È morto ieri, 26 settembre, all’ètà di 63 anni il chitarrista, autore e cantante Baden Powell. A fine agosto era stato ricoverato in un ospedale di Rio de Janeiro (vedi news) per una grave forma di polmonite complicata da un’infezione ai reni (setticemia). Il suo corpo debilitato dal diabete e da una vita trascurata e segnata dalla dipendenza dall’alcol non ha retto alla malattia. Se ne va così una vera leggenda della musica, padre della bossanova assieme a Antonio Carlos Jobim, Vinicius De Moraes e Joao Gilberto.
Powell iniziò a fare musica nel 1945, anno in cui prese per la prima volta in mano una chitarra. Da quel momento non si separò più dal prezioso strumento musicale. Nel ’56 ebbe il suo primo successo da compositore con “Samba triste” e nel ’62 incontrò De Moraes, col quale da subito seppe costruire una profonda amicizia, sfociata in quella che venne definita afro-samba, ancora oggi viva nei brani più belli e famosi dell’artista brasiliano: “Samba em prelùdio”, “O astronauta”, “Consolaçao”. “Con Vinicius parlavamo di tutto -disse una volta Powell-. Il fatto è che non conoscevamo le stesse cose, non avevamo la stessa educazione. A Rio lui abitava a sud, nella parte chic, e io stavo ai piedi delle favelas... Ci dicevamo davvero tutto. E con tutto questo, ingurgitavamo whisky, whisky e tanta musica”.
Poi vennero gli anni ’70 e la fuga dalla dittatura: prima in Germania, poi in Francia. Solo negli anni Novanta tornò nella sua grande patria. La sua ultima apparizione in Italia risale al 1997. Negli ultimi anni della sua vita si era avvicinata alla dottrina evangelica che lo cambiò molto: perse il vizio dell’alcol, mutò il suo modo di vedere la vita, rinnegò le parole nate dal sincretismo afro-brasiliano che lo avevano caratterizzato per anni.
Di lui tanto è stato detto e scritto. Le parole più significative sono venute dalle persone che gli hanno lavorato fianco a fianco. Ruy Castro una volta scrisse “Quando suonava era come se cercasse sempre una nota perduta nel suo petto”. Già, quel grande cuore che ha sempre lottato contro una vita dissoluta, che per amore della musica lo ha indirizzato verso una notorietà che è sempre stata soltanto una minima parte del grande tributo che la musica dovrà rendergli per tutto quel che ha dato e fatto.
(Fonti: “La Repubblica”, “Corriere della Sera”, “Il Giorno”, “Il Messaggero”)
Powell iniziò a fare musica nel 1945, anno in cui prese per la prima volta in mano una chitarra. Da quel momento non si separò più dal prezioso strumento musicale. Nel ’56 ebbe il suo primo successo da compositore con “Samba triste” e nel ’62 incontrò De Moraes, col quale da subito seppe costruire una profonda amicizia, sfociata in quella che venne definita afro-samba, ancora oggi viva nei brani più belli e famosi dell’artista brasiliano: “Samba em prelùdio”, “O astronauta”, “Consolaçao”. “Con Vinicius parlavamo di tutto -disse una volta Powell-. Il fatto è che non conoscevamo le stesse cose, non avevamo la stessa educazione. A Rio lui abitava a sud, nella parte chic, e io stavo ai piedi delle favelas... Ci dicevamo davvero tutto. E con tutto questo, ingurgitavamo whisky, whisky e tanta musica”.
Poi vennero gli anni ’70 e la fuga dalla dittatura: prima in Germania, poi in Francia. Solo negli anni Novanta tornò nella sua grande patria. La sua ultima apparizione in Italia risale al 1997. Negli ultimi anni della sua vita si era avvicinata alla dottrina evangelica che lo cambiò molto: perse il vizio dell’alcol, mutò il suo modo di vedere la vita, rinnegò le parole nate dal sincretismo afro-brasiliano che lo avevano caratterizzato per anni.
Di lui tanto è stato detto e scritto. Le parole più significative sono venute dalle persone che gli hanno lavorato fianco a fianco. Ruy Castro una volta scrisse “Quando suonava era come se cercasse sempre una nota perduta nel suo petto”. Già, quel grande cuore che ha sempre lottato contro una vita dissoluta, che per amore della musica lo ha indirizzato verso una notorietà che è sempre stata soltanto una minima parte del grande tributo che la musica dovrà rendergli per tutto quel che ha dato e fatto.
(Fonti: “La Repubblica”, “Corriere della Sera”, “Il Giorno”, “Il Messaggero”)
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