Lil' Wayne - REBIRTH - la recensione

Lil’ Wayne, uno tra gli artisti hip hop di maggiore talento e originalità del decennio, torna con il suo primo attesissimo album rock, REBIRTH. Si tratta del settimo capitolo della sua discografia e di un momento di interruzione dalla saga di THA CARTER, giunto al suo terzo episodio ed in attesa del quarto, dato costantemente per imminente.
In REBIRTH, Weezy utilizza molto autotune e si fa costruire un tessuto di riff rock molto mainstream, raramente ‘classici’ e forse troppo in sottofondo per caratterizzare al meglio l’esperimento. Perché è di questo che si tratta, ed il disco rischia di continuare ad avere in “Promo queen”, il singolo che lo ha anticipato di quasi un anno, il suo brano migliore, in compagnia di “Paradice” e di “Drop the world”, che ospita Eminem.
REBIRTH pone Lil’ Wayne nella posizione di dovere cantare più di quanto non debba rappare, e il ritmo del rock forse soffoca le sue rime. E’ coraggioso a spingersi in territori abbastanza inesplorati, ma sembra disorientato e incapace di amalgamare una serie di tentativi la cui qualità impallidisce rispetto al suo smisurato talento. E, probabilmente, due anni di gestazione per un album, per chi di solito partorisce piccoli capolavori nello spazio di un mattino, hanno defocalizzato il progetto.