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Chi è Marco Castello?

Intervista con il cantautore di Siracusa
Chi è Marco Castello?

«Sono un musicista, vengo da Siracusa e mi piace molto scrivere e provocare». La lunga conversazione con Marco Castello è iniziata con una domanda molto semplice: chi sei?. Lo incontriamo in videochiamata, a pochi giorni dalla conclusione del tour in acustico che, tra le altre cose, lo ha visto fare tappa a Milano, all'Arci Bellezza, dove in un solo pomeriggio ha fatto tre concerti sold out. Nel frattempo ha annunciato sul suo canale Instagram un tour con tappe nelle capitali di mezza Europa.

E questi sono solo alcuni degli ultimi indizi per capire che il cantautore siciliano è di quelli da tenere sott'occhio. In questi anni è riuscito a creare intorno a sé (e non solo a Milano) un buon interesse da parte di pubblico e colleghi (ha collaborato con Nu Genea, Calibro 35, Fulminacci, Mace) e la principale motivazione è probabilmente la più semplice: è bravo. Ad alzare l'asticella della curiosità, poi, è il fatto che ha un percorso artistico particolare. Ha fondato la sua etichetta discografica, Megghiu Suli, e non sembra avere particolari strategie di marketing o comunicazione. «Il nome della mia etichetta è un gioco di parole: in siciliano significa il "miglior sole" ma anche meglio soli». E spiega: «Perché ho scelto di fondare la mia etichetta? La mia fame, la mia fretta, la mia voglia di lavorare non corrispondevano con i tempi che le etichette si erano prefissati. Alla fine ho deciso di fare le mie cose per me».

Facciamo un passo indietro. Marco Castello ha trentuno anni, è diplomato in tromba jazz alla Civica di Milano. Una grande botta di culo, come ammette lui stesso, lo porta ad incontrare Erlend Øye dei Kings of Convenience che lo invita a girare con la comitiva durante un tour mondiale. «Suonare tanto all'estero mi ha fatto capire quanto fosse "piccola" l'Italia nella sua dimensione musicale, quanto fosse in mano a poche persone, almeno ad alti livelli». 

Nel frattempo mette da parte i brani del suo primo disco: "Contenta tu", del 2021. Un album che in Europa esce per la Bubbles Records, in Italia con 42 Records. Nel 2023 pubblica "Pezzi della sera" ma questa volta lo fa da solo, con la sua etichetta discografica. «Quello che avevo fatto fino a quel momento mi aveva dato la possibilità di capire il mio potenziale. La mia fase di sperimentazione l'ho fatta lavorando con due etichette, anche solo stare nel roster con artisti già affermati mi dava un po' di credibilità. Se fossi partito da solo non avrei potuto farlo. Quando avevo pronto il secondo disco quindi, ero perfettamente consapevole delle mie potenzialità, del mio pubblico, del fatto che quello che potevo fare, in un modo o nell'altro, avrebbe funzionato. E non avrebbe potuto essere peggio di quello che avevo fatto prima».

Una scelta controcorrente, insomma. «C'è questa credenza, soprattutto a Milano, che per fare le cose nella musica in maniera diffusa ci siano delle regole. Dei passi dovuti da dover rispettare, altrimenti le cose non vanno. Questa è una cosa che io sto smentendo con piacere. Il fatto è che nessuno prova a fare le cose in modo diverso, siamo ancora legati a regole che arrivano dagli anni Sessanta quando il mondo era un altro pianeta. Sarebbe il momento in cui si spezzassero queste dinamiche. Funzionano soltanto perché troppi continuano a farle funzionare e nessuno scommette davvero o prova ad andare in qualche altra direzione». 

Torniamo alla musica. Marco Castello è un artista che porta avanti un progetto autentico. La sua cifra stilistica affonda le radici nel cantautorato italiano – con richiami a Battisti, Dalla e De Gregori, e aggiunge Enzo Carella e Bob Marley – ma si muovesu territori sonori che spaziano dal jazz al blues, dal funk a suggestioni più internazionali, senza perdere il legame con la tradizione. Tra i cantautori contemporanei cita Brunori Sas con "La verità" e Colapesce con "Totale". 

Canta in italiano, ma spesso c'è un richiamo al dialetto siciliano. Nei suoi testi racconta frammenti di vita quotidiana con una sottile ironia e un po' di cinismo. Tra i brani più apprezzati dal pubblico ci sono "Cicciona", "Contenta tu", "Marchesa" e "Magari" – quest’ultima scritta in collaborazione con Fulminacci. «Osservo il mondo intorno a me, noto dettagli che mi fanno ridere o arrabbiare. Mi piace raccontare ciò che mi sta a cuore o mi colpisce, cercando di farlo con finezza. Anche se, quasi mai, ci riesco del tutto. Mi piace essere ironico».

Un esempio? «Mi capita spesso di fermarmi a riflettere su come vengono gestite molte questioni nella mia città. Prendiamo il problema dell’overtourism: è un fenomeno locale, ma diventa universale. Bad Bunny ad esempio ha dedicato il suo ultimo disco su questo tema, segno che certe dinamiche si ripetono ovunque. Tendiamo ad uniformarci, le persone diventano sempre di più tutte uguali. E mi rendo conto che certi punti di vista stanno diventando sempre più condivisibili».

Una questione che vale un po' anche per l'uso del dialetto, partendo dal fatto che è una lingua sdoganata e cool tra i rapper napoletani e che non trova facilmente terreno in altri generi: «Il ragionamento che ho fatto è semplice: il napoletano è sempre stato accettato come lingua musicale, anche molto prima dei rapper. Pensiamo a Pino Daniele. E allora mi sono chiesto: perché il napoletano sì e il siciliano – o altri dialetti – no? Ma per me è anche una questione culturale e sociale. Soffro nel vedere come, nella mia terra, a Siracusa, l’uso del dialetto si stia perdendo. Da bambino, quando parlavo in dialetto, mia madre mi rimproverava, mi diceva che ero un malacarne, un ignorante perché non parlavo l’italiano. Oggi il mio è un dialetto falsato, e proprio per questo sento il bisogno di una rivendicazione: di proteggere ciò che resta di questa identità, affinché non si disperda del tutto».

Prima di chiudere questa lunga conversazione, mentre il mondo della musica si prepara ad affrontare la settimana del Festival di Sanremo, ci fermiamo a parlare di cibo, altra grande passione di Marco Castello, come richiama spesso nei suoi testi. «La mia ricetta preferita? Ce ne sono troppe, è come se mi avessi chiesto di scegliere una canzone». Il primo ricordo legato alla musica invece, «è quello di mia sorella che mette i Cd nel Windows 95 di mio padre e mi insegna ad andare a tempo sui bonghetti». E, infine, prima di salutarci, un ultimo chiarimento: «Non ho voglia di dimostrare niente, cerco di fare quello che mi piace e mi rispecchia».

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