
A Marcoré basta fare il nome, prima dell'interruzione per la pubblicità, perché dalla piazza si levi un boato: Caparezza si presenta sul palco, in tenuta da avvolto in una tonaca nera dal vago sapore massonico, e aggredisce la platea con "Non siete Stato voi". La platea mostra entusiamo, e il rapper pugliese - al quale va riconosciuto il merito di saper sdrammatizare, nonostante la solennità dell'evento - erige alle sue spalle un muro di suono che l'Orchestra non manca di fornirgli, chiamando anche sul palco Tony Hadley per la sua nuova "Goodbye malinconia": i synth la fanno da padroni, finché sul palco non appare Alboroise, connazionale esportato in Giamaica (del resto non si stava cantando di fuga di cervelli?) ed esponente di spicco del reggae tricolore, per "Legalize the premier". "Bisogna fare un restyling all'inno nazionale", scherza lui, dando il via libera alle chitarre in levare. Marcoré torna a vestire i panni dello showman, impersonando uno dei suoi pezzi forti, Alberto Angela, per un veloce excursus comico sull'apertura di "La fine di Gaia". La band sta al gioco, si traveste da improbabile tribù indigena prima di chiudere il set (di colpo, a detta di Marcoré per un disguido tecnico dovuto ad uno stacco pubblicitario). In attesa della coppia d'oro Dalla - De Gregori, il pubblico lo reclama a gran voce ("Caparezza uno di noi"), fino a riportarlo sul palco per un saluto finale.