Due anni dopo l'album d'esordio "Badlands", reduce da alcuni successi (il duetto con i Chainsmokers in "Closer", ad esempio, 6 milioni di copie vendute in tutto il mondo), la voce di "New Americana" torna con un nuovo disco. Il secondo album di Halsey si intitola "Hopeless fountain kingdom" ed è un concept che l'ha vista rivisitare in chiave moderna la storia di "Romeo e Giulietta" raccontata da Shakespeare. Ma funziona? Ecco la nostra recensione:
Halsey, qui, esce dalle sue "badlands", le terre cattive in cui si aggirava solitaria e desolata fino a un anno e mezzo fa, e sperimenta cose nuove. Non sempre i risultati convincono: in "Don't play" sembra scimmiottare la Rihanna più coatta (quella di "Anti", per intenderci), in "Walls could talk" ricorda la Britney Spears degli esordi. Ed è un peccato, perché con quella voce e con quella personalità un po' punk e ribelle Halsey può ambire a qualcosa di più che all'imitazione della Rihanna di "Work": per contro, la traccia migliore del disco è "Sorry", una ballad tutta piano e voce in cui, rinunciando a beat, drum machine e bassi urban, la voce di Halsey fa scendere una lacrimuccia - è prodotta da Kurstin, l'uomo dietro ai pezzoni di Adele.