 Una cosa è certa: come lui non c’è nessuno. Critiche o polemiche a parte sulla sua ultima produzione, peraltro molto fortunata dal punto di vista commerciale, quando si parla con Pino Daniele non ci si può non ricordare dell’enorme importanza che questo artista riveste ormai da trent’anni sulla scena musicale italiana. Alle spalle una ventina di album – quasi tutti importantissimi – fondamentali per capire l’evoluzione della canzone d’autore e la sua contaminazione con gli elementi più disparati, dal blues al rock, dalla fusion al folk e alla world music. Di fronte un nuovo contratto discografico e la voglia di ripartire per nuove mete, prima di tutte quella del mercato estero, che Pino affronterà con il suo prossimo tour…
    Una cosa è certa: come lui non c’è nessuno. Critiche o polemiche a parte sulla sua ultima produzione, peraltro molto fortunata dal punto di vista commerciale, quando si parla con Pino Daniele non ci si può non ricordare dell’enorme importanza che questo artista riveste ormai da trent’anni sulla scena musicale italiana. Alle spalle una ventina di album – quasi tutti importantissimi – fondamentali per capire l’evoluzione della canzone d’autore e la sua contaminazione con gli elementi più disparati, dal blues al rock, dalla fusion al folk e alla world music. Di fronte un nuovo contratto discografico e la voglia di ripartire per nuove mete, prima di tutte quella del mercato estero, che Pino affronterà con il suo prossimo tour…Partiamo dal Monza Rock Festival e dal fatto che, notoriamente, a te i festival non piacciono…
E’ vero. Non amo i festival perché c’è questa rotazione veloce sul palco che spesso danneggia la qualità, sembra quasi che butti gli strumenti sul palco, attacchi le spine e suoni. E’ una cosa che magari andava bene negli anni ’70; però siccome è già tanto difficile trovare delle situazioni in Italia dove si può suonare, non è che mi possa permettere di fare molto lo schizzinoso. Poi, a giudicare dal cast artistico, credo proprio che ci sarà un pubblico abbastanza definito a Monza, per cui probabilmente sarà possibile fare ascoltare la propria musica con tranquillità. Il fatto che ci siano artisti come Aerosmith, Litfiba, Lenny Kravitz mi dà anche delle garanzie tecniche. Sai, normalmente quando penso a un Festival mi viene in mente il Primo Maggio! Lì è impossibile sentire già cosa succede sul palco, figuriamoci in piazza…
Quest’estate farai solo quattro concerti: che situazioni hai privilegiato per le tue esibizioni?
Faccio solo quattro Festival perché c’è un pubblico particolare e perché si può suonare un po’. La tournée vera e propria lo sto preparando per quando avrò anche una situazione estera, quindi partirò per l’Europa e a quel punto l’Italia sarà uno dei vari paesi in cui esibirsi. Oggi purtroppo un artista si deve anche organizzare da questo punto di vista, o almeno un italiano, perché per gli stranieri è diverso: per noi che ci sentiamo un po’ in colpa perché non cantiamo in inglese… è necessario organizzare le cose in modo tale che si possano affrontare altre esigenze promozionali. L’idea dell’Europa mi preme molto, anche grazie a questo nuovo contratto discografico con la BMG: loro credono molto in me e allora io mi sto organizzando per portare un bel concerto in giro per vari paesi…
Ai tempi di “Sciò” noi eravamo orgogliosi di questo Pino Daniele da esportazione, che faceva pienoni in Francia: il feeling con l’estero è sempre rimasto oppure per un periodo sei stato costretto ad accantonarlo?
La mia vecchia casa discografica non ha mai fatto niente per portarmi all’estero. Mi sono sentito sempre come preso in giro, da questo punto di vista. E dire che i contatti con l'estero non mancavano, grazie anche alla mia amicizia con Tommy LiPuma che era il direttore dell’Elektra. E’ anche per lui che io ho firmato con il gruppo Warner; poi però, quando lui è stato mandato via ed è approdato alla GRP, io mi sono ritrovato per sei anni con la Warner e all’estero non sono riuscito a fare niente.
Che poi dal puto di vista commerciale, quello con la Warner per te è stato un periodo più che felice, con dischi come “Un uomo in blues”, “Che Dio ti benedica”, “Non calpestare i fiori nel deserto”…
Eh sì, perché almeno in Italia loro qualche cosa dovevano fare. Io pure ho lavorato molto e ho avuto un periodo molto felice. Adesso mi sembra che la situazione discografica sia molto in crisi, e questa è una cosa che non riguarda solo me, ma è più generale. Adesso veramente i discografici dovranno mettersi a tavolino per decidere come comportarsi nei confronti delle prossime uscite discografiche. Basta pensare che il 70% del mercato discografico non c’è più, si vende un terzo di quello che si vendeva prima. Pensa che molti stranieri vanno in classifica con poche migliaia di copie, e tra il primo e l’ultimo posto in classifica magari c’è una differenza di qualche centinaia di album venduti. Questo significa che l’oggetto cd non ha più un mercato interessante, anche perché costa un sacco di soldi. Uno non può spendere 40mila lire per un cd, a quel punto si compra un paio di scarpe da tennis, una maglia, qualcosa che usa di più. E poi il pubblico è molto distratto; prima quando uno non aveva niente da fare mentre studiava magari metteva la radio, metteva un disco, oggi non c’è più tempo, con il computer ti ascolti la radio, se vuoi vai su internet e ti scarichi un po’ di musica gratis… Fortunatamente c’è ancora gente che ha voglia di ascoltare la musica sul serio.
Ti preoccupa questa fruizione della musica a livello di sottofondo continuo, che però non incentiva all’acquisto?
Quello che mi preoccupa è la diffusione della musica. Molte radio hanno fatto la fine della filodiffusione, perché mettono i pezzi che le case discografiche impongono con il pagamento di soldi. La gente non sa che molti pezzi vengono messi a martellamento perché questa scelta risponde ad un accordo promozionale Molte radio fanno solo questo, per cui sono diventate delle grosse aziende commerciali e fatturano anche di più delle etichette discografiche. Questo è il marketing della musica, ed è qualcosa con cui fare i conti. Negli Stati Uniti hanno inventato già la cosiddetta musica alla spina, per cui tu entri in un negozio e ti costruisci, a pagamento, la tua compilation ideale: questa cosa non fa parte della nostra cultura, o almeno non ancora, però è una prospettiva. Per quanto riguarda l’Italia credo che artisti come me, Lucio Dalla, De Gregori e gli altri di quella generazione, rimangano ancora oggi quelli capaci di vendere delle cifre in qualche modo rilevanti. Se penso a Dalla, penso a un artista che in tutta la sua carriera avrà sbagliato tre o quattro dischi – come del resto è capitato anche a me – e quindi è giusto che il pubblico lo premi seguendo sempre il suo lavoro.
A titolo di curiosità, quali sono i dischi che pensi di aver sbagliato?
Mah, non è un discorso di dischi, forse è un discorso di momenti che si sbagliano. Per esempio io sono uscito nell’85 con un disco intitolato “Bonne Soirée”, che aveva in copertina la kefia dell’OLP, una scelta molto politica che oggi non troverebbe spazio. Eppure era un disco che aveva preceduto dei tempi, tentando una fusione di rock e musica araba a metà degli anni ’80. Io sono stato uno che ha sempre preceduto diverse scoperte musicali, forse solo per istinto e per la voglia di dare qualcosa di più al pubblico. Spesso mi sono trovato anche a dover rispondere alle critiche di chi magari mi scriveva per dirmi che mi preferiva quando cantavo in napoletano, oppure preferiva le mie canzoni di una volta. Ma le canzoni si fanno una volta e poi si va avanti, altrimenti è finita.
In questi giorni sta girando l’Italia Pat Metheny, con cui tu avevi fatto un tour qualche anno fa: perché non è mai uscito un disco in ricordo di quei concerti?
Perché non abbiamo registrato niente. Anche per non sfruttare l’idea, che era talmente bella che ho preferito rimanesse così, nei ricordi di chi c’era.
Qualche tempo fa avevi anche annunciato un disco con un quartetto d’archi…
Quella era una cosa che stavo preparando con il Comune di Napoli e che poi si è fermata per problemi discografici, perché la mia etichetta preferiva che non ci fossero in circolazione due album e ha dato la precedenza a quello per così dire pop. Comunque è un progetto soltanto accantonato, che presto riprenderò in mano.
Questo nuovo contratto discografico ti tranquillizza?
Loro sono molto forti, tutti giovani, con molta voglia di lavorare. Credono molto in me, e visto che non sono più giovanissimo, questa cosa mi dà molta fiducia. Mi piacerebbe tentare nuove cose, con loro.
Come ti trovi ad essere l’artista italiano che riesce meglio a parlare di sentimenti? Oltretutto per un pubblico che va dai tuoi coetanei ai ragazzini di 15 anni…
Non lo so, credo che il segreto sia quello di fare sempre quello che ti viene, affrontando le critiche, i momenti difficili e quelli che ti vorrebbero far fare sempre le stesse cose. Io sono un chitarrista, un musicista, mi piace spaziare, sperimentare, sono uno che ricerca una nuova canzone e sono convinto che sarà così fino all’ultimo giorno in cui suonerò, avrò sempre qualcosa da cercare. Questa è sempre stata la mia grande fortuna, quella di non avere mai paura del futuro e degli eventi. Ho ascoltato tante persone durante la mia carriera, e spesso ho dato a loro la colpa dei miei errori. Invece sono arrivato al punto in cui da diverso tempo mi piace sbagliare da solo: da questo punto di vista sono uno ingestibile, che ha bisogno di un entourage, ma nessuno che gli dice cosa deve fare.
Con il passare del tempo cambia il rapporto con le canzoni – e si ricordano solo le più famose - oppure riesci a ricordare tutto quello che hai scritto?
Assolutamente sì, me le ricordo tutte e ho un rapporto molto personale con tutte loro. Penso che sia normale, sono anche molto geloso di alcune canzoni e consapevole di quali sono quelle più amate dal pubblico. Sono molto lucido, e a volte forse quello è il mio problema…
Ma quando suoni pensi al pubblico che hai di fronte e scegli le canzoni di conseguenza? Oppure se a Monza ti venisse di fare sul palco “Lassa che vene” la faresti senza problemi?
No, io faccio le scalette anche in base a una situazione d’ascolto. Cerco di proporre le cose che mi interessano di più, soprattutto a inizio concerto, quando sono freschi. Poi proseguo con le canzoni che conoscono. Uso un po’ d’esperienza che ho acquistato con gli anni…
Avevi fatto un tour con Jovanotti e Ramazzotti, qualche tempo fa: ci sono nel 1999 altri due artisti con cui rifaresti una cosa del genere?
No, fare un tour tra colleghi è complicato, almeno per quanto mi riguarda. Però se dovessero venire fuori delle nuove collaborazioni, non mi tirerò indietro. Come sempre….
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