Rose Villain, popstar italiana con una visione internazionale

In Italia siamo troppo spesso abituati a incasellare non solo gli artisti, ma anche le canzoni. Filtriamo tutto attraverso generi, etichette, sound. “Quello è trap, quello è rock, quello è pop etc”. Poi a un certo punto arriva una come Rose Villain che non solo mischia le carte, ma ribalta il tavolo.
All’americana
Lo fa con personalità, con gusto, con la sana “presunzione” di voler fare più cose possibili bene, anzi benissimo, al massimo delle sue potenzialità. E in questo è probabilmente la popstar italiana, fuoriuscita in questi ultimi anni, con la visione più internazionale che abbiamo, perché non si accontenta, gioca con i generi, ama spiazzare e bypassare i limiti. Rappa, canta, scrive per sé, per gli altri, sta da Dio sul palco, si tuffa dentro “sound mutanti”, il suo vero marchio di fabbrica, “Click boom!” ne è un esempio di successo lampante, e fa spesso canestro da lontanissimo. Si vede che si è formata negli Stati Uniti dove essere e fare “tante cose” non è un limite, ma una virtù a livello artistico. “La mia condanna? Non avere un solo genere musicale, ma è una condanna bellissima”, racconta Rose. “Radio Vega”, il suo nuovo album in uscita il 14 marzo, è la chiusura di un cerchio, di una trilogia, e si presenta come un’altra finestra affacciata sul mondo di Rose dove urban, pop, cantautorato, colonne sonore, lo-fi rock convivono in pace, come in un’ideale repubblica platonica della musica. Il filo rosso? È lei: Rosa Luini.
Tre sorelle
“Radio Vega” è più che godibile, è un viaggio dai tanti volti. Si schiaccia play e si lascia andare. Questo non vuol dire che il progetto sia tutto-tutto riuscitissimo, alcune canzoni non bucano appieno, si muovono su binari già un po’ percorsi e conosciuti, non riuscendo a conquistare totalmente l’ascoltatore. Ma nel suo complesso “Radio Vega” tenta di volare più in alto delle sorelline “Radio Gotham” del 2023 e “Radio Sakura” del 2024. Sul fronte del sound spazia ancora molto, sì, ma ha due coordinate più marcate, due filoni ben delineati e a fuoco: c’è un lato più emotivo e dark, dove Rose spicca al massimo e a cui speriamo possa dedicare in futuro un intero disco, e un altro più colorato e vivace. Lei lo definisce “un viaggio cosmico”. La costellazione della Lira, illuminata dalla splendida stella Vega, non è solo un punto di riferimento nel cielo, ma è soprattutto simbolo dell’amore sofferto tra Euridice e Orfeo, che porterà quest’ultimo, dopo la morte della sua amata, a passare tutta la vita a suonare canzoni tristi. Di riflesso “Radio Vega” è un disco di “ricerca” personale e musicale, e di sentimento. Sono 13 i brani, sotto la direzione artistica di Sixpm, produttore e marito di Rose, che completano la Radio Trilogy che verrà presentata anche dal vivo con un tour estivo e poi nei palazzetti.
Canzone per canzone
Il disco si apre con “Il bacio del serpente” con Gué. I due, come dimostrano le tante hit realizzate insieme, sono più di un duo, sono un tuono. L’intro è sontuosa, poi si perde un po’, ma è ripagata dall’annuncio di un joint album nel 2026, svelato nelle barre di Gué. “Millionaire” parla di rivalsa, sembra la colonna sonora di un manga o di un cartone animato in chiave urban, mentre “No vabbé” è un pezzone da club costruito insieme a Lazza: “E te l’avevo detto, pensavi fossi un angelo, ma ho un Uzi nel cassetto”, rappa Rose. “Ancora” con Geolier ha una partenza interessante grazie alla chitarra acustica, in versione diy, poi si standardizza un po’ per permettere l’ingresso del rapper napoletano. “Musica per dimenticare”, nei primi attimi, ha un’elettronica sputata fuori dalla soundtrack di “Drive”, film del 2011 diretto da Nicolas Winding Refn, poi diventa un pezzo più scalmanato, in stile anni ’80. Ha diverse anime: il timbro della musica di Villain. “Patrick Bateman” è un personaggio creato dalla fantasia dello scrittore californiano Bret Easton Ellis, protagonista del romanzo “American Psycho” e della sua successiva trasposizione cinematografica. Anche questo brano cambia pelle, tra parti sussurrate, momenti aperti e più caldi.
“Lacrimogeni” con Chiello è una delle pietre preziose del disco: una canzone da cantare a squarciagola nei live, malinconica e sporca con un finale da colonna sonora del “Mago di Oz”. “Fuorilegge”, presentato al Festival di Sanremo, è un altro pezzo mutevole, mentre “Bop” è il terreno perfetto per Fabri Fibra, tra ironia e groove. Con “Smith & Wesson” e “Tu sai” si torna in profondità, tra amore, complicità, insicurezze e atmosfere più scure. Quest’ultima, chitarra e voce, dedicata a suo marito, nella sua semplicità è un altro dei tasselli più forti del progetto. “Wtf” ha tinte più soul-jazz, tra cit di Luigi Tenco e Tiziano Ferro, mentre “L’amore è un serial killer”, nel cui testo si evocano Mick Jagger, Kanye West e Johnny Cash, è un pezzo più storto a livello di produzione che chiude il cerchio.