una musica incentrata sulle chitarre - ai cinque fu attribuito lo scomodo titolo di salvatori del rock.

Gli Strokes si erano formati a New York nel 1997; a far parte della band originaria c’erano il batterista Fabrizio Moretti, Julian Casablancas alla voce, e il chitarrista Nick Valensi; poco dopo, si aggiunsero Nikolai Fraiture al basso e Albert Hammond Jr. alla chitarra ritmica e solista. In soli due anni, dedizione ed entusiasmo portarono gli Strokes a suonare nei più noti rock club newyorkesi, tra cui il Mercury Lounge. Il contratto discografico seguì quasi immediatamente; il gruppo fu scritturato dalla RCA per la distribuzione internazionale e da Rough Trade Records per il Regno Unito. “Is This It” uscì negli Stati Uniti nell’ottobre del 2001, in ritardo rispetto agli altri paesi a causa del terribile attentato dell’11 settembre, che spinse la RCA a sostituire “New York City Cops”, giudicata irrispettosa verso le forze dell’ordine della città, con “When It Started”. La versione americana del disco presentava anche un’immagine di copertina diversa rispetto all’edizione europea, che aveva come cover la foto d’ispirazione wharoliana scattata da Colin Lane.

A conquistare sia pubblico che critica, fu la semplicità con cui erano costruite le canzoni di “Is This It”: la schiettezza dei singoli “Hard to Explain” e “Someday” fu accolta come il ritorno di un rock che andava dritto al punto, evitando pretenziosità. In “New York City Cops”, con quel suo riff riconoscibile tra migliaia e un ritornello che sembrava nato per essere cantato all’unisono nei concerti, gli Strokes dimostravano di essersi confrontati con il passato - riconoscendo l’influenza di Velvet Underground, Stooges e Television - non diventandone copia, ma reinterpretando certe sonorità attraverso il proprio linguaggio. La formula degli undici brani, dalla title track in apertura alla conclusione con “Take It or Leave It”, è sempre la stessa: batteria incalzante, chitarra ritmica e basso che procedono con andatura precisa, e occasionali assoli della chitarra solista. Eppure, la voce di Casablancas e il suono deciso degli altri quattro, producono un fascino al quale anche i più scettici finiscono per soccombere. E l’universalità dei temi cantati da Julian, con quel suo timbro da crooner controcorrente, contribuì a fare di queste canzoni gli inni di una generazione. Perché diciamolo, gli Strokes sono stati i Rolling Stones di chi oggi ha superato i trent’anni: nel 2001 “Last Nite” fu la nostra “Satisfaction”.

“Is This It” divenne così la colonna sonora di un inizio millennio avvolto nelle incertezze, offrendo agli ascoltatori un’occasione per evadere da una realtà davvero difficile. Il debutto degli Strokes riportò un po’di leggerezza in un quotidiano segnato dai drammatici eventi dell’11 settembre: questo disco, che si lasciava ascoltare senza troppe pretese, riusciva, nei suoi quasi 37 minuti di durata, a cancellare l’incancellabile.

“Scenario nuovo, rumori nuovi” scrive Patti Smith in “Just Kids” citando Rimbaud: è quanto crearono gli Strokes, autori di una rinascita musicale che si riverberò in tutto il mondo. Se sulla scena newyorkese, Yeah Yeah Yeahs, Interpol e Vampire Weekend pubblicarono i loro album d’esordio sulla scia del successo di “Is This It”, nel vecchio continente arrivarono in risposta, Libertines, Arctic Monkeys, e Franz Ferdinand, tutti indebitati con il gruppo guidato da Casablancas. Gli anni successivi all’uscita di “Is This It” videro una vera proliferazione di band; tra il 2001 e il 2005 debuttarono The National, Arcade Fire, Kings of Leon e The Killers, solo per ricordare i più conosciuti. Una citazione a parte la meritano i White Stripes: attivi dalla fine degli anni Novanta, e contemporanei degli Strokes, nel 2003 raggiunsero il successo mondiale con l’album “Elephant” e soprattutto con il singolo “Seven Nation Army”. La band formata dai soli Jack e Meg White si è sciolta nel 2011.

C’è chi si aspettava che anche gli Strokes avrebbero imitato i White Stripes, congedandosi dalle scene come band per dedicarsi a progetti paralleli. E invece, nonostante tutto, gli Strokes resistono: oggi, hanno all’attivo sei album. Ma pur avendo realizzato delle buone prove discografiche, i cinque non sono mai riusciti a ripetere lo scintillante risultato dell’esordio. A partire da “First Impressions of Earth” fino al recente “The New Abnormal”, il gruppo ha sempre tentato di reinventare un suono che in realtà non necessitava aggiornamenti. Il rock degli Strokes ci piaceva così com’era in “Is This It”: fresco, puro e assolutamente indimenticabile.

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