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L’incanto infinito di un concerto dei Cure, al Troxy di Londra

Il racconto del live di Robert Smith e soci per presentare “Songs of a lost world”, insieme alle hit
L’incanto infinito di un concerto dei Cure, al Troxy di Londra

Un temporale con pioggia e tuoni. È questo il rumore che accoglie il pubblico all’interno del Troxy di Londra, storico teatro e sala per concerti in stile art déco che può ospitare fino a circa tremila persone. Qui i Cure scelgono di presentare dal vivo il loro nuovo album, “Songs of a lost world”, nel giorno della sua uscita, 1 novembre. Si tratta dell’unico spettacolo di Robert Smith e soci con pubblico pagante previsto per il 2024 dopo gli esclusivi show per la BBC. Dai prezzi contenuti dei biglietti, acquistabili solo da chi preordinava il disco, e del merchandise, fino alla scelta di trasmettere il live in diretta su YouTube, la serata è un omaggio ai fan, oltre che un modo per celebrare il nuovo disco. La generosità della band si misura dalle intenzioni iniziali, quanto dalla resa del concerto.
L’attesa che precede l’inizio dello show lascia i presenti in un tempo sospeso, in balia dei suoni di pioggia, penetranti e spettarli, trasmessi dagli altoparlanti. Mentre i fan sono già accalcati sotto il palco, gli ospiti raggiungono le loro poltrone di tessuto in galleria, dove si notano anche personaggi come - tra gli altri - Boy George e Yungblud.

Il palco è un universo a sé, dominato da piccole luci sullo sfondo che, appena cala la penombra, si accendono e creano un cielo stellato dentro il temporale. In questa dimensione, quasi irreale, Jason Cooper, Perry Bamonte, Reeves Gabrels, Simon Gallup e Roger O’Donnell fanno il loro ingresso in scena raggiungendo le proprie postazioni. Li segue Robert Smith, che per un attimo si ferma al lato sinistro del palco per sistemarsi le maniche della camicia nera prima di raggiungere il centro.
A segnare l’inizio del concerto e a incidere sul cuore e nella mente dei presenti è subito il suono compatto dei Cure, carico di intensità e nostalgia. Un intreccio di chitarre, synth e batteria detta il via mentre le note di “Alone” iniziano ad avvolgere il Troxy. L’atmosfera è oscura e affascinante, ma luminosa al tempo stesso, e avvolge una scenografia minimale dove il palco sembra ricreare uno studio di registrazione tra strumentazioni e amplificatori. Il lungo strumentale iniziale dà il tempo alla band di appropriarsi della propria fisicità scenica, con Robert Smith che svela la sua figura emblematica, di un’epoca senza fine, con i capelli spettinati, quasi un’aureola scura, e il trucco marcato che rende ancora più misterioso il suo sguardo. In un enigma di malinconia, la voce del frontman arriva poi con ruvidezza e visceralità, mantenendo lucidità e precisione: “This is the end of every song that we sing”, Le note continuano a distendersi lente, pesati come il tempo, ma con dolcezza arriva "And nothing is forever”, e il pubblico trattiene il respiro, immerso in un ambiente sonoro sospeso tra realtà e mortalità.

La prima parte dello show è dedicata esclusivamente al nuovo album “Songs of the lost world”, che viene suonato nella sua interezza seguendo fedelmente la tracklist. È un viaggio attraverso luci e ombre, dalla cupezza e solennità che hanno accompagnato la band dal 2008, anno in cui usciva il precedente “4:13 Dream”, alla consapevolezza odierna su mortalità, perdita e sogni. In concerto “Songs of the lost world” suona anche pieno di vitalità e il mondo di suoni in cui i Cure portano gli spettatori non è per nulla perso, ma coeso e perfetto. Ci sono compostezza, introspezione, amore e timidezza, mentre ogni strumento suona preciso e analogico, come un vinile riesumato dal passato, ma ancora in perfette condizioni. Gli stati d’animo di ogni canzone vengono svelati visivamente dai visual del grande schermo centrale in fondo al palco, dalla rappresentazione realistica del globo terrestre all’aurora boreale dei primi due brani passando per una rosa rossa per la potenza di “A fragile thing”.

Il basso di Simon Gallup pulsa come un cuore in battaglia, mentre Reeves Gabrels ricama con incisività il giro di chitarra centrale, prima di essere nuovamente protagonisti nel costruire la velocità della sarcastica “Drone:Nodrone” dopo gli effetti di “Warsong”. Torna il rumore della tempesta con uno dei momenti più toccanti, “I can never say goodbye”, e l’elaborazione del lutto per la morte del fratello di Robert Smith viene accompagnata dall’immagine di una giostra carosello, prima illuminata e poi avvolta dall’oscurità. I tocchi di Perry Bamonte e Roger O’Donnell alle tastiere avvolgono ogni nota di un’atmosfera ipnotica, mentre Jason Cooper si affida alla precisione. Passati i synth di “All I ever am”, la batteria torna quindi potente e precisa per l’ultima canzone di “Songs of the lost world”, “Endsong”. Si conclude così la prima parte dello show e dopo cinquanta minuti di musica senza interruzioni, la band lascia il palco mentre sullo schermo appare la scritta “Intermission”, “Intervallo” - come accade a teatro, appunto.

Dopo una breve pausa di dieci minuti, il concerto riprende e i Cure decidono di far gioire il pubblico con alcune delle loro canzoni più note, insieme a brani del passato. Si passa da “Plainsong” a “Pictures of you”, da “High” a “Lovesong”, con leggerezza, mentre in galleria alcuni iniziano ad alzarsi in piedi per cantare sui ritornelli, invidiosi forse dei fan nel parterre. “Burn” è perfetta nei colpi netti di percussione e nella scarica di batteria di Cooper, aprendo la strada alla ritmica chirurgica del basso di “Fascination street”, e alla fantasia chitarristica di Reeves Gabrels in “A night like this". In scena i sei musicisti si divertono e non hanno intenzione di lasciare il palcoscenico, interagendo e intrecciando tra loro i suoni, e la voce del frontman arriva ad abbracciare tutti i presenti. Il pubblico ha voglia di ballare su “Push” e “In between days", e su “Just like heaven” arriva il momento singalong corale, prima dell’emotività di “From the edge of the deep green sea”. Uno dei brani preferiti dai fan, “Disintegration”, sembra catapultare il Troxy direttamente alla fine degli anni Ottanta, in un suono denso e stratificato.

I Cure possono allora congedarsi per una seconda pausa prima del terzo atto, volto a celebrare il loro secondo album, “Seventeen seconds”, all’alba del suo quarantacinquesimo anniversario. Dal disco vengono scelti cinque brani da suonare live, oltre a “At night” e “M”, viene suonata per la prima volta dopo oltre un decennio “Secrets”, seguita da “Play for today” e “A Forest”.

La generosità di Robert Smith e soci, che lasciano nuovamente il palco per pochi minuti, si trasforma alla fine in un lungo bis in cui vengono messi in fila alcuni dei successi più grandi della band. La serata si trasforma in una festa, dove a divertirsi è il pubblico, ormai tutto in piedi, e lo stesso gruppo. Non mancano quindi “Lullaby”, con la grande ragnatela sullo schermo alle spalle della band, “The Walk”, “Friday I’m in love e “Close to me”, ovviamente, oltre a “Why cant I be you” e “Boys don’t cry”. Dopo circa tre ore di musica Smith e compagni salutano definitivamente i fan, che possono avviarsi all’uscita con la sensazione di aver vissuto appieno l'incanto infinito di un concerto dei Cure.

Scaletta:

Songs of a Lost World

Intro Alone (registrata)
Alone
And Nothing Is Forever
A Fragile Thing
Warsong
Drone:Nodrone
I Can Never Say Goodbye
All I Ever Am
Endsong

Seconda parte

Plainsong
Pictures of You
High
Lovesong
Burn
Fascination Street
A Night Like This
Push
In Between Days
Just Like Heaven
From the Edge of the Deep Green Sea
Disintegration

Terza parte - "Seventeen Seconds"

At Night
M
Secrets
Play for Today
A Forest

BIS

Lullaby
The Walk
Friday I'm in Love
Close to Me
Why Can't I Be You?
Boys Don't Cry

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