Omar Pedrini: “Ho chiuso con i concerti rock”

“Tutto bene grazie, stante i miei problemi che affronto brillantemente”: così risponde Omar Pedrini alla domanda “Come stai?”. Ma l’argomento di cui dobbiamo parlare non lo rende credibile sino in fondo. Vicino ai 40 anni di attività il musicista bresciano, fondatore dei Timoria e poi solista, deve mettere fine alla sua attività live, o meglio - come precisa- ad un certo tipo di concerti. La scelta non è propriamente “personale” ma dettata dalle condizioni di salute che da anni obbligano Omar a continue cure e tanti interventi cardiaci che affronta da “guerriero”, come lo definiscono i fan.
L’addio al palco si consumerà domani 5 ottobre al Factory di San Martino Buon Albergo, alle porte di Verona. Quando le luci su quel palco si spegneranno altrettanto succederà ad una parte dell’universo live e di conseguenza della vita di Omar.
Ne abbiamo parlato con lui tra emozioni, ricordi e progetti per il futuro.
Innanzitutto mi confermi che quello di sabato sarà veramente l'ultimo concerto della carriera?
Questo è l'ultimo concerto del tour iniziato a gennaio a Milano con ricchi premi, cotillon e ospiti che festeggiava il decennale del disco “Che ci vado a fare a Londra?”. Sabato si chiude quel cerchio ma nel frattempo è venuta fuori questa bella cosa che il 30 di ottobre celebreremo il fumetto di “Viaggio senza vento” (album del 1993 dei Timoria) e faremo un concerto in occasione di Lucca Comics. Ma sarà relativo solo a “Viaggio senza vento”. Quindi a Verona non sarà l'ultimissima volta ma la penultima. Però è l'ultima della tournée e poi NON ce ne saranno altre.
Quindi è un addio?
Un anno e mezzo fa, dopo alcuni controlli, mio suocero che è anche il mio cardiochirurgo mi ha detto, dopo avermi visto suonare a Padova, che non potevo andare avanti così, che era rischioso e vanificava tutti gli sforzi fatti per salvarmi la vita più di una volta. Ho seguito il suo consiglio, che mi ha dato da medico ma anche da nonno dei miei figli. Così non farò più concerti rock perché è molto rischioso. Mi aveva concesso un ultimo tour. Gli ho detto che me ne rendevo conto e così abbandonerò i concerti rock con il loro impatto fisico.
Cosa ha significato per te stare su un palco?
È stato naturale, sin da ragazzino. Devo dire, so che è un po' antipatico, che sono sempre stato un leader; amo però il gioco di squadra, quindi anche la Omar Pedrini Band l’ho sempre vissuta come una band, mai come il gruppo di un cantante, un cantautore, solista. Mi è sempre piaciuto il ruolo del capitano, del caposquadra, però mi piace dividere con gli altri, e Omar sul palco è sempre stato quello che magari colpiva di più. Dicono che anche ai tempi dei Timoria si notava la bellissima voce di Francesco che era unica, però guardavano me perché ero quello che faceva lo scemo, saltava, si vestiva da scheletro. Ho sempre amato fare il cretino, poi non ero lucidissimo, quindi le sostanze e le bottiglie di whisky sul palco tiravano fuori anche il peggio di me. Ero un po' il giullare, sin da ragazzino ero sempre quello lì, anche a scuola. Sul palco sono sempre molto iper eccitato, anche se sono in un localino con 20 persone, dentro di me sento che se sei sul palco devi dare tutto a chi viene a vederti, la regola è quella e cerco sempre di fare il guerriero con la mia band e diamo fino all'ultima goccia di sudore.
Ma quanto ti mancheranno questi concerti rock? Se ti mancheranno...
Guarda, scusa ma ora rischio di emozionarmi. Da gennaio non ci penso, sono allegro, felice, però adesso che si avvicina sabato mi sta venendo un po' di malinconia; non te lo nascondo, non sarà facile. Però guardo i miei bambini e preferisco vederli qualche anno in più che non rischiare continuamente, anche perché per come sono sul palco salto, sudo, perdo un chilo e mezzo ad ogni concerto e il rischio è alto. Certo, ho visto Noel Gallagher e mia moglie mi ha detto: “Omar, lui è fermo immobile come un chiodo per tutto il concerto.” Ma c'è bisogno? No, non c'è bisogno. Ma io, quando inizia la musica, inizio a saltare, a gridare, agitarmi, non sarei Omar. Chi viene a vedermi vuole il mulinello, alla Pete Townshend, il salto, e certo per un cardiopatico con 7 operazioni al cuore e sulle spalle non è cosa. Insomma, forse è un po' troppo.
Ma la musica?
Spero, voglio e desidero che la musica sia ancora parte della mia vita. Credo nel teatro che è la mia seconda moglie ormai da un po’ di anni, dove faccio molto teatro canzone e per il quale il medico mi ha dato il suo ok se li faccio da seduto con i musicisti. Questo lo potrò fare. Quindi per il futuro mi immagino un Omar a teatro. Tra un paio d'anni però, perché adesso devo affrontare di nuovo un periodo ospedaliero abbastanza impegnativo. A dicembre mi ricoverano ancora e quindi, se tutto andrà bene come sono convinto, in futuro mi immagino più teatrante e magari autore di canzoni perché non ho mai scritto niente per nessuno, sebbene me l’abbiano chiesto.
Ma c’è anche un piano B…
Sì, vado a vivere nella mia cascina in Toscana dove da anni per hobby faccio il contadino. Adesso la cascina è diventata un'azienda agricola e quindi ha bisogno di braccia e della mia presenza. Inoltre ho ricavato all'interno della struttura quattro appartamenti indipendenti, ognuno col suo bagno e la sua camera da letto, e dove c'era la cantina sto facendo uno studio, analogico, di registrazione. Chi vuole registrare può venire lì e starci in pace il tempo necessario per incidere o creare. I clienti li ospiterò in un luogo meraviglioso, isolati dal mondo perché sei in mezzo alle colline senesi in Val D’Orcia; a due passi ci sono Montepulciano, Pienza, Montalcino. Penso molto al mercato inglese, sono ben introdotto alla Creation e ho un buon rapporto con Noel Gallagher e altri artisti in Inghilterra. Io farò il fonico o il produttore ma soprattutto vorrei fare il padrone di casa, quindi preparare da mangiare, fare le bruschette con il mio olio, offrire il mio vino e cucinare i pici per chi lavora lì. Se poi come studio le cose non dovessero andare lo potrò trasformare in un B&B, sarebbe il “piano C” e adesso non è nelle mie intenzioni
Sulla tua decisione di scendere dal palco pesano anche altri fattori oltre a quello della salute?
Mi sono anche un po' rotto i coglioni di stare in questo music business nuovo che punta tutto sui singoli. Io sono della generazione analogica, ancora faccio i dischi pensando agli album, è cambiato tutto intorno a me, intorno all'Omar musicista, quindi se ci vuole il singolo, il ritornello, il featuring, lo special guest, tutto digitale, io non ci sono, io voglio ritornare all’”analogico”. Se vuoi fare un duetto, che oggi vanno tanto di moda, non puoi farlo senza bere un bicchiere di vino insieme, si sta insieme, si dorme insieme, si pensa, si produce. Nel mondo della musica poi c’è una competizione drogata… dalla quale mi tiro fuori. Io il mio pubblico ce l’ho e il tour è stato sold out anche se sono un cane sciolto, non faccio parte delle grosse agenzie e non posso avere l'ambizione di fare Sanremo. È drogato il mondo dei concerti, tutti sempre sold out, dai palazzetti agli stadi. Oggi se non fai gli stadi non sei nessuno. È un modo di fare business, è diventato un lavoro molto superficiale, usa e getta, molto claim. Ma chi me lo fa fare? È una competizione che si gioca ormai in una maniera e con delle regole diverse da quelle con cui ho cominciato, e non voglio avvelenarmi, perché a volte ti avveleni un po' l'anima, anche con il dover fare sempre i conti con questo concetto delle visualizzazioni. Visto che ho un buon contratto con la Nave di Teseo, un bell'editore, magari scriverò un libro in più, scriverò canzoni nel silenzio della Toscana. Ho questo desiderio da qualche anno.
Come valuti tutti questi anni rock, d’intensa vita musicale?
Con grande orgoglio, perché so di essere stato un pioniere. Ho iniziato che ci dicevano “cantate in inglese se no non vi facciamo il contratto”, oppure “il rock in italiano non funzionerà mai”, ci dicevano negli anni 80. Quindi abbiamo aperto una strada anche per quelli che ci sono oggi. Me ne accorgo adesso: abbiamo davvero buttato giù dei muri in Italia, i Maneskin non ci sarebbero se qualcuno 35 anni fa non avesse fatto quello che abbiamo fatto noi. I Maneskin hanno vinto Sanremo e quindi hanno potuto poi portare la musica italiana in Europa e nel mondo, è un cerchio che si è chiuso, secondo me, con loro, ed è successo a trent’anni dal nostro tentativo a Sanremo (1991, esclusi dalla sezione giovani, ma vincitori dell’apposito premio della critica per i giovani). Sono coincidenze storiche, loro non lo sanno perché sono troppo giovani, però così è stato. So di aver lasciato qualcosa, so che nella storia della musica c'è un piccolissimo millimetro di strada che ho fatto io, che ho sempre lavorato in una direzione coerente mescolando le arti, le culture, da uomo anche di lettere, di arte, non solo da musicista. Sono soddisfatto, certo, per lo sforzo che ho fatto, forse adesso mi piacerebbe avere una villa con piscina che non sono riuscito a costruirmi, anche perché negli anni d'oro dei Timoria dividevo il tutto per cinque, ero onesto, quindi i veri soldi non li ho fatti. Ho l'orgoglio di essermi mantenuto molto dignitosamente per 35 anni solo con la musica.
Ma il rock è morto?
Io penso che il rock non morirà mai, ti cito una canzone di Neil Young, proprio perché il rock non è solo un linguaggio musicale, non è solo canzoni, ma è molto altro: è cinema, è 'Easy Rider', il rock è cultura, è arte in tutte le sue forme, sono le copertine di Andy Warhol per i Velvet Underground, quindi è storia dell'arte, sono le poesie della Big Generation con Patti Smith o Bob Dylan, il rock è l'impegno sociale e civile, Joe Strummer, Johnny Cash, il pacifismo, il rock sono gli anni '60, i Beatles. Si può dire che sono scomparse negli ultimi 10 anni le canzoni con le guitar band, ma in realtà ci sono nei club sia di Brescia sia di Manchester, quando vado là è pieno di guitar band. Le radio da un po' di anni prediligono la trap e il rap, è un orientamento radiofonico, ma il rock è vivo e stai tranquillo che tornerà anche nelle radio tra un po' di anni. È lì, sotto la cenere, ma è sempre vivo perché rappresenta tante cose.
Hai avuto un rapporto proficuo con Noel Gallagher, cosa ne pensi di questa reunion degli Oasis, andrà fino in fondo?
Credo di sì, anche se mi fanno ridere in questo momento alcuni simpaticissimi meme che vedo. Credo che durerà anzitutto per l'immenso impegno economico, e non vedo l'ora che arrivino in Italia. Il giorno dell'annuncio della reunion ero a Manchester e c'è una mia foto che lo testimonia, ero proprio lì quella settimana, la città era completamente tappezzata dagli Oasis, ogni bar, ogni pub, ogni negozio, anche di moda, aveva le foto per il trentennale di “Definitely Maybe”. C’era aria di reunion e l'ultimo giorno prima di prendere l'aereo hanno annunciato la cosa. Giuro che non ero su per quello, non sono così importante (ride). Visto che faranno altre date nel mondo ti dico che se vengono a suonare in Italia, voglio aprire il concerto, sarà l’occasione per tornare a suonare il rock dal vivo!