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Franz Ferdinand: "La paura va compresa, dominata e conquistata"

L'intervista ad Alex Kapranos e Bob Hardy, in occasione del nuovo album 'The Human Fear'
Franz Ferdinand: "La paura va compresa, dominata e conquistata"

Per l'uscita del nuovo album dei Franz Ferdinand, recensito anche da Rockol, abbiamo incontrato il leader della band e volto noto della stessa, il cantante e chitarrista Alex Kapranos. Alex ci ha parlato di cos'è la "paura umana", affrontando poi altri temi odierni come la dipendenza da smartphone e lo streaming. Nell'ultima parte dell'intervista, ha invece risposto alle nostre domande il cordiale bassista della band, Bob Hardy.

Si direbbe che i Franz Ferdinand abbiano sempre rappresentato un buon antidoto alla tristezza, ma il titolo del nuovo album, 'The Human Fear', sembrerebbe quasi un modo per confutare questa idea. Alex, da dove nasce la spinta ad affrontare un tema come quello della paura?
Alex Kapranos: "In effetti è così. La musica dei Franz Ferdinand è sempre stata associata a qualcosa di edificante; è certamente un tipo di musica che ti fa stare bene, che ti scalda l'umore e che ti rende più vivo che mai, dopo che l'hai ascoltata. Allo stesso modo, anche la paura produce un effetto importante in noi umani, dopo che l'abbiamo conosciuta. Ci sono però molti modi di approcciarsi alla paura. Essa è in grado di sottometterti, a seconda delle volte, oppure, se ne possiedi gli strumenti, la puoi sfruttare per liberarti da ciò che più ti opprime. Relativamente al nuovo album, il suo concept riguarda l'idea di venire a patti con tutto questo. La paura va compresa, dominata e infine conquistata".

Isolamento sociale, social network e smartphone; pensi che quest'epoca tramonterà, o  il futuro sarà ancora più complicato di così?
Alex Kapranos:
"Al momento mi sembra di poter intravedere un inizio di riluttanza, da parte delle persone, ad arrendersi all'imposizione tecnologica e alle leggi dei social media. E non mi riferisco solo a parenti e amici più stretti. Ciò che sto cercando di dire è che la gente, giovani inclusi, si sta forse accorgendo che non è bene lasciare che si calpesti troppo la propria privacy o condividere in maniera compulsiva cose su internet. Il che è positivo. Si è parlato parecchio, negli ultimi anni, a proposito dell'imparare a vivere concentrati sul presente, in questo momento, nel qui e ora. Però trovo sempre frustrante il fatto che ai concerti si continui a esibire lo smartphone; è assurdo che si preferisca guardare un concerto attraverso uno schermo, invece di viverlo coi propri occhi. Intendo dire, se devi proprio filmare, fai un video di pochi secondi da caricare come reel sul tuo profilo, ma per la miseria, dopo che lo hai fatto metti via quel dannato telefono e goditi lo spettacolo!"

Quando affermi non può che essere pienamente "condivisibile", per restare con una punta di ironia sul tema dello sharing. A volte si rasenta veramente l'assurdo.
Alex Kapranos:
"Ricordo la prima volta che provai una sensazione di fastidio in relazione a questo tipo di atteggiamento. E' stato tempo fa, in occasione di un concerto dei Kraftwerk alla Tate Modern di Londra, e avevo fatto caso a questo tizio che per tutta la durata del concerto era rimasto a puntare un iPad enorme verso il palco. Quella dei Kraftwerk era una performance tridimensionale, da vedere tra l'altro muniti degli appositi occhialetti in 3D. Un'esperienza unica e da godere appieno, e invece c'era chi, come lui, preferiva perdersela pur di dedicarsi al proprio dispositivo. Tutto ciò è incomprensibile".

'The Human Fear' si presenta come un prodotto musicale coeso e genuino. Un classico album alla Franz Ferdinand per stile e suono. Il disco vede anche il debutto di Audrey Tait alla batteria. Credi che l'aver rinnovato la band, oggi diventata un quintetto, abbia in qualche modo influito sul processo di scrittura del nuovo materiale?
Alex Kapranos:
"Onestamente non saprei dire se il nuovo corso della band abbia influito necessariamente sul processo di scrittura, ma certamente l'energia messa in campo da una persona come Audrey ha apportato per quanto ci riguarda un cambiamento positivo. Mi fa molto piacere sentir dire che si tratta di un album onesto, perché sono consapevole che quello che fuoriesce dalla canzoni è il suono di una band di cinque elementi che suonano insieme nella sala di uno studio, niente più di questo. In fin dei conti apprezzo la moderna tecnologia e le possibilità che uno studio di registrazione è oggi in grado di offrirti, ma non ci sarà mai nulla che potrà replicare il suono di cinque persone che suonano insieme e in presa diretta nella stessa sala. Penso a questo disco come a un qualcosa di liberatorio dopo il tour a supporto di 'Hits To The Head', che era un greatest hits, perché quando sali sul palco sapendo che eseguirai solamente i tuoi singoli di successo torni a pensare quanto ami stare insieme in un gruppo, a sentire l'importanza di capirsi quasi a livello telepatico, operando cioè in maniera subliminale perché mossi da un sentimento di totale vicinanza l'uno per l'altro. E dunque il fatto di capirsi suonando ci ha fatto sentire il bisogno di ritornare quanto prima in studio per fare un nuovo disco".

'The Human Fear' è in realtà solo il sesto lavoro a situarsi in un percorso artistico, il vostro, che è ormai ampiamente duraturo.
Alex Kapranos:
"Per quanto possa sembrare banale dirlo, bisogna farne di strada per arrivare a un punto simile, alla consapevolezza di cui parlavo, e per farlo devi avvalerti per forza di musicisti di un certo valore, perché non è un qualcosa che si possa replicare in modo artificiale. Ho la fortuna di collaborare con persone come Dino [Bardot, chitarrista], Julian [Corrie, tastierista] e ovviamente anche Bob [Hardy, bassista - l'unico membro storico dei Franz Ferdinand a essere presente, oltre a Kapranos, nell'attuale line-up, N.d.R.]. Per non parlare della bravura e del talento di Audrey. Mi fa specie che un sacco di gente, a proposito di Audrey, trovi strano che abbiamo scelto una presenza femminile per sostituire Paul [Thomson, il vecchio batterista della band, N.d.R.]. Personalmente ho invitato Audrey a prendere parte alla band non perché è una donna, ma semplicemente perché era la persona migliore che potessimo trovare in tutta la Scozia!".

Peraltro, se non vado errato, dietro al suo coinvolgimento c'è anche lo zampino dello stesso Paul Thomson...
Alex Kapranos
: "Paul e Audrey si conoscevano già da molto tempo, in effetti. Però è stato Julian a presentarla formalmente al gruppo".

Sono passati più di vent'anni dal vostro rivoluzionario e omonimo esordio, che vendette quattro milioni di copie nel mondo. Quali sono i tuoi pensieri quando ripensi a quell’album e al suo seguito, 'You Could Have It So Much Better'?
Alex Kapranos:
"Cosa ne penso di quei dischi? Che sono ancora degli ottimi dischi! E ti dirò di più, la motivazione che mi spinse a realizzarli all'epoca è esattamente la stessa che mi ha portato fino a 'The Human Fear'. Ho sempre e solo voluto fare cose buone divertendomi, ed è stato così anche stavolta. Mi sono impegnato a scrivere un disco che mi avrebbe garantito delle emozioni ogni volta che lo avrei riascoltato. Con la differenza che, stavolta, volevo fare un disco che comunicasse i miei pensieri e le mie emozioni. Un disco che potesse far divertire prima di tutto me e i miei amici della band, ma anche, e allo stesso tempo, un disco che affrontasse senza timori i grandi dilemmi della vita. La mia motivazione non è cambiata per niente in questi vent'anni, e il poter far parte di una buona band non può che essere un privilegio assoluto, per quanto mi riguarda".

Stai quindi confermando che la tua energia non si è mai affievolita, da che hai cominciato in questo business?
Alex Kapranos:
"Forse l'unica differenza con passato è che adesso sono un cantante decisamente più bravo [ride, N.d.R.]".

Quando i Franz Ferdinad sono esplosi lo hanno fatto nell'epoca dell'indie rock, o del cosiddetto "post-punk revival", la cui scena si estendeva dalla Gran Bretagna fino agli Stati Uniti. Molti di quei gruppi, Franz Ferdinand compresi, sono rimasti nel cuore di molti ascoltatori. Che valore ha tutto questo per te?
Alex Kapranos:
"Di quella scena c'erano delle band che apprezzavo. In alcuni casi erano anche delle grandi band, ma ce n'erano anche tante altre di cui non me ne è mai importato nulla, a essere del tutto sincero. Come succede spesso, fra artisti si diventa amici, ma ci si ignora anche, a seconda dei casi. Sento ancora Daniel degli Interpol - abbastanza spesso, a dire il vero. Attualmente sono molto amico coi ragazzi dei Cribs. Della vecchia scena, comunque sia, c'era un gruppo che mi piaceva parecchio, i Futureheads. Peccato non siano più tanto attivi come un tempo. Tutto quel periodo, in ogni caso, è stato un gran periodo".

Oggigiorno c'è chi fra gli artisti sente il bisogno di esporsi su certe questioni (sociopolitiche, ad esempio), o al contrario c'è chi preferisce non farlo e per questo viene criticato duramente. Non credi che si stia perdendo un po' di vista il senso della misura?
Alex Kapranos:
"Senza dubbio è così, c'è molta confusione. A volte si esasperano certi aspetti comunicativi solo perché si sente il bisogno di mettersi in luce. Per quanto mi riguarda, se devo espormi in relazione a un qualsiasi argomento, lo faccio solo se credo sia il caso di farlo, e in ogni caso dev'essere qualcosa che sono io a scegliere, non ci dev'essere qualcun altro a fare pressioni affinché io mi esponga. Questo vorrebbe dire dovermi conformare, e sarebbe contrario alla mia vera natura. Mi sono sempre sentito un ribelle, fin da piccolo. A scuola facevo sempre di testa mia, non ascoltavo mai gli insegnanti, non ascoltavo nessuno. Ero restio ad accettare le imposizioni altrui. E adesso non è cambiato nulla. Non intendo farmi strumentalizzare solo perché un idiota qualsiasi su un social media cerca di tirarmi in ballo con qualche questione. Personalmente chi non se la sente di esporsi ha il mio rispetto".

Più recentemente Tony Visconti, il leggendario produttore di David Bowie, si è scagliato contro Spotify sostenendo che "non fa nulla per sostenere la cultura della musica". Come artista, ti trovi d'accordo?
Alex Kapranos:
"Penso che abbia ragione in parte. Come formula in sé, lo streaming ha del potenziale, nel senso che è interessante il fatto che una piattaforma, qualunque essa sia, possa rendere un servizio istantaneo nel fornire a varie tipologie di utenze un accesso alla musica e la possibilità di divulgarla. In questo non ci trovo niente di male, in fin dei conti. Ciò che è disgustoso non è tanto Spotify in sé come modello di funzionamento, quanto chi lo sfrutta in modo irrispettoso. In questo senso il vero problema è il ruolo, come quello che ricopre qualcuno come Daniel Ek (CEO di Spotify - il dibattito attorno a Ek ha spesso riguardato la misera cifra pagata agli artisti per ogni stream, N.d.R.)".

Bob, collaborate da sempre con la Domino Records. Com'è il vostro rapporto con loro e, più in generale, dal tuo punto di vista, come vedi il futuro delle case discografiche?
Bob Hardy:
"Abbiamo un ottimo rapporto con la Domino. È una casa discografica composta interamente da fan ossessivi della musica che sono nell'industria musicale per amore della musica stessa. Non riuscirei a immaginare di dover lavorare con un'etichetta discografica che non sia la loro. La Domino è una pezzo fondamentale della storia dei Franz Ferdinand. Per quanto riguarda le case discografiche, il problema è che lo streaming sta continuando a ridurre la quantità di dischi fisici che un artista vende, e la conseguenza è che molte delle etichette più piccole stanno lottando finanziariamente tanto quanto gli artisti più piccoli. Non so quale sia la soluzione a un problema di questa portata, tenendo poi conto che l'industria è in continua mutazione. Rimarrei cauto, quindi, nel fare previsioni su cosa il futuro possa riservare alle case discografiche in generale".

Alex ha dichiarato di aver avuto qualche problema nel gestire il suo rapporto con la fama, soprattutto all'inizio. Anche per te è (o è stato) così?
Bob Hardy:
"Essendo io il bassista sono molto più anonimo di Alex. In generale, quando vengo riconosciuto da qualcuno in giro questo qualcuno è quasi sempre un fan della band, e queste interazioni sono sempre molto belle".

Per promuovere il nuovo album sarete in tour in Italia per quattro date (a febbraio a Milano, e poi di nuovo durante l'estate per altre tre date altrove). Qual è il vostro rapporto con il nostro Paese e come è cambiato il vostro approccio alla dimensione live rispetto ai primi giorni della band?
Bob Hardy:
"Amiamo suonare in Italia, è stato uno dei primi Paesi che abbiamo visitato in tour. Il pubblico italiano è tra i migliori al mondo. Ci sono alcuni Paesi in cui il pubblico va ai concerti per essere parte della performance, e l'Italia è sicuramente fra questi. Il pubblico italiano porta un'energia agli spettacoli che gli artisti sul palco possono alimentare, e questo può rendere davvero fulminante, in senso buono, l'esperienza di un concerto. Come musicisti e performer siamo sicuramente diventati più competenti e ci sentiamo più a nostro agio rispetto ai nostri primi giorni come band, e una tale consapevolezza mi consente di assaporare molto di più l'esperienza e apprezzare quanto siamo fortunati a fare ciò che facciamo".

Ho sempre notato nel sound della vostra band una freschezza e un'unicità simili a quelle di certi gruppi pop più "artistici" del passato, come gli Sparks o i Roxy Music. Con i primi avete registrato un album insieme per il progetto FFS. Come avvenne quella collaborazione?
Bob Hardy:
"Siamo sempre stati grandi fan degli Sparks; li incontrammo la prima volta nel 2004, quando ci invitarono a pranzo a Los Angeles. Già allora ci fu occasione di fantasticare su quanto sarebbe stato bello poter lavorare insieme, un giorno, ma nel concreto i rispettivi impegni non ci hanno consentito una collaborazione fino al 2012. È stato senz'altro un progetto divertente, di cui mi sono goduto ogni momento".

 

 

 

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