Secondo appuntamento con il fastidioso (per chi sta qui in sala stampa a lavorare) "question time", che condotto quest'anno da Maurizio Costanzo ci costringe a interrompere le nostre abituali attività, a rimandare il modesto spuntino dell'ora di pranzo e a prestarci, gratuitamente, come figuranti televisivi.
Ieri Costanzo non ha raccolto domande dai giornalisti, ma ne ha rivolte a loro - e loro si sono lasciati amabilmente interrogare. Oggi alcune domande arrivano, ma le risposte sono evasive. Del resto, bisogna pensare che nessuno dei signori al tavolo vuole prendersi la responsabilità di dire davvero quello che pensa (né Mauro Mazza, direttore di RAI Uno, né Gianmarco Mazzi, direttore artistico di questa edizione del Festival, né Antonio Azzalini, capostruttura RAI deputato alla trasmissione). L'unica signora al tavolo, invece (Antonella Clerici) pare disposta a rispondere con sincerità.
Costanzo, con grande mestiere, cerca di portare la conversazione fuori dalle secche delle questioni tecniche, che al pubblico di RAI Uno interessano pochissimo. Ma la trasmissione prende la piega di un dibattito, di un talk show (come, del resto, è nelle corde di Costanzo, e come, del resto, è enunciato dal titolo di quest'anno: appunto, "Sanremo? Parliamone").
Ancora Costanzo cerca di mettere a confronto due giornalisti che hanno dato pareri divergenti su una canzone, consapevole che questo è ciò che può piacere ai telespettatori, ma trova poca sponda: in altre parole, non riesce a far litigare i due. Riesce invece, e facilmente, a spingere i giornalisti alla sbavante apologia di certi artisti e dei loro discografici - si sa, del resto, che la categoria è incline al lecchinaggio.
Imbarazza, fra l'altro, vedere certi occupanti della sala stampa spostarsi sulle loro sedie a rotelle per cercare di guadagnarsi un'inquadratura "di sfondo": poi dicono di Gabriele Paolini...
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