Mogwai, il ritorno: “Non vogliamo mai essere gli stessi”

Canzoni che scolpiscono nuovi mondi, che rifiutano la nostalgia e si tuffano nel domani. “The Bad Fire”, il nuovo album dei Mogwai, in uscita il 24 febbraio, a quattro anni dal successo di “As the love continues”, è stato registrato nel Lanarkshire, con il produttore John Congleton, vincitore di un Grammy Award, che si è unito alla band post-rock in studio. “The Bad Fire”, slang scozzese per indicare l'inferno, trae ispirazione da una serie di momenti personali difficili in cui la band si è trovata ed è una sorta di esorcismo in musica. Colori, esplosioni, suoni magici: la formazione scozzese è tornata per lasciare il segno, ancora una volta, con canzoni strumentali avvolgenti. Un marchio di fabbrica. Non sono ancora state annunciate date in Italia in questo 2025, ma qualche cosa bolle in pentola perché, come svela il fondatore Stuart Braithwaite, il rapporto è sempre stato saldo: “Ricordo anche con piacere quando realizzammo la colonna sonora per ZeroZeroZero, serie tratta dal romanzo di Roberto Saviano, è un lavoro di cui siamo profondamente orgogliosi”.
Una ripartenza
Ma in che momento arriva “The Bad Fire”? “Il periodo di uscita del disco precedente, ‘As the love continues’, è stato interessante, ma difficile, il progetto uscì durante la pandemia, fu un momento doloroso e complicatissimo per il Pianeta, c’era l’idea di andare subito in tour dopo l’uscita dell’album, ma è stato complesso – racconta l’artista e musicista - alla fine le cose sono apparentemente tornate alla normalità dopo il periodo pandemico, ma in realtà sono comparsi problemi terribili, anche legati a dinamiche familiari e personali. Quindi in realtà questo nuovo disco è stato ancora più complicato, le porte dello studio piano piano si sono aperte e abbiamo visto la luce. Siamo molto orgogliosi di essere arrivati fino in fondo alla realizzazione di questo progetto”.
Un vulcano in copertina
In copertina compare un vulcano, il fuoco è colorato, sembra pop art. “Quello che è davvero interessante è che lo studio Dltdesigner ha realizzato questa copertina senza sapere su quali canzoni stessimo lavorando e soprattutto senza conoscere il titolo che avevamo scelto, è stato un processo indipendente dal nostro, ma che ha portato a un risultato analogo. Insomma, siamo arrivati allo stesso punto”, prosegue Stuart Braithwaite. La produzione del progetto è stata curata da John Congleton, già al lavoro con St Vincent, Angel Olsen e John Grant. “L’aspetto più interessante del lavoro con lui è la spontaneità – ricorda Braithwaite – il processo è stato molto fluido: facciamo questo? Ok. Lavoriamo su questa canzone? Ok. Non ci piaceva pensare troppo alle cose, le facevamo e basta. John ha lavorato con grandi nomi, ma è cresciuto con la musica underground, sa come controllare certe situazioni. E poi ha un buon senso dell’umorismo, questo aiuta”. Il disco è ricco di presente e di futuro, anche nei suoni, e quindi privo di nostalgia: “Come band cerchiamo sempre di guardare oltre, sì fotografiamo ciò che è stato, penso al documentario che abbiamo realizzato, ma poi guardiamo ancora avanti. Non vogliamo essere gli stessi, ripeterci o rievocare ciò che eravamo. L’arte per me ha lo sguardo rivolto verso il domani, non indietro”.
Nuovi percorsi sonori
Questo non accontentarsi, cercando nuove soluzioni sonore, è confermato da pezzi come “Fanzine Made Of Flesh”. “È stata scritta a Brooklyn mentre ero a casa di Alex Kapranos dei Franz Ferdinand, nell'autunno del 2023. Nella mia testa suona come un incrocio tra ABBA, swervedriver e Kraftwerk, anche se potrebbe sembrare ridicolo. All'inizio c'era una voce diretta, ma l’ultimo giorno in studio l'abbiamo registrata con un vocoder, non è la prima volta che lo utilizziamo, ma qui è molto presente. È piuttosto diversa e sono contento di com'è venuta fuori”, ricorda Braithwaite. I Mogwai sono in giro dalla metà degli anni ’90 e ancora oggi rimangono un simbolo. “Siamo cambiati, indubbiamente – ammette – siamo passati da una dimensione ristretta, di amicizia, a fare concerti in posti molto grandi. Oggi ci sono tante persone che lavorano per noi. Però sono certo che staremmo facendo tutto questo, ovvero suonare e fare dischi, anche se non lo avessimo trasformato in una professione e se la band non fosse popolare. Faremmo un secondo lavoro, ma faremmo ancora musica. La connessione tra noi e i fan è speciale, quel tipo di energia è il nostro vero motore. Questo è quello che è rimasto invariato in tutti questi anni: la voglia di suonare, di fare musica insieme”.
Una storia unica
L’anno scorso è uscito il documentario “If the stars had a sound” in cui si vede il percorso della band dall’underground fino all’ottenimento di numeri mainstream. Oggi, nell’epoca dello streaming, sarebbe ancora possibile un percorso di questo tipo? “Credo di sì, perché far conoscere la propria musica oggi è potenzialmente più facile, ma senz’altro economicamente difficile, nel senso che lo streaming arriva a tutti, ma non permette ricavi importanti – conclude – noi abbiamo iniziato in un’epoca analogica quando era davvero complesso arrivare al pubblico, ce l’abbiamo fatta grazie ai concerti, la cui importanza non è mai mutata”.