Sul "Corriere della Sera", un articolo intitolato "Il popolo di Internet si ribella al caro-dischi". Mario Luzzatto Fegiz, evidentemente sensibilizzato dai messaggi di posta elettronica, pubblica una serie di sfoghi e avvia un dibattito con artisti e discografici sui prezzi esorbitanti della musica. «Il fenomeno della pirateria in Italia copre circa un quinto del mercato e nel '96 il giro d'affari stimato era di 180 miliardi di lire. Lo scorso anno la Finanza ha sequestrato 400 mila cd e 800 mila cassette contraffatte. "I dischi sono cari - ammette Piero Pelù dei Litfiba -. Ma le nuove tecnologie prima o poi ricadranno sul mercato e i prezzi scenderanno". E il suo compagno Ghigo Renzulli aggiunge: "Molti ragazzi preferiscono spendere 35 mila lire per due bevute in discoceca che per un cd". Biagio Antonacci fa pagare solo 20 mila lire per i suoi concerti nei Palasport, e la risposta del pubblico è clamorosa. Non si può fare lo stesso con i dischi? "L'artista - spiega Antonacci - ha pieno potere sui suoi spettacoli e rischia in proprio. Il master del cd invece è proprietà di un'azienda che ha una sua logica d'impresa". Interviene Fabio Concato: «Mi sembra il gatto che si morde la coda. Per poter abbassare i prezzi bisogna vendere più dischi ma con questi prezzi i volumi non crescono". Spiega Gianna Nannini: "Bisognerebbe puntare di nuovo sul singolo: molti album hanno solo una canzone valida".
"Il costo industriale ha una incidenza relativa sul disco - spiega Roberto Magrini, vicepresidente della Fimi (Federazione industrie musicali italiane) e amministratore delegato di RTI Music -. Il vero costo è la ricerca e la produzione degli artisti. Quanto ad abbassare i prezzi noi di RTI ci abbiamo provato con alcuni artisti. I dischi di successo non hanno venduto più copie di quante ne avremmo piazzate a prezzo pieno. Per quelli meno interessanti la vendita è stata scarsa nonostante il prezzo basso". Il dibattito in rete prosegue e interviene anche Enzo Mazza, presidente di Fpm e direttore Fimi: "Collegare prezzo del cd e pirateria - scrive - crea una falsa prospettiva. Solo pochi di noi utilizzerebbero un telefonino clonato per risparmiare, ma le stesse persone non si fanno scrupolo di acquistare un cd falso". E aggiunge: "Non si deve dimenticare che moltissimi dischi sono solo dei tentativi che non porteranno mai profitti". Sulla differenza di prezzo con gli Usa Mazza spiega che tutto dipende da: tasse sul commercio, Iva, costi di distribuzione e diritti d'autore più elevati; marketing e promozione che devono tenere conto di 18 mercati con oltre 12 lingue. Una alternativa più economica ai negozi è data dai punti vendita telematici. Per esempio www.cdflash.com nato un anno fa pratica prezzi medi inferiori al 30% rispetto ai negozi tradizionali».
"Il costo industriale ha una incidenza relativa sul disco - spiega Roberto Magrini, vicepresidente della Fimi (Federazione industrie musicali italiane) e amministratore delegato di RTI Music -. Il vero costo è la ricerca e la produzione degli artisti. Quanto ad abbassare i prezzi noi di RTI ci abbiamo provato con alcuni artisti. I dischi di successo non hanno venduto più copie di quante ne avremmo piazzate a prezzo pieno. Per quelli meno interessanti la vendita è stata scarsa nonostante il prezzo basso". Il dibattito in rete prosegue e interviene anche Enzo Mazza, presidente di Fpm e direttore Fimi: "Collegare prezzo del cd e pirateria - scrive - crea una falsa prospettiva. Solo pochi di noi utilizzerebbero un telefonino clonato per risparmiare, ma le stesse persone non si fanno scrupolo di acquistare un cd falso". E aggiunge: "Non si deve dimenticare che moltissimi dischi sono solo dei tentativi che non porteranno mai profitti". Sulla differenza di prezzo con gli Usa Mazza spiega che tutto dipende da: tasse sul commercio, Iva, costi di distribuzione e diritti d'autore più elevati; marketing e promozione che devono tenere conto di 18 mercati con oltre 12 lingue. Una alternativa più economica ai negozi è data dai punti vendita telematici. Per esempio www.cdflash.com nato un anno fa pratica prezzi medi inferiori al 30% rispetto ai negozi tradizionali».
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