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“Sinfonie tascabili”: 12 esempi da ascoltare

Selezionati per Rockol da Gabriele Marangoni, autore di "Pocket symphonies"
“Sinfonie tascabili”: 12 esempi da ascoltare

"Pocket symphony" è la definizione coniata da Derek Taylor, ufficio stampa dei Beatles, per "Good vibrations" dei Beach Boys. La felice denominazione serve per intitolare un lavoro che si occupa di individuare e esaminare le numerosissime occasioni in cui la musica classica, con i suoi stilemi e le sue forme espressive, è servita da modello e ispirazione per la musica "non colta".

Il lavoro di Gabriele Marangoni è minuzioso, gli esempi citati numerosissimi (alcuni di essi mi erano del tutto sconosciuti), e questo rende la lettura dei primi quattro capitoli assai istruttiva anche per chi di rock ha buona competenza.

All’autore ho chiesto una selezione di brani rappresentativi del contenuto del suo libro, e qui di seguito li trovate presentati e ascoltabili.

Andrew Lloyd Webber & Tim Rice, “Superstar” (1969)

Quando Andrew Lloyd Webber e Tim Rice pensano al seguito del fortunato “Joseph and the Amazing Technicolor Dreamcoat” fantasticano su una possibile opera ispirata a Mosé. Ma ci sono solo una melodia abbozzata e un testo che recita "Samuel, Samuel, this is the first book of Samuel". Diventerà "Jesus Christ, Jesus Christ, who are you? What have you sacrificed?", il ritornello di uno dei musical più celebrati di tutti i tempi, ideale punto d'incontro tra sacro e profano, tra musica colta e musica di consumo.

 

Leonard Bernstein, “A simple song” (1971)

Leonard Bernstein non hai mai nascosto il suo amore per la popular music e per gli abbinamenti meno ovvi (lo dimostra il fatto che sia uno dei primi sostenitori del New York Rock & Roll Ensemble di un giovanissimo Michael Kamen). È l'ex first lady Jacqueline Kennedy a commissionare al compositore una Messa sui generis che con il suo organico sterminato e la sua forma innovativa resta una delle testimonianze più originali e poco note del fermento artistico e culturale a cavallo tra anni Sessanta e Settanta.

 

Tito Schipa Jr., “L’alba” (1973)

La prima e più importante opera rock italiana nata come rivisitazione del mito di Orfeo si deve a Tito Schipa Jr., figlio del celebre tenore e attore Tito Schipa. La direzione musicale di “Orfeo 9” è affidata a Bill Conti, l’ancora poco conosciuto arrangiatore destinato all’Oscar per la colonna sonora del film “Rocky”, ed è contraddistinta da orchestrazioni dal gusto americano che controbilanciano le melodie più propriamente legate alla tradizione lirica italiana firmate da Schipa Jr.. Tra gli interpreti compaiono anche Loredana Berté e Renato Zero, all'inizio delle rispettive carriere.

 

Rondò Veneziano, “La Serenissima” (1981)

Se ti chiami Gian Piero Reverberi e hai fatto la fortuna, tra gli altri, di Fabrizio de André, Lucio Battisti e le Orme, nessuno ti vieta di comporre dei brani strumentali vagamente ispirati ad Angelo Branduardi, dal respiro internazionale ma con un tocco italiano. Nascono così i Rondò Veneziano, un fortunatissimo ensemble che guarda alla musica classica e barocca (anche nel vestiario) abbracciando sonorità pop e rock, conferite dalla sezione ritmica composta da batteria e basso elettrico. Nella trascinante “La Serenissima” compaiono per la prima volta le influenze disco music che caratterizzeranno molte delle uscite successive.

 

Ray Manzarek, “The wheel of fortune” (1983)

Chi si sarebbe mai aspettato dall'ex tastierista dei Doors un album di trascrizioni dei “Carmina Burana” di Carl Orff? Il merito è dell'arrangiatore Michael Riesman (fidato collaboratore di Philip Glass) e di un ancora poco noto Adam Holzman, tastierista già al servizio di Miles Davis e oggi presenza fissa in studio e sul palco al fianco di un certo Steven Wilson. Il disco è curioso ma godibile, ben rappresentato dalla copertina posticcia che accosta illustrazioni di Hieronymus Bosch, di Jan van Eyck e di strumenti musicali moderni tra cui chitarre, batterie e amplificatori.

 

Freddie Mercury, “Guide me home” (1988)

Non contento dei risultati ottenuti con “Bohemian Rhapsody” e “It's a Hard Life”, nel 1986 Freddie Mercury si affida a Mike Moran e a Monserrat Caballé per realizzare un intero album in puro stile "classical crossover". Il cantante ormai malato concentra le poche energie rimaste nei vari studi di registrazione che lo ospitano nel periodo compreso tra “Barcelona” e “Innuendo”. “Guide Me Home” è l'episodio più struggente del disco, e la magica intesa tra Mercury e la Caballé viene suggellata dal pianismo superlativo di Moran, il vero deus ex machina di un progetto riuscito, ambizioso e forse non ancora del tutto compreso.

 

Elvis Costello, “The birds will be singing” (1993)

La commovente canzone voluta dal padre di Elvis Costello per il suo funerale fa parte di un disco scritto a quattro mani con il Brodsky Quartet inglese. Solo quando durante un loro concerto il cantautore trova il coraggio di approcciarsi ai musicisti (che dal vivo sono momentaneamente impegnati nell'esecuzione del repertorio di Beethoven, Haydn e Schubert) scopre che sono suoi sinceri fan. “The Juliet Letters” è una moderna e riuscita raccolta di lieder dalla trama vagamente shakesperiana, che spicca per l'ottima performance dell'ensemble e per l'intensità dell'interpretazione di Costello.

 

Art of Noise, “Born on a Sunday” (1999)

Pubblicare un disco pop incentrato sulle musiche del francese Claude Debussy nel 1999 potrebbe sembrare un azzardo. Ma non lo è per Trevor Horn, pluripremiato produttore noto ai più per la sua militanza nei Buggles (“Video Killed the Radio Star” porta la sua firma), negli Yes di “Drama” e, appunto, negli Art of Noise. La sempre troppo sottovalutata Anne Dudley ci mette tanto del suo in un album che mette a sistema drum and bass, opera, hip hop e jazz, descritto dalla stessa formazione come la potenziale colonna sonora di un film sulla vita del compositore.

 

William Orbit, “Adagio for strings” (2000)

William Orbit comincia a lavorare a quello che è l'erede naturale del celebre “Switched-On Bach” nel 1995, ma il disco uscito a nome The Electric Chamber viene ritirato dal mercato su richiesta di Arvo Pärt, che non ha preventivamente approvato gli arrangiamenti dei suoi brani. Bisogna attendere il 2000 per la pubblicazione di “Pieces in a Modern Style”, album dalla scaletta particolarmente audace dove fanno bella mostra di sé diversi sintetizzatori degli anni Settanta e Ottanta, protagonisti anche in “Adagio for Strings”, un classico della musica americana del XX secolo composto originariamente da Samul Barber.

 

Pain of Salvation, “Pluvius aestivus” (2004)

“BE” si presta bene al motto di Gustav Mahler per cui “una sinfonia dev’essere come il mondo, deve abbracciare tutto”, grazie al suo concept intricato e al mix di influenze eterogenee degno di un kolossal hollywoodiano. “Pluvius Aestivus”, in particolare, unisce l'eleganza di Michael Nyman all'essenzialità di Philip Glass, e l'arrangiamento ipnotico scandito dal pianoforte di Fredrik Hermansson sembra suggerire quell'atmosfera sospesa, algida e quasi impercettibile che rievoca l'incipit del “Titano” mahleriano.

 

Two Steps From Hell, “Heart of courage” (2008)

È "musica di scena" per il nuovo millennio quella composta dal norvegese Thomas Jacob Bergersen e dall’inglese Nick Phoenix, che nel 2006 uniscono le forze e pubblicano i primi provini di musica per trailer cinematografici. La formula si basa su arrangiamenti epici e muscolari, impreziositi da cori, percussioni, archi e ottoni, con piccole concessioni esotiche ed elettriche nella migliore tradizione cinematica inaugurata da Hans Zimmer. Le armonie sono spesso modali, più vicine all’estetica popular che alla tradizione classica. “Heart of Courage” è stata anche scelta da Alberto Angela come sigla di apertura di “Ulisse”.

 

The Dear Hunter, “Melpomene” (2016)

L'ultimo alfiere delle "sinfonie tascabili" viene dagli Stati Uniti. Si chiama Casey Crescenzo, e negli ultimi anni con i suoi Dear Hunter ha riscritto le regole di un gioco che non può più prescindere dall'autopromozione e da un accorto utilizzo dei social network. Difficilissimo da inquadrare, nel suo songwriting emergono il rock progressivo più nobile, le orchestrazioni più eleganti, le melodie più orecchiabili e un certo gusto per le soluzioni non scontate, anche in contesti ormai abusati come nel caso del concept album, di cui rimane uno dei più lucidi esponenti.

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