La Sintesi: dopo 22 anni il gruppo milanese riaccende i motori
Gli anni ’90 furono un periodo di grande fermento per la musica italiana che ha coinvolto rock, canzone d’autore, folk, elettronica, new wave. Una grande creatività, supportata dalla discografia, in cui tutto si teneva per formare quel “cordone” che ha percorso il decennio sino ai primi anni del millennio successivo per contraddistinguere un tempo che non torna… o forse sì?
È infatti dalla parte finale di quel fenomeno che riappare La Sintesi, quartetto milanese formato da Lele Battista - voce, chitarra, tastiere e autore, i fratelli “ritmici” Michele - batteria - e Giuseppe Sabella - basso - e Giorgio Mastracola - chitarra.
La storia del gruppo, che ci sintetizzano loro nell’intervista, li vede in attività tra il ’99 e 2002 per poi sparire dopo una partecipazione a Sanremo. A 22 anni di distanza i quattro ritornano sul mercato con un nuovo 45 giri “fisico” di due brani (“Stravinskij” e “Finale”) che arriva grazie alla ristampa su vinile dei loro due LP precedenti, resi nuovamente disponibili in limitate copie “fisiche” e autografate.
“Stravinskij” e “Finale” nascono al di fuori di ogni logica commerciale, come celebrazione di anni di vita passati ma con un’anima legata al presente. Alla produzione di questo ritorno dopo Morgan e Pino Pischetola (che hanno firmato i due lavori della band) c’è Davide Ferrario e alla console lo storico collaboratore Max Lotti.
Un album nel ‘99, un Sanremo giovani e un secondo disco nel 2002 e poi stop. Riavvolgiamo il nastro per capire cos’è successo?
(Lele Battista) Lo stop arriva dopo il Festival di Sanremo e un bel tour. Prima c’è stato un percorso iniziato ai tempi della scuola media con un sacco di gavetta, molti concorsi, che all’epoca non erano televisivi. Poi abbiamo fatto “L’eroe romantico”, il primo album, prodotto da Morgan, che aveva una forte identità, chiamiamola new wave rivisitata, più post punk e anche qualcosina di elettronica. Fummo percepiti come eredi di certa new wave un po’ scura, piacevamo ai darkettoni e a qualche reduce coi capelli cotonati. In due anni ci siamo creati uno zoccolo duro di fan e abbiamo fatto un bel po’ di concerti. Poi c'è stata questa svolta con il secondo album “Un curioso caso”, un po’ più sul rock ma soprattutto verso il cantautorato. Mi ricordo che durante la scrittura ascoltavo un sacco di cantautori e ne ero influenzato. Tra i due dischi c’è stata l’idea di Morgan di ripescare “Ho mangiato la mia ragazza”, un brano che non era entrato nel primo album, per portarlo a Sanremo Giovani (vinto quell’anno da Anna Tatangelo). E noi abbiamo colto la cosa molto positivamente, sia perché comunque Sanremo è un po’ il sogno di tutti i musicisti più o meno svelato, e arrivare su quel palco sembra il coronamento di un sogno. Un po’ perché il pezzo ci consentiva di andare comunque a fare la figura di quelli un po’ strani, rispettando il nostro background da, diciamo, alternativi. Per l’occasione la casa discografica (la Sony) ci portava in palma di mano e aveva deciso di puntare su di noi. Subito dopo il Festival, invece, c'è stata un'assenza totale, sono spariti tutti. Questo lo abbiamo sofferto. Da una botta di popolarità ci siamo ritrovati ancora nel nostro giro, dove nel frattempo qualche fan l'avevamo perso.
Avete pagato lo scotto in questo senso di Sanremo, cioè che, come dicono i puri e duri, il festival snatura il gruppo?
È un po’ quello, un po’ perché effettivamente il secondo album aveva sonorità diverse rispetto al primo, era più vario, era più eclettico, ma anche più “autorale”. Sta di fatto che a un certo punto ci siamo fermati, come frizzati, sotto shock.
E adesso il cambiamento climatico e l'innalzamento della temperatura ha fatto sì che voi vi scongelaste e che riprendeste vita e attività.
Esatto! A questo devi aggiungere l'età che ti fa anche essere un po’ nostalgico della giovinezza. Il fatto scatenante però è stata la stampa in vinile per la prima volta dei nostri dischi che erano usciti in CD.
Chi ha deciso la ristampa su vinile?
Saifam, questa etichetta che ha acquisito il catalogo Sony e quindi anche il nostro. Con l'occasione di autografare le copie In vinile ci siamo ritrovati. Era già successo altre volte ma in via amichevole, non con idee lavorative. Diciamo che siamo sempre rimasti in contatto, però non avevamo mai più suonato assieme e io avevo in mente di fare una riunione per celebrare quel pezzo di vita in comune. Io, che ho continuato la mia carriera da cantautore, avevo scritto un brano, “Stravinskij”, con un altro cantautore, Andrea Martinelli, che ho pensato fosse giusto per La Sintesi. Loro con molto entusiasmo hanno accettato ed è stato un bel ritrovarsi. Dopodiché abbiamo proposto la cosa a Saifam che però, producendo solo vinili, ha chiesto un 45 giri di due brani. A quel punto abbiamo scritto il secondo brano “Finale”, il lato B. Per il momento, quindi, sarà solo un’uscita fisica in quantità ridotte.
A quale delle due fasi de La Sintesi sono riconducibili questi brani o è una terza fase: La Sintesi 3.0?
È una terza fase, perché mi sembra una cosa assolutamente nuova per noi, per me come autore. E anche a livello di sound trovo che la collaborazione con Davide Ferrario sia stata fondamentale, e soprattutto per merito suo siamo riusciti a tirare fuori un suono che non fosse del tutto distaccato dalla nostra storia, ma comunque con altre influenze, non dico necessariamente più moderne, ma diverse.
(Giuseppe Sabella) È chiaro che qui sicuramente c'è qualcosa di nuovo, frutto di ascolti, di un produttore nuovo e di vent'anni passati e un qualcosa di nuovo nella scrittura. Non avevamo mai suonato così. Sono due brani più sperimentali. Certo con più tempo, con più possibilità, sarebbe interessante vedere cosa potrebbe uscire dopo un mese e mezzo di studio.
Vi siete fermati per più di vent'anni e in questi due decenni è cambiato il mondo, ma è cambiata anche la musica, sono cambiati il panorama e la cultura musicale. Cosa trovate di così differente?
(Lele Battista) Sono passati vent'anni e ci sono dei bambini nati quando facevamo i nostri dischi che sono diventati degli adulti e sono cresciuti seguendo dei media diversi. Sento un salto generazionale pazzesco a livello musicale. All'epoca si avvertiva che c’era già nell'aria una spinta verso il pop, dove per pop intendo testi e accordi facili, musica più da intrattenimento, da svago. In un’ottica per cui tutto quello che fai è meglio se arriva a più gente possibile, ma poi questo diventa un limite a livello creativo. Noi, chi più chi meno, siamo cresciuti con l’idea che la musica può contenere messaggi. Dylan ci ha fatto passare da “She Love you”, con tutto il rispetto, a qualcosa che può aprire la testa a milioni di persone. Siamo figli del fatto che la musica ti apriva le teste. Prima questa cosa arrivava anche nel mainstream, mentre adesso è proprio legata a una nicchia sempre più ristretta.
Come è stato a livello umano ritrovarsi a suonare tutti insieme? Avete avuto rapporti tra di voi, però ritrovarsi in studio è differente dal trovarsi a bere una birra.
(Lele Battista) Beh, molto emozionante, molto bello.
(Giuseppe Sabella) Personalmente è stata una cosa incredibile. La sera in cui Lele dice: “Ragazzi abbiamo l'occasione. Magari si torna, avrei un pezzo da farvi sentire. Cosa mi dite se pensiamo di farlo insieme?”. Io quella sera a mezzanotte compivo cinquant'anni e quando Lele ha detto così ho perso completamente la cognizione spazio-temporale, cioè non mi ricordavo, non capivo più dov'ero e in che anno ero. Quindi andare in studio è stata una sensazione magica, anche se prima di ritrovarci a suonare c’è stato tutto il lavoro di pre produzione. Poi la sala prove, e devo dire che il primo giorno è stato molto faticoso perché avevamo spento le macchine vent'anni prima e ora le avevamo riaccese.
E adesso cosa succede?
(Lele Battista) A me personalmente piacerebbe ripetere l'esperienza soprattutto in studio, perché preferisco più la vita da studio che quella del live.
Adesso siamo liberi, non ci precludiamo più niente. Per me è stato anche fare i conti col passato: siamo stati questo, possiamo ancora esserlo con un'altra testa, con un altro modo di rapportarci alle nostre vite, se l'abbiamo fatto, possiamo rifarlo
Quindi pensate a un eventuale sviluppo in studio oppure vi piacerebbe anche una parte live?
Non ho preclusioni, ma il live è una cosa su cui investire. Ora ci sono molti meno spazi dove suonare dal vivo. È un po’ più difficile senza fare grandi numeri, se tu noti adesso cominciano tutti dal Forum. La dimensione club si è andata restringendo. Poi Giorgio Mastrocola (Il chitarrista) è impegnato con Pezzali e quindi per quest'estate abbiamo lasciato correre. Però l'aspetto creativo penso sia appagante e importante. Mi piacerebbe fare altri 45 giri, fino magari con il tempo arrivare ad un album.
(Giuseppe Sabella) Come dice Lele, c'è un problema di spazi, ma soprattutto anche di fruibilità e diffusione della nostra musica. Se manca questa condizione è tutto ancora più difficile.
Chi vi aspettate che ascolti La Sintesi adesso? Lo zoccolo duro oppure un altro pubblico?
(Giuseppe Sabella) Naturalmente la scelta di uscire con un vinile parla per noi. Il pubblico, diciamo nuovo, è un pubblico che comunque ci deve in qualche modo incontrare, un po’ per il supporto ma anche forse per la musica che proponiamo siamo qualcosa di connotato. Sarebbe curioso capire quanto possiamo incontrare le nuove generazioni oggi, cioè forse anni fa quello che hanno combinato i Maneskin non era così prevedibile. Forse quindi, con le debite proporzioni, ci potrebbe essere spazio anche per noi per un percorso di avvicinamento a un nuovo pubblico.
(Lele Battista) Stiamo aspettando la generazione “A” quella che arriva dopo la generazione “Z”. Con la “Z” siamo alla fine, quindi mi aspetto qualcosa di nuovo (ride)