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Ex busker, ex fattore, neo-hippie e despota democratico: ecco Damien Rice

Ex busker, ex fattore, neo-hippie e despota democratico: ecco Damien Rice
Tutti inneggiano a “O”, il suo album che in Irlanda è uscito ormai da due anni. Tutti ne parlano come del nuovo Nick Drake, o come se fosse il fratellino di Jeff Buckley. Tutti ne lodano l'intensità delle performance dal vivo. Insomma: per Damien Rice, dublinese, è arrivato il momento della consacrazione internazionale. L'unico che sembra non farci caso è proprio lui. “Tutte stronzate. I premi servono ad alimentare il divismo e l'industria, ma a me non interessano. Che senso ha mettere un musicista in competizione con un altro? I complimenti? Fanno più male che bene, e io ho già dato. Quando ero più giovane e suonavo in una band, i Juniper, il manager e i discografici continuavano a dirci che eravamo i nuovi U2. Per un po' ci ho creduto, salivo sul palco ed ero tanto preso dall'idea che non mi ricordavo neanche più cosa ci stavo a fare lì sopra. Per fortuna oggi suono con gente che, quando è il caso, mi riporta con i piedi per terra ricordandomi che sono un 'fucking bloke', uno come gli altri”.

Non crede nel successo pilotato e mediatico Damien (che aborre anche la promozione: qui a Milano ha fatto un'eccezione), ma neppure nei colpi di fortuna: “Parlare di fortuna è un modo per autocommiserarsi quando non ce la fai. I miei vecchi amici di Dublino me lo dicono, che sono stato fortunato. Ma quando io me ne stavo a casa a registrare i pezzi loro restavano al pub ad ubriacarsi…”. Basta un'imbeccata, e Rice si scioglie in un inarrestabile flusso di coscienza joyciano. “Il peggior errore che ho fatto in passato”, riflette, “è stato di forzarmi a fare cose in cui non credevo: col risultato che l'ispirazione andava a farsi benedire, le canzoni non arrivavano più e io diventavo sempre più infelice. Per dare il meglio, non devo pensare al pubblico. Devo fregarmene di quello che gli altri si aspettano da me. Se uno va a vedere Leonard Cohen non è per farsi intrattenere, ma perché sa di trovarsi davanti un artista sincero che ti dà quello che si sente in quel momento. E magari in quel momento, quella sera, sente di darti solo qualcosa di triste e sgradevole. Io faccio lo stesso, per questo non preparo mai una scaletta prima di suonare. Se si fanno le cose con sincerità e si resta fedeli a se stessi, prima o poi le cose succedono. Avete presente le mucche al pascolo? Cercate di corrergli incontro o di toccarle, e vi sfuggiranno. Se vi rilassate e vi sdraiate sul prato, saranno loro a venirvi vicino. Coi discografici è lo stesso”. Una filosofia d'altri tempi, quasi….“Ebbene sì, sono un hippie”, spiega Rice, che in passato ha fatto il musicista di strada e ha lavorato per qualche mese in una fattoria di Pontassieve (“Un periodo monacale e di isolamento, non avevo radio e televisione né telefono”). “Fare il busker è stata una necessità, ma mi ha insegnato molto. Quando suoni per strada nessuno ti ascolta né si aspetta niente da te. E' il modo migliore per sorprendere la gente. E' dall'indifferenza che nascono le cose migliori”.

La stessa indifferenza, Rice sembra riservarla alla sua carriera (ha materiale per due nuovi dischi già pronti, ma non ha idea di quando usciranno). “Ho chiesto alla casa discografica di non stampare in copertina tutte quelle minacce a chi pirata i dischi. La gente non ha bisogno che qualcuno gli dica quel che deve fare. Io ho sempre copiato i dischi degli altri, perché dovrei aspettarmi che con me non facciano lo stesso?”. E anche ai paragoni nobili che la sua musica sta suscitando: “Nick Drake non l'avevo mai ascoltato fino ad otto mesi fa. E Jeff Buckley l'ho sentito due volte si e no. Chi mi piace? Prince. 'Purple rain' e un capolavoro, e l'assolo di chitarra di 'Kiss' è geniale nella sua semplicità. E Cohen: cosa darei per scrivere pezzi come 'Hallelujah' e 'The famous blue raincoat', così onesti e disarmanti”.
Lui, intanto, segue con ostinazione una sua “visione”: “Per questo oggi mi propongo come solista. Chiamatemi fascista, o despota: ma non mi va di discutere delle opinioni degli altri, è troppo facile avere delle opinioni. Quando però qualcuno sostiene un'idea con passione e quell'idea mi convince, sono ben felice di accettarla e di portarla avanti. Per questo dò molto spazio ai componenti della mia band: ho realizzato il mio sogno, che è quello di godere di libertà assoluta ma allo stesso tempo di condividere tutto il possibile con gli altri. Sono un essere umano, e gli altri esseri umani mi attraggono. Lisa, la cantante, e Tomo, il batterista, li ho presi subito senza sapere neanche se sapevano suonare. E' che mi sono piaciuti subito, così a prima vista”.

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