Il cantautore si racconta in occasione della partenza di "Off the record", la residency al Teatro Garbatella di Roma: lo abbiamo incontrato.
Francesco De Gregori ha appena finito di salutare gli amici e i parenti che ha invitato alle prove generali dello spettacolo, firmato alcuni autografi e posato per qualche selfie. "Ora devo farmi interrogare", dice, sorridendo, prima di raggiungere i giornalisti che lo stanno aspettando già da un po' seduti tra le prime file della piccola sala, ormai vuota, per parlare dei venti concerti che da oggi (e fino al 27 marzo) lo vedranno esibirsi nel piccolo teatro romano di fronte ad un pubblico di appena 230 spettatori a sera. Il Principe si accende una sigaretta, si appoggia a bordo del palco e si prepara a rispondere alle domande: "Non mi parlate di politica, di Sanremo e di me", avverte. Ma sa bene che la sua richiesta verrà rispettata solo in parte.
D'altronde è stato lui stesso a stuzzicare la curiosità, durante le prove del concerto. In "Via della povertà", la sua versione in italiano di "Desolation row" di Bob Dylan, le "cartoline dell'impiccagione" sono diventate "cartoline del Ku Kux Klan". E sulle "cinque stelle" di "Generale" gli è scappata una mezza risata: "Non c'è niente da dire. Poi io non parlo. Che c'è da dire? Lo capite da soli". Sono piccoli dettagli che non passano inosservati. Come la scelta di aprire il concerto con "Viva l'Italia" e "Ma che razza de città" di Gianni Nebbiosi (un ritratto impietoso di Roma, scritto all'inizio degli anni '70 ma di un'attualità disarmante): "Non è casuale. Se faccio una scaletta che comincia così un motivo ci sarà", risponde secco. Niente da fare. Preferisce parlare del fondale che l'artista campano Paolo Bini ha realizzato appositamente per questa residency di venti date e che - insieme a un registratore a bobine Revox posizionato alle spalle dei musicisti - rappresenta di fatto l'unico elemento scenografico sul palco: "È sintomo di modernità che un artista come lui abbia accettato di lavorare con un cantautore. Le arti si devono incontrare", commenta De Gregori, che recentemente ha collaborato anche con Mimmo Paladino per il vinile di "Anema e core", "è un fondale luminoso, illumina un concerto che ha dei momenti di gravità. Nel senso che non parliamo sempre di noccioline. Mi sembra sia giusto che la canzone non si occupi sempre di noccioline".
Sono canzoni scomode. Se fossi andato a Sanremo con queste canzoni sicuramente non solo non sarei arrivato primo, ma sarei stato ansioso di un giudizio che non le avrebbe premiate.
Per rendere meglio l'idea, a un certo punto De Gregori si fa portare un grosso tabellone con su scritti tutti i titoli dei brani che ha provato. Quello che colpisce è la grande quantità di canzoni mai eseguite dal vivo o eseguite solo raramente: "Festival", "I matti", "Quattro cani", "Pablo", "Stelutis Alpinis", "Baci da Pompei", "Showtime", "Cardiologia". Alle prove fa ascoltare - tra le altre - "San Lorenzo" (è l'ultima traccia di "Titanic", 1982, lo stesso album di "Caterina" e "La leva calcistica della classe '68") e "A Pa'" (dedicata a Pier Paolo Pasolini, pescata da "Scacchi e tarocchi" del 1985): "Sono canzoni scomode. Se fossi andato a Sanremo con queste canzoni sicuramente non solo non sarei arrivato primo, ma sarei stato ansioso di un giudizio che non le avrebbe premiate. C'è un pubblico che le ama, che le vuole ascoltare anche se le radio non le passano, che non vuole solo noccioline. E il teatro mi sembrava il posto giusto per riproporle", spiega lui. Che poi, sollecitato sul tema delle radio, viene invitato a dire la sua sulla proposta di legge relativa alle quote minime di musica italiana da imporre alle emittenti radiofoniche: "Mi sembra una stronzata. Non so che artista sarei oggi se da ragazzo non avessi ascoltato tutte le canzoni straniere che passavano in radio. Sarei favorevole soltanto al fatto che un terzo della programmazione venisse riservato alle mie, canzoni (ride)".
I dischi non hanno futuro, oggi come oggi. Le case discografiche sembrano più interessate alle raccolte che ai dischi di inediti. Oggi se avessi dieci brani nuovi probabilmente non farei un album ma li presenterei direttamente live.
Per buona parte delle prove le bobine del registratore in fondo al palco girano, ma De Gregori promette che da questa residency non verrà tratto alcun disco dal vivo: "Non registro niente. Anzi, ogni sera inviterò il pubblico a non riprendere il concerto con i cellulari. Come la frase sulla lapide di Keats: 'Qui giace uno il cui nome fu scritto sull'acqua'. Ecco, questi concerti sono scritti sull'acqua". Se i concerti al Teatro Garbatella resteranno scritti sull'acqua, potrebbe invece non limitarsi solamente ai palchi l'altra impresa live di De Gregori, la tournée che la prossima estate lo vedrà esibirsi all'aperto accompagnato dagli GnuQuartet e da un'orchestra, insieme alla quale riproporrà i suoi più grandi successi: "Se sarò soddisfatto del risultato finale, mi piacerebbe entrare in studio e registrare il concerto in presa diretta con l'orchestra. Ma per ora è solo un'idea, una suggestione", anticipa, confermando poi di essere in contatto con un impresario cinese che vorrebbe coinvolgerlo in un progetto a Pechino.
di Mattia Marzi