La telecaster leopardata di Prince: la recensione dell'ultimo concerto a Milano, nel 2010

La prima sorpresa è all’entrata del Forum: alle 9 la platea è mezza vuota. Prince non viene in Italia da 8 anni ed era lecito aspettarsi un po’ di gente in più. Tempo che il concerto inizi, e la platea un po’ si riempie, ma rimangono larghi spazi vuoti: 8000 persone circa, diranno gli organizzatori.
Non sarà l’unica stranezza: alle 9 e mezza passate la band sale sul palco alla spicciolata e inizia a suonare, a luci accese. Poi arriva lui: di nero vestito, con una mantella e occhiali a specchio. Entra con la chitarra sul brano strumentale che la band ha attacato, a cui segue un medley di classici (Sly & The Family Stone, Jackson 5). Sempre a luci accese. Sarà di cattivo umore, penso, memore di quel concerto di Dylan di qualche anno fa: innervosito da una sigaretta lanciata sul palco, tenne le luci puntate sul pubblico per tutta la serata, per dispetto.
Invece, è semplicemente un modo diverso per iniziare la serata, per scardinare la struttura tradizionale del concerto. Per dire, a Nizza qualche mese fa, aveva aperto di botto con la canzone più famosa, “Purple rain”.
Dopo i primi due brani, si spengono le luci, e la festa comincia. Manca vistosamente Sheila E., annunciata alla vigilia e mai arrivata in Italia. Ma la band gira a mille, con un suono potente, pieno. E funk, tanto funk. Prince infila subito un paio di classiconi per scaldare la platea, tra cui “1999”. Seguita da un’altra strepitosa versione di “Little red corvette”, in cui Prince fa quello che gli riesce meglio, il dio della chitarra, con assoli scenografici e intensi, che ripeterà più tardi anche in una versione chilometrica ed emozionante di “Purple rain”.
La differenza tra lui e Springsteen, mi viene in mente è tutta lì, in quella chitarra: quella del boss è una Telecaster vintage, quella di Prince è leopardata. Più tardi la getterà al pubblico, in un gesto tanto teatrale quanto un assolo.
In mezzo c’è tanta roba, anche un po’ sfrangiata e priva di forma: Prince concede spesso troppo spazio alle coriste, per esempio. O certe canzoni le acenna soltanto, come nel medley centrale: “Raspberry beret” è poco più che un riff di chitarra, con la prima strofa che viene fatta cantare al pubblico. Poi si passa subito ad altro, in un flusso quasi ininterrotto di musica, spezzato solo dalle lunghe pause tra i bis.
Alla fine della serata, decide di non rispettare la scaletta, di fare un po’ come gli pare. Così dopo una “A love bizarre”, forse eseguita per compensare l’assenza di Sheila E., se ne va e si accendono le luci. Il pubblico inizia ad uscire dal Forum. Dopo un quarto d’ora, Prince decide di continuare a stupire, torna sul palco e suona altre canzoni, di nuovo a luci accese mentre la gente sta tornando dentro. Genio e sregolatezza, si potrebbe dire, se non fosse uno stereotipo trito e ritrito.
Volessi fare il pignolo, dovrei dire che è stato un concerto meno intenso e più freddo di quello che ho visto qualche mese fa a Nizza, con una scaletta meno compatta e con diversi momenti di stanca. Ma sarei ingeneroso, perché è stata una serata da ricordare: Prince è di un altro pianeta. Speriamo che non passino altri 8 anni prima di rivederlo in Italia.
(Gianni Sibilla - originariamente pubblicato il 4 novembre 2010)